Non esistono alibi per questa Italia, bisogna dare tutti di più
RugbyL’ANALISI. Ci sono quaranta punti di scarto, lo scontro fisico perso: non c’è una cosa che abbia funzionato contro l'Irlanda. Agli azzurri manca la fame di chi non si accontenta mai. Quella fame che ha sempre avuto Parisse
Non c’è una cosa che abbia funzionato. Ci sono quaranta punti di scarto, quasi sessanta subiti, lo scontro fisico perso: trovare un numero, una voce delle statistiche a cui aggrapparsi è impossibile. Sarebbe troppo facile dire che non abbiamo “pezzi” di ricambio di fronte agli infortuni. Una faccenda che colpisce tutti. Nello sport gli alibi, come si sa, non esistono, non devono esistere. E poi i “pezzi” di ricambio, i debuttanti, sono quelli che hanno messo in campo entusiasmo, voglia di darsi da fare.
Forse molti si accontentano di essere in nazionale, si sentono “arrivati” perché hanno uno stipendio in una franchigia, poca concorrenza. Ecco il difetto, sottolineato dal capitano Sergio Parisse, da molti e da molto tempo considerato il numero 1 come numero 8. Uno che potrebbe giocare anche negli All Blacks. Uno che non si è mai rilassato, facendosi cullare dai complimenti e dagli euro dello Stade Francais. Ci vuole la fame di voler essere il più bravo, di essere umile per migliorarsi, di avere lo spirito di Djokovic, di Steph Curry, di McIlroy, di quelli che vorrebbero scalare la classifica anche quando sono i primi, di andare oltre, di non pensare a chi è dietro ma di sfidare se stessi per progredire ancora. La somma delle individualità, dei miglioramenti di ogni giocatore, dei “marginal gains” (i guadagni marginali, letteralmente) che si possono sempre trovare e che messi assieme possono fare la differenza, al di là delle scelte di franchigie, accademie, centri federali, tecnici.
Se ne sentiranno di tutti i colori, ognuno dirà la sua. Invece ognuno dovrebbe mettere qualcosa in più, dappertutto. Non accontentarsi mai, anche se le cose dovessero funzionare, figuriamoci se non funzionano.