Rugbytech: il GPS in campo? Non sempre funziona, ma non per colpa degli urti

Rugby
Foto: Rugbymeet
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Nelle partite di rugby è da tempo consentito l’utilizzo di dispositivi indossabili, ma funzionano? La risposta è a dir poco soprendente...

Tutte le squadre di elite nel mondo del rugby sono dotate di tecnologie che permettono di misurare la prestazione dei giocatori, in partita e in allenamento, in modo più o meno minuzioso e più o meno preciso. Nelle partite di rugby è da tempo consentito l’utilizzo di dispositivi indossabili, purché certificati a livello di emissioni elettromagnetiche e fisicamente non troppo invasivi. Talvolta durante un match si può notare una “protuberanza” tra le scapole dei giocatori: si tratta degli ormai comuni dispositivi GPS. Rugbymeet e K-Sport sono i fornitori ufficiali della Nazionale italiana rugby e della Nazionale argentina, entrambe impegnate in Coppa del Mondo.

La storia del GPS - Sviluppato nell’ambito di un progetto del governo statunitense a partire dal 1973 e pienamente operativo dal 1994, è un sistema che sfrutta una rete di satelliti artificiali in orbita per rilevare la posizione di un soggetto dotato di ricevitore. All’inizio disponeva di 24 satelliti (ad oggi sono oltre 30), ciascuno dei quali si trova a circa 20 km di distanza dalla terra e compie ogni giorno 2 rotazioni del pianeta.

Uso militare vs civile - Inizialmente è stato sviluppato per applicazioni militari. In seguito il segnale è stato reso disponibile anche per usi civili. Tuttavia il governo degli Stati Uniti ha la facoltà, in qualunque momento, di interrompere il segnale o di introdurre un rumore che lo rende molto meno preciso. Si tratta infatti di una tecnologia molto delicata: il ricevitore misura il tempo impiegato dal segnale radio per percorrere la distanza satellite-ricevitore, ed un errore di 1/1.000 di secondo genera un errore di posizionamento di 300 km!

3 giri di campo a San Siro? -  Come tutte le tecnologie, per utilizzarla nel migliore dei modi ed evitare di farsi sopraffare dai numeri, occorre conoscerla adeguatamente. Forse non tutti gli addetti ai lavori conoscono i limiti dovuti ad interferenze elettromagnetiche o strutturali. Per consentire una ricezione ottimale del segnale il ricevitore deve trovarsi in uno spazio aperto. Sarà capitato a tutti di utilizzare in auto dei navigatori satellitari e di vedere come il segnale venga perso mentre si cerca di raggiungere una destinazione in centro città (fiancheggiando dei palazzi) o si passa sotto un tunnel. Ebbene gli stessi problemi emergono quando si usa il dispositivo all’interno di uno stadio dotato
di tribune sufficientemente alte e magari tetti metallici che fanno rimbalzare il segnale. Provate a fare 3 giri sul perimetro del campo di San Siro od al Millennium Stadium di Cardiff ed a ricostruire le traiettorie rilevate dal GPS! Come potete osservare dall’immagine, in stadi con grosse coperture il segnale rimbalza in modo impreciso causando delle letture errate.

Ma quindi? - L’utilizzo sportivo dei GPS arriva dall’emisfero sud, ed in precisione dall’Australia e Nuova Zelanda. Gli stadi in quelle Nazioni per la maggior parte sono di alto livello e con coperture importanti. Avete idea di quanto tempo ci hanno messo a scoprire che i dati rilevati erano errati??? Servono entrambe le mani. Per ovviare a questo problema si possono usare tecnologie differenti come telecamere e sensori inerziali. Vi illustreremo il loro funzionamento nei prossimi giorni.

Impatti? No, decelerazioni! -  Introdurremo prossimamente anche nuove tecnologie e vedremo quali sono i parametri che vengono analizzati dagli staff tecnici consentendo ai preparatori di ottimizzare le sedute d’allenamento. Facciamo però subito una precisazione. Alcuni parametri vengono infatti rilevati in modo diretto (ad esempio la distanza percorsa) altri per deduzione, come gli impatti. Cosa sia un impatto, lo dice la parola stessa: due corpi vengono a contatto. Le attuali tecnologie sul mercato non consentono però di rilevare l’impatto in modo diretto, come intuitivamente si potrebbe fare inserendo dei sensori nelle magliette. Ricordiamo infatti che il dispositivo GPS viene inserito in un apposito “taschino” posizionato nella parte alta della schiena. L’impatto viene dunque dedotto dalle decelerazioni: si presume che quando un giocatore in corsa viene placcato da un avversario, il suo dispositivo rilevi una decelerazione talmente alta da essere umanamente impossibile, per cui si può ipotizzare che nasca da un evento esterno “forzato”, cioè il placcaggio. Ma per raggiungere questo livello di sensibilità il GPS non sempre è sufficiente, occorrono altri sensori quali accelerometri e giroscopi.