Kawhi è tornato, i Clippers saranno gli outsider a Ovest?

Qualche giorno fa, nel rispondere a una provocazione dell’ex stella e ora opinionista televisivo Charles Barkley, JJ Redick, allenatore dei Lakers, per definire il suo approccio alla gestione del peso che deriva dall’essere un allenatore NBA, ha scomodato un dialogo tra due soldati nella celebre serie televisiva “Band Of Brothers”, in cui uno confessava all’altro che il segreto per combattere senza paura consiste nel considerarsi già morti in partenza. “Quando ho accettato questo incarico, sono morto” ha quindi precisato il coach gialloviola, “per cui sono ben consapevole della pressione che comporta fare questo mestiere, ma non la considero perché tanto so di essere già morto”. E se Redick, per rendere l’idea di cosa devono sopportare i protagonisti di una lega tanto competitiva quanto celebre come la NBA, ha tirato in ballo addirittura questioni di vita e di morte, sull’altra sponda di Los Angeles c’è una squadra che erano gli altri, addetti ai lavori in primis, a dare per morta, cestisticamente parlando, da almeno sei mesi. Solo che i Clippers, in questa prima parte di regular season, hanno dimostrato di essere ancora vivi, eccome. E, ora che hanno anche ritrovato la loro stella, potrebbero puntare a sorprendere tutti. Chiuso un ciclo, se ne apre un altro Non c’è dubbio sul fatto che l’addio di Paul George, arrivato in estate dopo che per portarselo in casa i Clippers cinque anni fa avevano ipotecato il loro futuro nello scambio con i Thunder, abbia scritto la parola fine al progetto aperto nel 2019. Ovvero quando i Clippers sembravano davvero pronti a strappare la supremazia cittadina ai Lakers e a portare sulla loro sponda di Los Angeles il primo Larry O’Brien Trophy nella storia della franchigia. Tra tanti, tanti infortuni nei momenti decisivi delle varie stagioni, ripetuti crolli al limite del patologico durante i playoff e scelte di mercato spesso discutibili, le cose sono andate molto diversamente, e l’abbandono da parte di George era forse diventato inevitabile. Fatto sta che dopo aver preso atto dell’addio dell’ex Indiana e Oklahoma City, la dirigenza dei Clippers ha operato con prudenza, concedendo un rinnovo biennale a James Harden ed evitando di svenarsi per qualche nome di prestigio, preferendo puntare su role player come Derrick Jones Jr. e Kris Dunn. Il risultato è stato quello di allestire un roster formato da giocatori magari non adatti a recitare un ruolo da vere e proprie stelle, ma che fanno della solidità e della continuità di rendimento il loro marchio di fabbrica. E tra questi ce ne sono due che in questa prima parte di stagione hanno giocato probabilmente la miglior pallacanestro della loro carriera. La difesa vince partite Se Harden, ormai ben calato nei panni del playmaker che predilige assistere i compagni piuttosto che mettersi in proprio, è stato il motore dei Clippers in questa regular season, è fuori discussione che a puntellare le prestazioni della squadra siano stati Norman Powell e Ivica Zubac. Pur senza strafare e senza snaturare le loro caratteristiche, i due hanno fin qui dato un apporto mai visto in precedenza in termini di efficacia e costanza. Powell, con i suoi 23.7 punti a partita, massimo in carriera, è il miglior marcatore dei Clippers, risultato ottenuto prendendosi tutto lo spazio generato in attacco dalla prolungata assenza di Leonard e senza rinunciare all’efficacia, come testimonia l’eccellente 43.7% di media tenuto fin qui al tiro dalla lunga distanza. Zubac, invece, sta addirittura vivendo la sua miglior stagione in NBA in pressoché ogni voce statistica e i suoi 14.9 punti, 12.5 rimbalzi e 2.5 assist di media a partita lo hanno reso uno dei lunghi più affidabili e concreti di tutta la lega. La squadra, che oltre ai due uomini chiave della prima parte di stagione può vantare altri giocatori “di sostanza” come Terance Mann, nelle scorse settimane un po’ limitato da problemi fisici che appaiono però ora risolti, e il veterano Nic Batum, sembra quindi modellata attorno a un’idea di compattezza e stabilità. E compattezza