Gli Houston Rockets sono la sorpresa della stagione NBA

Prima dell’inizio di questa stagione, tutti sapevano che la Western Conference sarebbe stata incredibilmente competitiva. Tolte Utah e Portland, le altre 13 squadre cominciavano la regular season con ambizioni di post-season, che fossero attraverso una qualificazione diretta ai playoff oppure passando dal torneo play-in. Posizionare gli Houston Rockets in un power ranking di queste 13 squadre era però decisamente complicato: la loro traiettoria era certamente in crescita, considerate le 41 vittorie conquistate nel 2023-24 rispetto alle 17, 20 e 22 dei tre anni precedenti, ma molte erano arrivate nel mese di marzo, quando diverse squadre tendono a mollare gli ormeggi e lasciare vittorie facili a chi invece ha maggiori motivazioni. La striscia di 11 successi consecutivi realizzata tra l’8 e il 29 marzo era poi arrivata quasi interamente senza il centro Alperen Sengun, in assenza del quale era invece salito di livello la guardia Jalen Green, facendo nascere il sospetto che i due non potessero coesistere nella stessa squadra. Un bel problema da risolvere alla vigilia di un’estate in cui entrambi avrebbero dovuto discutere un’estensione contrattuale, facendo nascere inevitabili voci di cessione sul mercato di uno dei due promettenti giocatori. Considerato anche il conclamato interesse nel prendere Kevin Durant, tanto da assicurarsi tutte le scelte future al Draft dei Phoenix Suns per metterli con le spalle al muro se le cose fossero andate male in Arizona, il futuro di questo roster era più in bilico che mai. Per tutti questi motivi, in pochi si sarebbero aspettati da loro una partenza così lanciata, vincendo 12 delle ultime 15 partite tra cui il big match contro gli Oklahoma City Thunder che li ha portati a mezza gara di distanza dal primo posto in classifica occupato proprio da OKC. La squadra allenata da Ime Udoka è salita di livello in maniera esponenziale, guadagnandosi anche un posto ai quarti di finale della NBA Cup nonostante un calendario non così semplice e sopperendo anche a una difficoltà a fare canestro che avrebbe azzoppato qualsiasi altra squadra, mentre loro sono riusciti ad aggirarla brillantemente — facendo intravedere anche margini di miglioramento sensibili per questo gruppo, che proprio dai rinnovi di contratto di Green e Sengun ha trovato nuovo slancio. La parola chiave per capire il successo degli Houston Rockets è una: fisicità. La squadra allenata da coach Ime Udoka è nettamente la più atletica della NBA e riesce a schierare in ogni posizione giocatori in grado di avere un impatto sensibile sulla partita dal punto di vista atletico, pur avendo caratteristiche molto diverse l’uno dall’altro. Il quintetto base è infatti formato da Fred VanVleet , Jalen Green , Dillon Brooks , Jabari Smith Jr. e Alperen Sengun . A questo variegato gruppo di corpi sovradimensionati si aggiungono i due migliori atleti in uscita dalla panchina dell’intera NBA: Amen Thompson e Tari Eason. Cercare di definire il loro ruolo è un’impresa, ma ogni volta che i due giovani scendono in campo riescono ad avere un impatto fisico immediato su qualsiasi partita, avventandosi sulle riserve avversarie con una ferocia e un atletismo davvero impossibile da pareggiare nelle due metà campo. Le statistiche avanzate danno un’immagine chiara di tutto questo: il quintetto base funziona molto bene di suo, con un differenziale di +12.7 su 100 possessi che lo rende uno dei migliori della lega su un numero consistente di minuti giocati, ma quando Thompson entra al posto di Green i Rockets semplicemente decollano a +36.4 — nettamente il miglior dato dell’intera NBA. La fisicità con cui giocano i Rockets è testimoniata anche da altre statistiche interessanti e che dipingono bene il loro stile di gioco senza compromessi. Contro di loro le squadre avversarie segnano solamente con una percentuale effettiva del 50.3%, la seconda più bassa dopo quella di OKC , e sono nei dintorni della top-10 sia per palle recuperate che a rimbalzo difensivo. I Rockets di fatto costringono gli avversari ad andare a scontrarsi contro un muro di chili e centimetri: fanno tirare pochissimo da tre punti e sfidano gli avversari a concludere le azioni tirando contro le loro braccia infinite, costringendoli a percentuali bassissime in ogni zona del campo. Contro i Rockets ogni tiro è contestato, anche quelli al ferro dove teoricamente risiede il punto debole della loro difesa, cioè le scarse doti di salto di Sengun: sono i terzi migliori a protezione del loro canestro e i migliori in assoluto per i tiri dalla media distanza. L’unico difetto della difesa dei texani è la tendenza a commettere tanti falli, ma è un rischio che coach Udoka accetta volentieri pur di mantenere sempre alto il livello di concentrazione e di impatto fisico dei suoi giocatori. Anche nella metà campo offensiva i Rockets giocano un basket fisico e ‘sporco’. Non sono neanche lontanamente la squadra più bella da vedere della lega, anzi le loro percentuali al tiro sono senza mezzi termini drammatiche , ma, ciò nonostante, riescono a mantenere un’efficienza offensiva da top-10 grazie ad altri fattori. I Rockets, ad esempio, buttano via pochissimi palloni e soprattutto hanno una presenza soverchiante a rimbalzo offensivo , sfruttando così il loro predominio fisico per procurarsi punti facili e viaggi in lunetta, oltre a correre in contropiede ogni volta che ne hanno l’opportunità. I Rockets stanno riuscendo così ad aggirare i limiti della loro balbettante fluidità offensiva raccattando canestri nella spazzatura della partita, mettendo le mani addosso agli avversari e costringendoli a uscire dalla loro comfort zone. Quanto possono durare ancora? Fino a questo momento coach Udoka si è fidato solamente di sette giocatori, restringendo al minimo la sua rotazione anche a costo di togliere opportunità di crescita a Reed Sheppard, terza scelta assoluta all’ultimo Draft che secondo molti addetti ai lavori poteva essere un candidato credibile al premio di rookie dell’anno. Basta vederlo in campo però per capire perché Udoka non può dargli troppo spazio, almeno per il momento: la sua differenza di stazza rispetto ai compagni di squadra è impressionante, tanto che sembra che in campo sia entrato un bambino in mezzo agli adulti nonostante il prodotto di Kentucky sia alto 1.88 per 83 chili. Il goffo tentativo di mascherare la sua gioventù dietro un paio di baffi anni Settanta è stato fortunatamente messo da parte, ma i Rockets in un futuro non troppo lontano avranno bisogno anche delle sue doti balistiche, visto che la loro percentuale al tiro da tre è la terza peggiore della lega. Riuscire a integrarlo nella strutturazione abnorme della squadra sarà la vera sfida di coach Udoka, che nonostante le peripezie extra-campo della sua carriera sta dimostrando di essere un signor allenatore. Mantenere questo livello di sforzo atletico per tutte le 82 partite della regular season è un’impresa gigantesca, specialmente considerato che finora hanno goduto di una salute impeccabile che non è destinata a durare. Ma una cosa è sicura: questi Rockets saranno un brutto cliente per chiunque avrà la sfortuna di affrontarli da qui per il resto della stagione playoff compresi, perché i ragazzi di coach Udoka continueranno a giocare la loro pallacanestro brutale ancora a lungo.