Lamar Jackson, un fenomeno che non delude mai: il profilo

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Massimo Marianella

Massimo Marianella

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Alla scoperta del quarterback dei Baltimore Ravens, al momento favorito nella corsa a MVP della stagione. Ecco la storia di come è diventato un giocatore NFL 

Baltimore. Camden Yards. Sul monte di lancio con la maglia degli Orioles in un match di mezza estate contro i (futuri vincitori delle World Series) Washington Nationals sale un “lanciatore” con la maglia numero 8. Primo lancio (anche l’unico) uno strike anche con un apprezzabile spin. Peccato per gli Orioles che fosse solo il lancio inaugurale della partita perché in un, fin troppo lungo, periodo di ricostruzione avrebbero bisogno di qualsiasi tipo di aiuto. Il pitcher occasionale è Lamar Jackson. Il nuovo volto sportivo della città di Baltimore e anche un serio candidato al titolo di MVP nella NFL.

Jakcson ospite speciale lo scorso giugno all'Oriole Park

Talento e casualità

Anti-personaggio per natura che dovrà rassegnarsi al ruolo di protagonista molto presto. Nato e cresciuto in Florida, storicamente terra di giocatori di football, ma prodotto della Louisville University. Lì si è messo in evidenza al punto di vincere l’Heisman Trophy (premio al giocatore dell’anno nella NCAA) nel 2016, il primo nella storia della sua università, ma ha anche proposto limiti e cali di concentrazione che non lo hanno mai reso un prospetto da prima scelta assoluta. Nell’estate del 2017 un certo Dwuane Jones, scout per il Midwest dei Ravens, decise di andare a vedere nello stadio degli Indianapolis Colts (Lucas Oil Stadium) un match tra Louisville e Purdue perché quel giorno non c’era niente di meglio a livello universitario. Vabbè, si disse: una buona chance di dare un’occhiata a qualche prospetto interessante come il cornerback Jaire Alexander (oggi ai Green Bay Packers), l’offensive tackle Geron Christian (Washington Redskins) e il defensive end Trevon Young (scorso anno ai Rams). Lamar sul suo taccuino almeno fino alla mattina non c’era. Vero, era l’Heisman Trophy in carica, ma un passatore troppo inusuale anche per una NFL in movimento ed evoluzione. Troppo diverso il suo modo di giocare rispetto agli standard della Lega. Sceglierlo avrebbe voluto dire abbracciare la sua filosofia e disegnare la squadra e gli schemi offensivi solo per lui. Quella partita a Indianapolis ha cambiato però la visione di Mr Dwuane Jones e il futuro di Lamar. La sera stessa i Ravens hanno ricevuto una relazione per la quale non potevano non sceglierlo nonostante una disastrosa sconfitta nell’ultima partita al College con 4 intercetti contro Mississippi State al TaxSlayer Bowl.

Lamar Jackson (Louisville Cardinals) riceve l'Heisman Trophy nel 2016

E’ tutto nelle tue mani… e nei tuoi piedi

Una storia come molte altre la sua dove la casualità e il talento lo hanno accompagnato a braccetto fino alla grande occasione della vita poi tutto nelle sue mani e, che gli piaccia o no, nelle sue gambe. Arrivato al Camp dei Ravens per apprendere da Joe Flacco ne ha preso il posto alla fine della stagione vincendo 6 delle ultime 7 partite portando Baltimore a vincere la AFC North. E’ stato l’ultimo di 5 quarterback scelti al draft quell’estate a diventare titolare, ma quello che ha finito col maggior numero di vittorie. Nonostante questo però più critiche che complimenti per un match di playoff perso malamente con 3 fumbles, per una sola partita sulle 7 giocate con + di 200 yards lanciate e per una percentuale di passaggi non esaltante col 58,2 % di completi (la 31esima nella NFL) con la conseguente etichetta del QB che può solo correre.