e stabilità, come d’abitudine nel gioco della pallacanestro, si basano prima di tutto sulla difesa. I Clippers, nella loro metà campo, se la giocano con l’eccellenza della lega, avendo il 4° miglior defensive rating e risultando tra le squadre migliori in aspetti chiave come la percentuale da tre concessa agli avversari , palle perse forzate e punti totali concessi . Statistiche che, in teoria, dovrebbero valere più dell’attuale 8° posto a Ovest. Solo che in attacco le cose per i Clippers non vanno altrettanto bene, ma a cambiare tutto da questo punto di vista potrebbe essere il ritorno in campo del protagonista più atteso. Tutto gira attorno a Kawhi Il rientro con debutto stagionale di Leonard, assente dai parquet da gara-3 della serie con Dallas dell’aprile dello scorso anno, è durato per il momento solo lo spazio di due partite. Dopo aver rimesso piede in campo nella vittoria contro Atlanta dello scorso 4 gennaio e aver replicato due sere dopo nella sconfitta sul campo dei T’Wolves, infatti, il giocatore si è allontanato dalla squadra per assistere la famiglia, colpita dal fenomeno degli incendi che sta attanagliando in questi giorni la California. Due partite, a maggior ragione dopo uno stop di otto mesi, sono ovviamente un campione troppo limitato per valutare lo stato di forma di quello che, a prescindere da tutto, rimane il punto di riferimento dei Clippers, ieri come oggi. Anche perché Leonard, per motivi precauzionali che è facile intuire, ha giocato solo 20 minuti in ciascuna delle due sfide disputate, mettendo in mostra l’inevitabile ruggine accumulata durante la lunga assenza. Se le cifre mandate a referto sono poco significative, con lui in quintetto è apparso comunque già evidente come la squadra possa avere una marcia in più. Soprattutto perché la presenza di Leonard accanto a Harden permette ai Clippers di avere due giocatori in grado di creare dal palleggio per sé e per i compagni e quindi di rendere più fluido un attacco fin qui abbastanza bloccato e statico . Non solo, un Leonard sano, anche se occorre ammettere che si fa fatica a ricordarlo in condizioni almeno decenti nei momenti chiave della stagione, potrebbe ancora oggi essere il miglior giocatore in una serie di playoff. E non sono poi molte le squadre a poter vantare una certezza del genere. Una mina vagante a Ovest? Parafrasando la nota massima del gigante della letteratura americana dell’Ottocento Mark Twain, a cui era capitato di leggere il proprio necrologio in un giornale dell’epoca, si potrebbe quindi affermare che “La notizia della morte dei Clippers era fortemente esagerata”. A loro, peraltro, potrebbe anche non dispiacere continuare ad essere considerati cestisticamente morti, perché senza le aspettative che avevano accompagnato la squadra negli ultimi cinque anni, e animati dall’intima convinzione di avere poco o nulla da perdere, i Clippers potrebbero essere più pericolosi che mai. Contrariamente a quanto accadeva negli ultimi anni, tra l’altro, nonostante una struttura salariale che consentirebbe margini di manovra sul mercato, in questa prima parte di stagione i Clippers sono rimasti quasi totalmente fuori dai rumors su possibili scambi. Forse perché, dopo tante stagioni all’insegna della ricerca continua del pezzo mancante per arrivare al titolo, a Los Angeles sembrano tutto sommato contenti del roster così com’è. Considerato il passato, però, e la personalità vulcanica del proprietario Steve Ballmer, non è possibile escludere che da qui alla trade deadline del prossimo 6 febbraio arrivi un colpo a sorpresa. Nel frattempo, comunque, appare chiaro che se Leonard dovesse riuscire a rimanere sano da qui alla primavera, eventualità che arrivati a questo punto della sua carriera avrebbe del miracoloso, a Ovest sarebbero in molti a non voler incrociare la squadra di coach Tyronn Lue da aprile in avanti. E chissà che quel sogno di grandezza coltivato così a lungo non possa avverarsi quando davvero tutti, compresi forse i diretti interessati, lo consideravano svanito per sempre.

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Dario Costa