La Divina Lea Pericoli, simbolo di eleganza e libertà

Aveva ragione come al solito il grande Gianni Clerici, quando su Repubblica scrisse che quelli del tennis erano tutti innamorati di Lea Pericoli. Testuale: “Un’immagine femminile che idealizziamo, sia quella che non oso dire, sia la mamma, sia la moglie”. Lea è stata sempre un po’ di tutto questo: l’eleganza e la bellezza nel tennis e pure dopo. Anche se poi, chi ha avuto la fortuna di condividere con lei qualche momento off records - ovvero a telecamere e microfoni spenti - sa che Lea era irresistibilmente più simpatica ed estroversa di come appariva in tv. A tratti addirittura sboccacciata, con frequente utilizzo di espressioni colorite, rese ancor più squassanti dalla classe innata che la contraddistingueva, anche in quei momenti. Donna unica, in tutti i sensi. Eccellente tennista, per tre lustri la migliore giocatrice italiana, dieci titoli agli Assoluti in singolare, undici in doppio e sei in misto per un totale di ventisette coppe, nei tornei del Grand Slam ha raggiunto gli ottavi quattro volte al Roland Garros e tre volte sull’erba di Wimbledon. In carriera ha battuto molte campionesse di Slam tra le quali Billie Jean King. Famosa per la sua grinta incrollabile, i suoi pallonetti millimetrici e ancor più per le mutandine di pizzo che indossava sotto i vestitini disegnati per lei dal sarto delle dive britannico Ted Tinling. Ma le mettevo solo quando sapevo che quella partita l’avrei vinta, specificava lei… I suoi gonnellini, tra cui uno di visone, sono esposti nel Victoria Albert Museum di Londra. La storia iniziò nel 1995 quando Tinling la vestì per il suo debutto a Wimbledon contro la spagnola Maria-Josefa de Riba, Non di bianco, come da regolamento, ma con culotte e sottoveste rosa. Fra lunghezze non rispettate e colori fuori dagli schemi, il padre le vietò di riprendere in mano la racchetta per un anno. Ma al suo ritorno Lea non rinunciò a pizzi e piume, vistosi fiocchi e diamanti preziosi - senza mai dimenticare l'iconica e insostituibile bandana che portava sui capelli. Altri tempi, certo. Ma proprio per questo, e per il suo saper andare contro le convenzioni in un’epoca molto diversa da quella attuale, è innegabile l’impatto che Lea Pericoli ha avuto sull’emancipazione femminile nello sport. Un’icona e un talento, in tutto. Appena smette di giocare Intro Montanelli la prende a scrivere per Il Giornale, quotidiano da lui diretto. Ma Lea ci sa fare anche davanti alla telecamera, tanto da diventare la conduttrice di “Paroliamo”, uno dei primi game show della televisione italiana, su Telemontecarlo. Dove sarà anche ottima telecronista di tennis per molte stagioni. Ma non solo, Lea è stata anche un’antesignana della battaglia contro i tumori, quando dopo aver scoperto il suo, divenne prima donna testimonial per la lotta contro questa malattia. E poi anche scrittrice, se vi capita leggete Maldafrica, il libro in cui racconta la sua vita e le sue origini ad Addis Abeba. O anche C’era una volta il tennis, affresco di uno sport che quando giocavano lei e il suo grande amico Nicola Pietrangeli era molto diverso da oggi. Non è un caso che per il ristorante fashion del Foro Italico sia stato scelto l’acronimo di LEA, Lounge Extended Area, perché la Pericoli era e sarà per sempre fashion, simbolo di intelligenza e libertà. Non so perché ma mi viene da pensare a Raffaella Carrà, ci sono delle analogie evidenti. Grande Lea, simpatica e sorridente, casco di capelli biondi, occhiali con sfumatura viola, battuta sempre pronta e sai che ti dico? Aveva fatto proprio bene Gianni Clerici - sempre lui - a soprannominarla La Divina.