Il Masters 1000 di Parigi è più che magnifico

Paris c’est magnifique. Troppo banale? In effetti Parigi è più che magnifica. Parigi a fine ottobre è punto di arrivo e di partenza insieme ed è capitale di tennis dal fascino ineguagliabile e dall’importanza indiscutibile. Londra avrà anche Wimbledon, ma Parigi ha sia il Roland Garros, sia un omonimo Masters 1000, il che vuol dire avere il privilegio di ospitare i migliori al mondo non una, ma due volte in una singola stagione. Chiaramente, i due tornei non potrebbero essere più diversi tra di loro: il Roland Garros si riconosce per il profumo di terra rossa inumidita che si mischia allo champagne che scorre nelle lounge sul Philippe Chatrier mentre un tiepido sole di giugno promette un’estate che, col clima che ha Parigi, non arriverà mai. Il masters 1000 di Parigi – non più Bercy – si gioca sul cemento indoor, a volte rapidissimo, come nel 2024, a volte lentissimo, come nel 2023, anno in cui tutti gli otto partecipanti alle ATP Finals poi lamentarono la differenza di condizioni tra la Accor Arena e il Palalpi Tour, adeso Inalpi Arena. Il tennis indoor a Parigi vuol dire frastuono, musica, rumore di tacchi che corrono veloci dalla metropolitana fino alle scale mobili fino a entrare in campo senza chiedere il permesso. Il tennis indoor a Parigi vuol dire la tribune Bleue che canta ‘la Marseillaise’ mentre al cambio di campo il dj preferisce ‘Viva la Vida’ dei Coldplay. E intanto fuori piove quanto basta per ricordarci che è autunno, nonostante il riscaldamento asfissiante al chiuso. Parigi è così. Qui esiste poesia anche in tangenziale, con il foliage che prende forma sul ciglio della strada mentre piccole gazze osservano curiose le macchine bloccate. Qui – e per qui adesso si intende il quartiere Nanterre – l’atmosfera più intima di Parigi custodita dall’acre odore della Senna che presto diventa familiare, si mischia con la modernità di grattacieli troppo alti e squadrati. Qui si decide chi va alle ATP Finals. Qui tutto può succedere – che è un cliché, ma supportato dall’aritmetica. Qui il confine tra una settimana come tante e un miracolo sotto la Tour Eiffel vale 1000 punti. Immensità Il primo impatto con la Defense Arena lascia una sensazione di immensità. Che fosse il palazzetto più grande d’Europa non è una sorpresa, ma, come tutti gli impianti veramente grandi, la magnitudine si percepisce prima con gli occhi, poi con i numeri. La fila per entrare in campo è quadruplicata eppure il tempo per smaltirla si è dimezzato. I gate sono tanti quanti ne si possono trovare al Roland Garros e scegliere quello giusto inizialmente è complicato, tanto più se, nel mentre, la pioggia da timida diventa sempre più scrociante fino a essere audio-ambiente non protagonista insieme a Darderi e Cazaux, chiamati a inaugurare un campo Centrale da 16.500 posti. Moltiplicata la capienza, moltiplicata la musica, da ‘Miami’ di Will Smith – scelta ironica a Parigi – a ‘Cryin'’ degli Aerosmith. Il soundtrack più esplosivo, però, è il frastuono che arriva dal campo 1, animato da un Flavio Cobolli capace di regolare Tomas Machac in 54 minuti. Non va altrettanto bene a Darderi, primo a sperimentare una rinnovata lentezza di condizioni di gioco. L’impressione è che, comunque, ricreare il pantano travestito da parquet pensato nel 2023 sia impossibile. Che non si dica che Luciano non ci abbia provato, in una partita in cui, per quasi un set, qualsiasi pretesa di scambi prolungati veniva soffocata sul nascere dal servizio e da tante discese a rete di Cazaux, scelta tattica giusta, ma non giustissima, pensando ai passanti competitivi di Darderi. La partita si anima soltanto dal 5-4 nel primo set, un po’ perché la Tribuna Bleue tira fuori i tamburi, un po’ perché Darderi sfida la manualità che il passante di rovescio di Cazaux, uscendone sconfitto in entrambi i casi, ma un po’ di più nel punto da circoletto rosso che non sembra scientificamente possibile per un ragazzo che ha sofferto di gravi problemi alla schiena e che porta il francese ad avere due set point. In realtà poi a Cazaux servono due tiebreak per vincere la partita – nel mezzo anche smarrendosi con il dritto nello scambio. A fine match l’impressione è che Darderi