Lamar Jackson, scelta numero 32 nel draft del 2018

Tutti dicono che non sai lanciare

Tornare a casa in Florida ha voluto dire passare un’estate con un vecchio amico, il coach dai tempi in cui era bambino Joshua Harris per correggere gli errori. Prima di ogni esercizio o di ogni drill Harris gli ha ripetuto in maniera ossessiva la frase “Tutti dicono che non sai lanciare”. Lavorato sulla mente, sul fisico con 6 kg in più di muscoli, come sulla tecnica. Per migliore la precisione nei passaggi Harris gli ha dimostrato che doveva correggere il movimento della spalla, tenerla più chiusa anche per aumentare la velocità di uscita del pallone. Quel movimento aggiunto al poggiare meglio il peso sulla gamba d’appoggio dietro ha migliorato precisione e rapidità. Un’estate di lavoro e di crescita. L’ennesimo capitolo della storia “vado in campo per dimostrare a tanti che su di me si sono sbagliati” e il primo ad ammetterlo candidamente sarà Bill Polian storico GM di Buffalo, Carolina ed Indianapolis oggi apprezzato commentatore televisivo. 

Mica male per un running back…

Si è ripresentato quest’anno a Miami in casa dei Dolphins ed ha iniziato a riscrivere i numeri della storia della sua franchigia. Alla prima di campionato 5 TD pass, 17 su 20 per 324 yards e un passing rate che nessun QB nella storia dei Ravens aveva mai raggiunto in una partita di 158,3. Era poi dal 2013 con Payton Manning che un quarterback non iniziava la stagione lanciando 5 TD pass. Il suo commento in sala stampa all’Hard Rock Stadium a chi a fine partita gli sciorinava questi numeri fantastici? “Però! Mica male per un running back…”. Una punta di polemica detta però con un sorriso fondamentalmente per ribadire un concetto: sono un quarterback!

La stretta di mano con l'MVP uscente, Patrick Mahomes

Brady, Mahomes e l’MVP

Un personaggio particolare Lamar Jackson. Timido e gentile, ma estremamente positivo. Parla poco, ma è spiritoso e mai banale, odia correre ed è il quarterback più mobile della Lega. Due contraddizioni forse, ma sono anche la sua forza. Le critiche non lo scalfiscono, i numeri come quelli di questo inizio di stagione non lo esaltano. Nonostante si tratti di statistiche fantastiche con 15 TD pass e solo 5 intercetti, 2036 yards lanciate con un rating di 101,7 e quando si è messo in proprio sfruttando l’agilità delle sue gambe 702 yards con una media di 6,6 per portata e 6 TD personali. Odia che si dica che è un running-QB, ma vederlo correre è esaltante. Quando lascia la tasca ha anche una dinamica molto personale, allorché si mette il pallone sotto il braccio anzi molto più in alto come fatto i suoi colleghi quando sono costretti a correre, ma terribilmente efficace. Durante il Training Camp aveva stupito tutti quando nelle poche parole che regala, aveva detto “Io sto provando a competere con Brady per arrivare al suo livello”. Più un’indicazione di voler crescere che una sfida, ma quando lo ha affrontato la scorsa settimana Brady lo ha sconfitto nettamente interrompendo l’imbattibilità dei Patriots. Oggi Lamar Jackson è un giocatore completo ed elettrizzante. Corre, passa e soprattutto vince. Per la NFL uno dei nuovi giocatori simbolo dell’intera Lega e la rivalità tutto spettacolo con Patrick Mahomes, l’MVP della scorsa stagione è già partita. Un titolo individuale che quest’anno potrebbe essere il suo.

L’aneddoto dell’autografo

A Baltimore lo amano tutti per le sue imprese in campo tanto quanto per il suo comportamento fuori. Sempre un sorriso con foto ed autografi per tutti. “Quando ero piccolo riuscii ad arrivare vicino al mio idolo Randy Moss e gli chiesi il suo autografo che sognavo. Mi ha lasciato lì e se ne è andato senza firmare. Ho giurato in quel momento a me stesso che se mai fossi davvero diventato un giocatore come speravo, non avrei mai deluso nessuno”. Proposito chiaramente centrato perché Lamar Jackson non delude davvero mai.  

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