NBA, da cosa dipende il calo degli ascolti?

I Milwaukee Bucks sono campioni della Emirates Cup 2024. Il torneo di metà stagione lanciato un anno fa dalla NBA e riconfermato quest’anno non è però stato il principale argomento di discussione della quattro giorni di Las Vegas. Quando il commissioner Adam Silver si è presentato ai microfoni dei media non ha potuto ignorare l’elefante attualmente presente nelle stanze NBA, ovvero il calo degli ascolti TV. È bene precisare che non parliamo di calo di interesse generale ma solo ed esclusivamente di ascolti televisivi. Che peraltro a livello locale e regionale sono pure in crescita. Il numero di spettatori nelle arene durante la stagione 2023/24 è stato il più alto di sempre e su canali e piattaforme digital la NBA gareggia da sola raggiungendo interazioni, che le altre leghe americane non riescono ancora ad avvicinare. Come si può pensare nel 2024 di mantenere gli stessi ascolti televisivi di una volta quando la stessa NBA invade le piattaforme social con decine di migliaia di contenuti? Perché un adolescente dovrebbe perdere due ore del suo tempo per guardare una singola partita quando collegandosi all’app NBA, impiegando lo stesso tempo, può vedere ogni azione di ogni gara giocata nella notte? Questa è la prima faccia della medaglia: il successo della NBA non è più rappresentato e misurato solo dagli ascolti della TV. Poi c’è l’altra faccia, che riguarda la qualità del gioco. Il tiro da 3 punti ha rovinato il basket! Giocano tutti allo stesso modo. Quante volte avrete sentito pronunciare queste frasi negli ultimi anni? Sì, il volume dei tiri da tre punti è aumentato vertiginosamente e i grafici ci indicano esattamente dove è cominciato il cambiamento: Steph Curry venne scelto nel giugno del 2009 e dopo una stagione da rookie interlocutoria, dal 2011 in avanti lui e gli Warriors hanno rivoluzionato la pallacanestro moderna. Da lì in poi il grafico dell’incidenza del tiro da 3 punti si è trasformato in un razzo lanciato nello spazio. Nel momento in cui stiamo scrivendo i Boston Celtics viaggiano oltre le 50 triple a partita, la squadra che ne tenta di più in assoluto. I Celtics e i Bulls nella gara del 19 dicembre hanno combinato per 108 tiri da tre. Cento-otto! Record NBA sbriciolato e probabilmente destinato presto ad essere ritoccato. Due giorni prima Warriors e Mavs ne avevano realizzati 47 frantumando il record di triple combinate. Nonostante Shaquille O’Neal abbia recentemente criticato il basket di oggi lamentando un’assenza di creatività, i numeri e le analytics ci dicono che se oggi vuoi essere efficace e avvicinarti a vincere partite e titoli, devi usare il tiro da 3 punti. Ognuno lo interpreta a modo suo: i Celtics hanno costruito una squadra con il personale adatto ad esagerare. Altri come i Chicago Bulls pur non avendo cambiato allenatore hanno rimodellato il loro gioco dopo la partenza di DeMar DeRozan aumentando il numero delle conclusioni dall’arco, non per vincere il titolo NBA ma per provare a vincere più partite. Cosa che difficilmente accadrebbe se usassero lo stile di gioco dell’era DeRozan. Inoltre le caratteristiche dei giocatori sono estremamente diverse rispetto al passato. Oggi ci sono atleti in grado di prendere un tiro da 9 metri, marcati, senza troppa fatica. È un buon tiro? Forse no, ma dipende. Guardare ai numeri in quanto tali è onestamente un esercizio che mi affascina poco. Dimmi piuttosto come vengono costruiti quei tiri, con quanto spazio. Se sono contested o meno. Dopo quanti passaggi vengono presi. Quale è la percentuale attesa in base alla posizione del campo in cui viene scoccato quel tiro e da quale giocatore. Il tiro da tre punti ha rivoluzionato il modo in cui si gioca oggi a pallacanestro nel male ma anche nel bene. Pensate a quelle partite in cui una squadra dopo essere stata sotto di venti punti riesce a rimontare e vincere rendendo quella stessa partita improvvisamente affascinante e avvincente. Senza il tiro da tre sarebbe impossibile. “Non vediamo le cose per come sono, ma per come siamo noi.” – Anaïs Nin Come porsi dunque al cambiamento che è in atto? Un paragone si potrebbe fare con l’intelligenza artificiale che sta impattando nella vita di tutti i giorni, così come il tiro da 3 punti nel basket. “L’intelligenza artificiale rovinerà il mondo!” .“Il tiro da tre punti rovina il gioco!”. Se non le usi nella maniera più saggia, entrambe possono avere ricadute disastrose, ma se ne capisci le potenzialità, possono diventare uno strumento cha ti aiuta a vivere meglio. O vincere più partite. Con buona pace di coloro che pensano che il tiro da tre stia impattando solo oltre oceano, i numeri ci dicono che la frequenza cresce anche qui in Europa ed è un trend in aumento, anche se per tempi di gioco e regole può sembrare meno accentuato. Una buona fetta di coloro che inondano i social di critiche , lo fanno per provocare, fomentare il clickbait. Rappresentano una corrente di pensiero fabbricata da chi con ogni probabilità non guarda le partite per intero, cibandosi solo di highlights e clip create ad hoc per cavalcare la polemica. Forse di nostalgici. Davvero tutti questi internauti studiano il gioco per sapere se è meglio o peggio? Io credo di no, quantomeno non tutti. Qualche valutazione errata la NBA deve pur averla fatta, altrimenti non se ne parlerebbe così tanto: a cominciare dall’eccessivo potere concesso ai giocatori. Nell’era Stern forse avremmo visto punizioni esemplari o interventi più decisi verso coloro che, troppo spesso, sputano nel piatto in cui mangiano . Come avrebbe reagito il vecchio David sentendo Joel Embiid dire: “Oh ragazzi, io quest’anno gioco se sto bene e se ho voglia”. Quell’elefante dentro le stanze sembra ancor più grande se si confrontano i dati di ascolto NBA con quelli della NFL. Parliamo di due mondi differenti sia chiaro: 82 partite contro 17, la NFL concentra l’80% delle sue gare la domenica a pranzo o nel prime time serale, quando le famiglie sono a casa. Provate a far giocare i Lakers 17 volte anziché 82 e vedrete che gli ascolti TV sarebbero un pelino diversi. Tuttavia, nonostante l’impatto digital e social la NFL in TV continua a crescere e anche a causa di questo predominio continentale, la NBA comincia a guardare altrove. Il basket Europeo in questi anni ha dimostrato di non essere sostenibile: la maggior parte dei proprietari non investono ma spendono senza avere alcun ritorno se non esclusivamente di immagine. La NBA, i cui conti tornano sempre, vede uno spazio in cui può entrare per allargare i propri confini. Stanno programmando ora perché nei prossimi 11 anni nelle casse entreranno 76 miliardi di dollari di diritti TV. Tempi e modi con cui lo faranno sono ancora da svelare ma non si tratta più di 'se' ma di 'quando'. È bene cominciare a prepararsi perché, con buona pace di nostalgici e detrattori, anche in Europa il basket non sarà più lo stesso.

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Alessandro Mamoli