MLB, World Series 2023: Texas Rangers campioni, Arizona Diamondbacks battuti 5-0 in gara 5

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Danilo Freri

Danilo Freri

Per la prima volta nella loro storia i Texas Rangers hanno conquistato il titolo, battendo 5-0 in gara 5 gli Arizona Diamondbacks. I Rangers erano fino a oggi la franchigia più anziana della MLB senza una vittoria nelle World Series. Ci sono riusciti nella maniera più incredibile, entrando ai playoff come 5^ testa di serie su 6 dell'American League e andando a vincere ben 11 gare consecutive in trasferta

Un’altra lunga attesa è terminata. E’ toccato ai Texas Rangers interrompere una serie di stagioni senza vittorie e conquistare il titolo del baseball MLB, in quella finale che da sempre si chiama World Series e che indica i migliori di tutti, allargando il suo significato a livello planetario ben al di fuori degli USA. Se 119 anni fa poteva sembrare un eccesso da americani imperialisti definirla una “Finale Mondiale”, da tanti anni questa denominazione è accettabile. In MLB giocano davvero tutti i migliori, in uno sport che non è solo americano, ma altrettanto seguito, tifato e giocato in tutti i paesi latini e dell’America Centrale, in alcuni stati di quella del Sud, in molto paesi asiatici come Giappone e Corea del Sud, in Australia. Tutti con presenze importanti a livello di Major League (e c’è anche qualche presenza europea). 

La prima volta dei Rangers

Texas non aveva mai vinto in 63 anni di storia. C’è riuscita con grandi meriti, con l’apporto fondamentale di Corey Seager (North Carolina), Marcus Semien (californiano di San Francisco), Nathan Eovaldi (texano della zona di Houston), ma anche di Josè Leclerc (Santo Domingo) o del cubano Adolis Garcia. Resterà per sempre un’impresa di ricostruzione rapida. Due anni fa i Rangers hanno perso 102 partite. Lo scorso anno non è poi andata molto meglio, visto che ne avevano perse 94. Tanto per capire, ne giocano 162 in regular season e per avere un record positivo bisogna vincerne 82. Quest’anno sono arrivate 90 vittorie, ma potevano essere molte di più se una serie di infortuni non avesse limitato una squadra che è stata a lungo una delle migliori in assoluto. Nella postseason, poi, il capolavoro: ha sempre vinto contro squadre che avevano il vantaggio del campo, ha risolto il problema vincendo tutte le 11 partite giocate in trasferta, ha vinto la finale contro Arizona per 4 partite ad 1, ha trionfato 5 a 0 in gara 5.

Modello imitabile?

Difficile dire se il modello Texas Ranger sia qualcosa che si può imitare. Hanno una buona disponibilità economica, ma in MLB non sono certo i soli. La differenza è che hanno speso bene i loro soldi. Due anni fa hanno deciso di puntare sui free agent disponibili sul mercato e hanno preso Corey Seager (che aveva già vinto il titolo con i Dodgers con tanto di MVP della World Series 2020), Marcus Semien (ritenuto forse il più forte seconda base disponibile). Hanno investito 500 milioni di dollari per due giocatori. Hanno anche aggiunto Jon Gray, altro lanciatore che ha avuto un ruolo importante. E così hanno continuato a fare anche l’anno scorso portando ai Rangers Nathan Eovaldi (“Big Game Nate”, un lanciatore fatto per vincere gare importanti), Andrew Heaney. Soprattutto Jacob deGrom, il più forte lanciatore partente di questi ultimi anni in MLB. Questo l’hanno perso subito (operato al gomito), ma la grande profondità ottenuta con le acquisizioni ha pagato. Nell’ultimo mercato estivo del 2023 hanno aggiunto ad ulteriore garanzia Max Scherzer e Jordan Montgomery, altri due lanciatori. La superiorità nei playoff data dall’avere a disposizione tanti partenti è stata evidente, soprattutto nella finale contro Arizona. Ci sono stati infortuni (non mancano mai tra i lanciatori) ma le alternative erano tante ed erano pronte. Texas ha dato ragione alla vecchia legge non scritta del baseball: per vincere nella postseason devi avere soprattutto un monte di lancio solido. Qui vale ancora di più perché dal punto di vista offensivo i Rangers già erano una delle squadre più attrezzate. Una macchina per fare punti. Un ordine di battuta tremendo, dal numero 1 al numero 9, con la possibilità di fare fuoricampo in qualsiasi momento e con qualsiasi battitore. Il differenziale tra punti fatti e punti subiti in stagione è di +165.

