La Nuova Zelanda ha vinto la Coppa del mondo femminile, un evento spettacolare che ha portato 150mila spettatori sugli spalti, che ha visto interrompersi la striscia positive di 30 vittorie consecutive dell'Inghilterra. L'Italia stabilisce l'ennesimo record, diventando la prima selezione azzurra tra le migliori 8 di un Mondiale. E questo è solo il punto di partenza
Cade dopo 30 successi consecutivi l’imbattibilità dell’Inghilterra. All’Eden Park si impongono 34-31 le padrone di casa nella prima Coppa del Mondo femminile down under, segnata dai record, tra cui quello dell’Italia per la prima volta ai quarti. Una finale incredibile, un’edizione – la nona assoluta e la prima nell’emisfero australe –spettacolare condita da oltre 150mila spettatori sugli spalti e da un Eden Park di Auckland gremito per la sfida di chiusura tra Inghilterra e Nuova Zelanda.
Il pronostico della vigilia della Coppa del Mondo di rugby femminile diceva Inghilterra, squadra numero 1 del ranking, capace di inanellare una serie di 30 vittorie consecutive, interrotta però clamorosamente sul più bello. A sorridere, dopo 80’ di battaglia e bel gioco, sono state le padrone di casa della Nuova Zelanda che si sono imposte per 34-31.
Una finale con continui colpi di scena
Vittoria di misura, in rimonta, in un continuo rincorrersi e superarsi e con tanti coup de theatre. Inghilterra subito avanti con Kildunne, schierata titolare dopo l’infortunio di Rowland in una formazione stranamente variata dal tecnico Middleton. Poi la prima di tre mete del tallonatore Cokayne, in un match combattuto soprattutto davanti con diverse marcature da maul. La svolta dell’incontro, però, arrivava pochi istanti dopo con il cartellino rosso a Thompson per un placcaggio pericoloso sull’icona neozelandese Woodman, che lasciava l’Inghilterra con una giocatrice in meno per un’ora di gioco, diventando al contempo la causa scatenante della reazione delle padrone di casa, subito in meta con Ponsonby. Nemmeno un attimo di respiro che, ancora con il drive, l’Inghilterra marcava con la veterana Packer e risposta tuttanera affidata alle trequarti con la marcatura di Leti-I’iga. Ancora Cokayne e poi Rule per il primo tempo con le inglesi in vantaggio 19-26. L’apertura del secondo tempo vedeva la Nuova Zelanda passare in fronte con le mete di Fluhler e Murray, ma di nuovo Cokayne a rispondere e a rimettere la testa in alto per le ospiti fino agli ultimi dieci minuti, quando Leti-I’ga chiudeva una bella giocata con la doppietta personale e i sogni di gloria inglesi si schiantavano sull’in avanti in touche di Ward all’ultima azione.
Sesto titolo per la Nuova Zelanda
Black Ferns che si confermano bestia nera delle Red Roses, alla quinta finale tra le due compagini e con altrettanti successi kiwis, dopo quelli nel 2002 in Spagna (19-9), nel 2006 in Canada (25-17), nel 2010 in Inghilterra (13-10), un’onta ancora da vendicare e che le albioniche speravano di poter emulare in questa edizione, e nel 2017 in Irlanda (41-32). La Nuova Zelanda mantiene, dunque, il titolo conquistato a Belfast e porta a sei i trofei iridati nel proprio carniere, mentre l’Inghilterra resta ferma ai due successi del 1994 e del 2014.
Wayne Smith, il guru con l’Italia nel cuore
E pensare che le Black Ferns soltanto dodici mesi fa (e anche meno) sembravano in piena crisi. Da lì la decisione di rivoluzionare il proprio staff tecnico e affidarsi al guru Wayne Smith, uno che con gli All Blacks si è tolto soddisfazioni in campo da giocatore ma ancor più da allenatore (212 partite con 184 vittorie, 21 sconfitte e 7 pareggi), vincendo la Coppa del Mondo 2011 come assistente di Graham Henry, e senza contare i titoli di Super Rugby con Crusaders e Chiefs e quelli nel Championship o Tri-Nations che dir si voglia. Se ne stava beatamente su una spiaggia a godersi il ritiro dopo aver vinto come Director of Rugby altri due titoli nella Top League giapponese con i Kobelco Steelers, quando il 21 aprile è stato annunciato come nuova guida della nazionale femminile. Impossibile non aiutare il Paese verso l’impresa storica di conquistare il titolo in casa, con dodici vittorie in altrettante partite disputate. Con lui c’è pure un pezzo d’Italia, dato che a Treviso e Casale sul Sile ha giocato, allenato e affinato la sua lingua italiana, oltre ad essere diventato campione di scopa, titolo conteso dal “nostro” John Kirwan ma che Smith reclama come suo da investitura del compianto Dino Menegazzi: ci piace pensare che una parte di dedica per questa vittoria possa essere anche per lui.
Azzurre da record
Italia che chiude d’altronde la sua migliore kermesse di sempre. Le Azzurre di Andrea Di Giandomenico hanno sconfitto Usa e Giappone, perdendo contro il Canada nella fase a gironi e poi con la Francia 39-3 nei quarti. Transalpine fortemente motivate a raggiungere la prima finale di sempre e arrivate a centimetri dal riuscirci, sconfitte 25-24 in semifinale dalla Nuova Zelanda, con un calcio sbagliato da Drouin che rimarrà nel rammarico. Black Ferns bestia nera anche per le Bleues, insomma, dopo l’oro olimpico conquistato a Tokyo nel Seven ai danni ancora una volta di Drouin e compagne. La squadra di Darracq si è potuta, comunque, accontentare della settima medaglia di bronzo conquistata in una “finalina” senza storia (36-0) contro un coraggioso Canada, che aveva dato tutto nella semifinale contro l’Inghilterra e unica squadra non professionistica tra le quattro finaliste in una classifica World Rugby rispettata quasi come non mai. Tornando alle nostre ragazze toste, per Furlan (recupero miracoloso per lei e 10’ in campo contro la Francia dopo l’infortunio al ginocchio a Nizza nel penultimo test) e compagne la soddisfazione storica di essere la prima selezione nazionale ad approdare ai quarti di finale in un torneo mondiale: un’altra prima volta da aggiungere al lungo elenco tra Sei Nazioni e successi storici per le Azzurre, elogiate per i risultati pure dal presidente Marzio Innocenti, che presentando il neonato campionato di Eccellenza proprio ieri a Firenze, pochi istanti prima di un’altra prima assoluta come la vittoria della nazionale maschile sull’Australia, ha detto che il settore femminile ha sostenuto per anni l’Italia della palla ovale e ora si vuole continuare ad investire per la crescita di tutto il movimento. Parole che rimano con quelle di Andrea Di Giandomenico, che dopo l’approdo ai quarti aveva indicato nel risultato non un punto d’arrivo bensì uno stimolo ulteriore per continuare a far meglio in futuro. E c’è da scommetterci: le ragazze del rugby italiano non vorranno di certo fermarsi qui.