NFL, vincere (e perdere) da protagonisti: le storie di Bill Belichick e Matt Moore
Sport USAIl weekend di NFL appena passato ci ha regalato altre due storie da raccontare: quella di una leggenda, Bill Belichick, che ha conquistato la vittoria numero 300 da head coach; ma anche quella romantica di Matt Moore, 10 anni dopo di nuovo protagonista di un Sunday Night
Felpa con cappuccio e maniche tagliate con le forbici. Una cuffia in testa, uno sguardo perennemente ingrugnato e nessuna, neanche lontanissima, voglia di socializzare. Non esattamente l’identikit di chi è appena entrato in uno dei club più esclusivi, in questo caso dello sport americano, ed invece è l’immagine che meglio rappresenta uno dei più straordinari allenatori della storia dello sport statunitense
Il club dei 300
Bill Belichick nel weekend, dopo tanti trionfi, è entrato anche statisticamente nel “club dei 300” vincendo contro i Browns la sua trecentesima partita da capoallenatore tra regular season e playoffs. Con lui nel club solo Don Shula, che di partite ne ha vinte 347 tra Baltimore Colts e Miami Dolphins, e George Halas una vita, dagli anni 30 alla fine degli anni 60, sulla panchina dei Chicago Bears con 324. Lì sorpasserà entrambi al massimo nel giro di 3 altre stagioni, ma per una volta anche per la mentalità sportiva a stelle e strisce i numeri non servono. Già oggi è facile considerarlo il più grande di tutti nella storia della NFL. Per quello che ha vinto, per come lo ha fatto e per il periodo storico in cui è riuscito a trionfare. Ha saputo dare una struttura alla sua franchigia, prima ancora che alla sua squadra in campo e sconfiggere il più temibile degli avversari: l’era della Free Agency. In un’epoca in cui negli anni la struttura delle squadre è dettata in prospettiva da contratti in scadenza e opportunità da milioni di dollari dietro l’angolo, lui è riuscito a disegnare il roster dei suoi Patriots per quasi due decadi solo secondo le SUE scelte.
Do your Job
Dura capire se sia più difficile amarlo o non stimarlo. Ha fatto dell’essere umanamente respingente una delle sue armi vincenti, ma è talmente bravo che anche per chi non gli augura ulteriori successi è impossibile non ammirarne la grandezza. Mente tatticamente difensiva come allenatore, è figlio della scuola di Bill Parcell ai Giants, ma l’influenza maggiore l’ha probabilmente avuta dal padre, origini croate e una rigida disciplina della Marina Americana. La passione del Football l’ha eredita da lui assieme a lunghi silenzi e una disciplina gelida. “Do your Job” è diventato il motto dei suoi Patriots ed altro non è che la chirurgica abilità di estrarre da tutti i giocatori a sua disposizione il massimo. Se ognuno porta il suo mattoncino, yard dopo yard o una copertura difensiva dopo l’altra, con i suoi schemi e Tom Brady in cabina di regia il successo è quasi garantito.
Ha continuato a vincere con la stessa regolarità con cui ha smentito anno dopo anno quei media americani che avevano fatto intendere, esattamente come in Europa con Sir Alex Ferguson, che la sua fortuna fossero stati i suoi assistenti. I vari Mangini, Groh, McDaniels, Crennel, Schwartz, O’Brian, Saban (l’unico ad aver però vinto tantissimo a livello NCAA e quello che emana la sua stessa “irrefrenabile simpatia”) Patricia e Flores che puntualmente poi, una volta tentata l’avventura da Head Coach in proprio, hanno perso il tocco magico.
Bill & Tom
Belichick è l’artefice primo di tutti i suoi successi e quelli dei Patriots. Lui, le sue scelte tattiche, quelle dietro la scrivania e anche comportamentali ancora più fondamentali della magia del #12 in campo. Si, più facile considerare che Belichick abbia aiutato il “Bel Tom” a diventare Brady ed essere così vincente che il contrario, anche se ovviamente Brady è stata la migliore delle sue scelte. Nel draft e quella di metterlo in campo al posto del pur ottimo Drew Bledsoe.