Il ruolo di Chris Young

Tutto questo è stato creato da Chris Young, un giovane General Manager, ex grande lanciatore di MLB per 14 stagioni con un titolo vinto nel 2015 con i Kansas City Royals. Gli hanno dato la valigia con i soldi e ha scelto gli uomini giusti. Senza dimenticarsi di scegliere anche il comandante giusto. I campioni da soli non bastano. Young ha convinto Bruce Bochy a lasciare la sua vita da pensionato e tornare nel dugout per dirigere una squadra da titolo. Nonostante i suoi 68 anni. Ci era già riuscito 3 volte con i San Francisco Giants in carriera. Gestire i campioni è il suo mestiere e Young ha preso il migliore. Detto così sembra facile. Compri giocatori forti, prendi un buon manager. Vinci. Sembra un’operazione di pura matematica elementare applicata al baseball. 1+1=2, cioè vittoria. Non è così. L’operazione di solito da risultati sballatissimi. Per molte squadre in questi anni 1+1 ha fatto zero. Ci hanno provato anche gli Yankees, che non vincono dal 2009, i Dodgers lo hanno fatto per tanti anni e hanno vinto solo nel 2020, i San Diego Padres quest’anno dovevano essere i più forti sulla carta e hanno fallito. Le variabili che fanno diventare il baseball qualcosa di imprevedibile e incostante, si applicano sempre. Il baseball è un atomo bombardato in un acceleratore di particelle, a volte puoi solo stare a vedere come reagisce, cosa succede, quali conseguenze instabili provoca. Per questo l’impresa dei Rangers è un fatto epocale. Per i 63 anni senza vittorie e per come è avvenuta. C’è anche molto più di questo. Ci sono state le aggiunte di due rookie che hanno mostrato una maturità e una capacità di rendimento favolosa come Jung e Carter (21 anni appena compiuti, chiamato in settembre, ha vinto il titolo in due mesi di carriera). C’è stata la definitiva affermazione di giocatori che completano la squadra come Adolis Garcia, un cubano trentenne tagliato due volte, una carriera anonima fino ad un paio di anni fa ma diventato uno dei più formidabili battitori di potenza che giochi attualmente in MLB.

Il ruolo della proprietà

Nonostante questo, potrebbe esserci un modello Texas Rangers a cui, forse, ispirarsi. La proprietà rappresentata da due soci come Ray Davis e Bob Simpson è presente nei consigli di amministrazione, quasi assente fuori. Nessuna esposizione, nessun protagonismo, nessuna interferenza. Hanno scelto gli uomini a cui affidare la squadra. Punto. Fanno loro. Chris Young gestisce e riferisce. Della squadra si occupa gente che capisce di baseball. Anche qui, sembra scontato. Ma nel mondo dello sport non lo è. Gli esempi di proprietari presenti a sproposito si sprecano. Fate voi l’elenco che preferite. Manca solo da descrivere la pennellata che ha reso perfetto il quadro. Corey Seager. Senza quel tocco d’artista non ci sarebbe stato capolavoro. Magari qualcosa di bello, ma non questa meraviglia. Ci sono giocatori che rappresentano un valore aggiunto. Seager è un vincente. Ha vinto con i Dodgers e con i Rangers, ora è diventato uno dei pochi ad essere MVP della World Series per due volte. Aveva lasciato Los Angeles per gli allora derelitti Rangers. Tanti soldi, ma sul piano sportivo sembrava una follia. E’ diventata una delle avventure più significative e importanti della storia recente del baseball. Grande battitore (6 fuoricampo nella postseason, 3 nella finale), ma anche grande difensore. Leggiamo le sue statistiche e scopriamo che sono paragonabili a quelle di Reggie Jackson (soprannominato Mr. October per la sua capacità di incidere nel mese della postseason e vincere) o di Derek Jeter (stesso ruolo di Seager, interbase, stessa capacità di fare la differenza in attacco e in difesa e di farlo in momenti importanti). Jackson e Jeter, due leggende. Forse è il caso di dire che le leggende ora sono tre. Seager è un leader silenzioso. Un esempio da seguire per quello che fa, non per quello che dice. Senza lasciarsi andare a manifestazioni di esultanza sopra le righe. Con un’unica passione sfrenata per la storia, l’Antico Egitto in particolare. A uno così, farà piacere comprendere che è stato lui, questa volta, a fare la Storia.