e Cazaux si siano studiati e si siano memorizzati, diventando sempre più prevedibili l’uno per l’altro. Luciano avrebbe meritato almeno un set, ma 16 ace sul cemento indoor sono una tassa difficile da pagare. Non rimane che riguardare la partita mettendo enfasi soltanto sui meriti, preziosi, preziosissimi per il 2026. Novità La grande novità – non da poco – alla Defense piuttosto è il campo 1. Che finalmente ospita tutti. Anche chi non ha difeso il proprio seggiolino con le unghie e con i denti dalle 11.00. L’attesa è tutta per Terence Atmane, il sorprendente semifinalista nel Masters 1000 di Cincinnati che, per usare un lessico rubato al golf, non ha passato ‘il taglio’ per giocare sul Centrale, sconfitto dallo status di Andrey Rublev da testa di serie numero 12. A voler essere scaramantici, nel 2024 ad arrivare in finale a Bercy fu quell’Ugo Humbert che, da numero 1 di Francia, finì per due turni di fila sul campo 1 perché schiacciato dal potere mediatico di Fils e dai risultati positivi di Mpetshi Perricard. L’impressione, però, è che prima di poter guardare in fondo, Atmane debba riuscire a gestire sé stesso, sfruttando l’energia di un pubblico che rumoreggia per lui ma con la discrezione dovuta a un ragazzo così sensibile. La sfida contro Vukic non è impossibile e, nel frattempo, la pressione è tutta su Arthur Rinderknech che viene dalla finale nel Masters 1000 di Shanghai e che è impegnato in contemporanea sul campo Centrale contro Marozsan. Forse perché mancino, forse perché creatore di tennis, Atmane ha qualcosa che ricorda il nostro Mattia Bellucci: entrambi sono creativi, istintivi, pronti sempre a rischiare il vincente e chiamati, nel tempo libero, a riordinare pensieri e interessi che vanno oltre il tennis. Entrambi danno la sensazione che serva soltanto un ‘clic’ per vederli più spesso nei tornei che contano. Quello di Atmane potrebbe essere arrivato a Cincinnati, quello di Bellucci, forse, non è arrivato dopo Rotterdam. Nei primi tre game contro Vukic il francese sembra avere tutte le buone intenzioni di passare l’australiano ai raggi X per poi approfittarne. Il passante che gli dà il 30-0 in risposta sul 2-1 nel primo set è delizioso, ma da lì in poi la partita si ingarbuglia in meandri di sregolatezza reciproci che rendono quasi impossibile trovare un filo logico in campo. Atmane riesce ad andare al terzo set perché Vukic gli è specchio di cosa succede in carriera a non mettere un granello di tattica in un ingranaggio imperfetto chiamato istinto. Serve sentire ‘Every teardrop is a waterfall’ in versione cover realizzata dagli Swedish House Mafia per ricordarsi che, nel frattempo, almeno Rinderknech ha vinto. Sul campo 1, invece, ad avere la meglio è Vukic, che al secondo turno troverà Fritz in una sfida che inizia a interessare da vicino Lorenzo Musetti, ottavo nella race ma a meno di 200 punti da un ribaltone di seeding più che mai provvidenziale in vista di Torino. Ad Atmane rimane la delusione di avere approcciato la partita con ansia e aspettative eccessive, ma soprattutto, rimane la preoccupazione di non essere dove vorrebbe in termini di spostamenti laterali e di scatto in avanti. La sfida che segue, sempre sul Campo 1, tra Popyrin e Bublik è la più affascinante tra tutti gli incroci di primo turno – e non pensiamo esista rischio di essere smentiti. La premessa è di non aspettarsi scintillanti scambi da fondocampo, la speranza è di godersi una partita che possa essere didascalica per pulizia di gesto tecnico. Il talento di entrambi vale almeno una finale di un ATP 500, se non di un Masters 1000. Nel frattempo, in realtà, i due si sono affrontati in finale nell’ATP 250 di Singapore, nel 2021, in un torneo nato rapidamente e morto altrettanto rapidamente ai tempi del Covid-19. A vincere era stato Popyrin, che, però, sembra incerottato anche semplicemente nel presentarsi in campo. Il servizio prende spinta dalle gambe più che dalla schiena e la scarpa tolta nel cambio di campo sul 2-1 nel secondo set suggerisce un possibile problema di vesciche. Quanto a Bublik, si vedrà se prevarrà il Dottor Jekyll che ha chance – a dire il vero soltanto aritmetiche – di qualificarsi alle ATP Finals o il Mr. Hyde in clima da ultimo giorno