We’re on to Cincinnati
Una storia di trionfi e di record per un allenatore con 8 Super Bowl vinti (6 da head Coach e 2 da assistente) quello dei Super Bowl giocati e quello di vittorie nei playoffs. Record però anche delle risposte più corte e scostanti alla stampa per cui non hai mai mostrato troppo rispetto e su tutte ovviamente la celebre conferenza stampa del 2014 con il refrain del “We’re on to Cincinnati...”
Belichick way
Un atteggiamento spesso indisponente che è quasi peggiore di quella nuvoletta grigia che segue la dinastia dei suoi Patriots e per cui c’è molto di vero con multe, sospensioni e scelte perse nel draft a confermarlo. Dallo Spygate del 2007 con la denuncia dei Jets di esser stati spiati da telecamere nascoste dei Patriots che riuscirono così a “rubare” le loro chiamate difensive, il “Deflategate” con 11 dei 12 palloni del Championship game del 2015 sgonfiati ad arte secondo la preferenza di Brady, l’abitudine di mettere sotto contratto un giocatore tagliato qualche settimana prima dalla squadra che andranno ad affrontare nel weekend per rubarne qualche segreto in più e poi rilasciarlo, lo spionaggio di cui si sono sentiti vittima i Rams prima del Superbowl 36, il costante falsificare la lista degli infortunati che le squadre nella NFL sono obbligate a consegnare il mercoledì ed aggiornare fino al venerdì. Non vincerà mai nessun concorso di simpatia Belichick, ma probabilmente continuerà a dominare il mondo NFL per anni e della sua leggenda si parlerà per sempre ben oltre l’ingresso nel club dei 300. Sarebbe anzi più giusto tramandare questa dinastia come “Belichick way” più che “Patriots Way”, ma un paio di sorrisi in più non avrebbero stonato.
“C’è papà in televisione!”
Sorridere, nonostante la sconfitta, lo avrà fatto invece al termine del Sunday Night Matt Moore. Dopo un anno di inattività a guardare il Football solo sul divano di casa, alle 5 del mattino di un paio di settimane fa è squillato il telefono di casa facendo sobbalzare la famiglia. Dall’altro capo della cornetta Andy Reid. Con il meraviglioso Pat Mahomes MVP della stagione passata, in quel momento acciaccato e il secondo QB Chad Henne rotto, i suoi Kansas City Chiefs erano un po' a corto di quarterbacks e gli chiedeva se aveva voglia di tornare a respirare l’aria di uno spogliatoio NFL. Neanche il tempo di accettare e arrivare che praticamente si è trovato in campo contro i Broncos per l’infortunio di Mahomes nel corso del match, partita vinta anche grazie al suo lancio da touchdown e le 117 yards dalla panchina. Un’opportunità assolutamente in attesa per il bravo e simpatico Matt Moore. Una vita da back up. In 12 anni di carriera un record personale comunque statisticamente positivo. Lo stesso numero di vittorie e sconfitte 15, con + di 7000 yard lanciate 46 TD pass e 36 intercetti. Un’avventura nella NFL iniziata con un camp con Dallas, la prima occasione con Carolina e lo stop più lungo a Miami con i Dolphins. Domenica notte non gli è riuscita la stessa impresa di 10 anni prima quando con i Panthers in un altro Sunday Night aveva affrontato e battuto i Minnesota Vikings di Brett Favre. Stavolta con 2 TD pass, 267 yards lanciate con 24 su 36 e zero intercetti ha solo messo paura a Rodgers e i suoi Packers, ma tutta l’NFL ha fatto il tifo per lui.
Per un anno ha fatto il papà dei suoi 3 figli e l’assistente allenatore per riconoscenza della Hart High School che aveva frequentato tanti anni fa a Santa Clarita in California. La moglie ha raccontato che nel match contro Denver della scorsa settimana i figli ha urlato con stupore “Oh c’è papà in televisione” tuffandosi sul divano perché almeno 2 di loro non avevano ricordi di lui in campo. Questa domenica ha reso l’NFL un po’ più romantica e prima di ridare il posto da titolare a Patrick Mahomes per la prossima settimana, allargato lo stupore positivo per lui dal divano di casa sua a tutta l’America