di scuola. Il pubblico alla Defense Arena sceglie il kazako – come se fosse francese – ma i fuochi di artificio alla fine non sono tanti, se non una volée appoggiata con la mano per dare a Bublik il primo punto nel quinto game del primo set e un po’ di smorzate da accademia negli ultimi sussulti di partita. Popyrin è sistematicamente insicuro in tutti i momenti, peggio se importanti, come sul 5-4 nel primo set, in cui deve costruire con il proprio dritto – tra l’altro anche il fondamentale preferito – e la sensazione è che l’australiano debba re-imparare a essere concreto per tornare ai livelli che gli hanno permesso di vincere il Masters 1000 di Montreal nel 2024. Il problema è che la fiducia in campo non si allena, ma arriva in modi misteriosi. E uno di questi modi misteriosi non è sicuramente il serve and volley sul 3-2, 30-30 nel secondo set, errore da matita blu che, di fatto, è valso come un match point. A fine partita i due non si stringono la mano e capiamo che nel cambio di campo sul 2-1 Bublik, che da lontano sembrava quasi scherzare, invece era stato tutt’altro che felice per le scuse mai arrivate da Popyrin dopo aver preso due nastri a favore sulla palla break. L’utopia ATP Finals prosegue. Per ora. Mistico e magico Aspettando che le tribune vengano riaperte al pubblico per la sessione serale, l’odore di fritto inebria la Defense Arena, mentre ‘Where is my mind’ si alterna ad ‘How to save a life’ . Nel frattempo Jannik Sinner ha iniziato a conoscere il nuovo campo Centrale offrendosi come sparring partner di Grigor Dimitrov, in un momento che, per citare un’altra canzone passata per le casse nel palazzetto, è “mistico e magico”. Rivederli insieme è un segno che arriva dal destino, un messaggio cifrato di quanto possa essere mistico prepararsi per la prima partita dopo quasi quattro mesi di stop per infortunio insieme alla persona che ti aveva portato le racchette mentre uscivi in lacrime dal campo Centrale di Wimbledon con il pettorale strappato. Sbirciare è concesso per cinque minuti di orologio, il tempo di sentire lo schiocco immacolato del dritto di Jannik su piatto corde e di vedere, sullo sfondo, Rublev che firma autografi mezz’ora dopo la vittoria contro Fearnley. Alle 19.00 parte la sessione serale e Grigor Dimitrov viene accolto dal pubblico con il rispetto dovuto a chi ha un credito con il destino. Se il bulgaro non giocasse contro un francese, ci sarebbe una standing ovation per lui. Purtroppo, però, dall’altro lato di campo si stagliano un nome, due cognomi e un altro rovescio a una mano. In più, Giovanni Mpetshi Perricard, con la propria personalità pacata e poco espressiva, costringe il pubblico a un supplemento di tifo non indifferente per evitare una spiacevole mestizia nei momenti di difficoltà che – spoiler – puntualmente si verificherà. E così, un ‘semplice’ ace a 243 km/h, tra l’altro su una tra le tante parità sull’1-0 nel primo set, viene accolto con un boato da finale al Roland Garros. Sfortuna per il francese vuole, però, che, se parte lo scambio, Dimitrov, anche a mezzo servizio, ha qualità inarrivabili non soltanto in termini di talento, ma anche in termini di costruzione tattica, che poi è la qualità che distingue i top ten da tutti gli altri. Quel che deve preoccupare Mpetshi Perricard è che, se paragonati al 2024, le gambe sulle volée scendono con meno lucidità nei riflessi e gli spostamenti laterali sono tendenzialmente scoordinati. Il servizio inizialmente aiuta anche nel momento in cui, nel frattempo, dal campo 1 arriva il frastuono generato dalla vittoria di Muller contro Nakashima. Dal tiebreak nel primo set, però, Mpesthi Perricard inizia a litigare con la rete, con errori da matita blu dal primo all’ultimo punto. A dargli la mazzata finale, il modo in cui Dimitrov ha usato il back di rovescio, tra tagli e variazioni per generare potenza con il successivo dritto, nel game che gli ha dato il 3-0 nel secondo set. Una strategia da esporre al Museo del Louvre – ci sta dirlo, visto che siamo a Parigi. Bentornato, Grigor. Non potrebbe esserci notizia di giornata più bella per il tennis.

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Il Masters 1000 di Parigi è più che magnifico

Michela Curcio