Giannelli: "A Perugia sono diventato uomo, con la Champions ho coronato un sogno"

Iniziamo dall’attualità. Pochi giorni fa Perugia ha conquistato la Champions League, battendo in finale lo Zawiercie dopo una battaglia di cinque set. È stato il primo successo nella competizione sia per il club sia per te: hai provato più felicità o più ‘sollievo’ ora che il tuo palmares è completo? “Come ho sempre detto anche prima di vincerla, c’era più ‘ossessione’ da parte degli esterni che da parte mia per la Champions. È chiaro che mi sarebbe sempre piaciuto vincerla ma chi mi conosce sa che ho portato avanti la mia carriera senza questa missione, se mi fossi ritirato senza questo trofeo non mi sarebbe cambiata la vita. Oggi però l’abbiamo vinta, e non posso che esserne contento: non c’è alcun tipo di sollievo ma solo tanta felicità”. C’è stato un momento in cui hai pensato “questa la vinciamo”? “Sì, parecchie volte. Ma sono stati altrettanti i momenti in cui ho pensato che l’avremmo persa, devo essere sincero . Soprattutto nel terzo e quarto set. Solo quando siamo andati al tie break e ho visto che avevamo iniziato con il piglio giusto allora ho iniziato a essere fiducioso”. Avete iniziato bene la stagione con la Supercoppa e l’avete finita benissimo con la Champions. Nel mezzo però c’è stata un’eliminazione dolorosa nei playoff scudetto contro la Lube. Qual è il bilancio di questa stagione? “Un bilancio super positivo. La Lube è una squadra di tutto rispetto, è una società storica che lotta ogni anno per arrivare in fondo alle competizioni. Essere stati eliminati in gara 5 non è stato piacevole ma è stata una serie molto combattuta, per non parlare del fatto che siamo comunque arrivati terzi. Una medaglia, anche di bronzo, va sempre festeggiata. Abbiamo qualche rammarico per la Coppa Italia, dove siamo stati molto sfortunati: a partire dall’intervento alla schiena di Roberto Russo fino a diversi altri infortuni a rotazione nei momenti importanti. Ma lo sport è così: l’anno scorso siamo stati tutti benissimo, e si è visto, quest’anno meno ma ci sta, ogni stagione fa storia a sé. Quindi annata super positiva, un voto altissimo a tutti. Sono contento e orgoglioso del percorso che abbiamo fatto”. Tu invece? Sei soddisfatto? Hai il rimpianto per qualcosa che avresti potuto fare meglio? “Qualcosa che avrei potuto fare meglio di sicuro c’è. Vale anche nella vita, non solo nello sport. Cerco di non vivere con il ‘senno di poi’, penso al presente e sono molto contento di ciò che ho realizzato in questa stagione. Credo di non essere ancora all’apice della mia carriera, di avere dei margini ulteriori di miglioramento: lavoro ogni giorno con quell’obiettivo, per limare i dettagli e migliorare costantemente. Quest’anno penso di aver aggiunto diverse cose al mio bagaglio”. Parliamo un po’ dell’ambiente di Perugia. Il presidente Gino Sirci è un grande appassionato, tu e la squadra avete sentito in qualche modo la ‘responsabilità’ di dover vincere? “Ognuno è fatto a modo suo, il presidente è una persona entusiasta, coinvolta, ama il volley e trasmette la sua passione per questo sport. Appunto, ognuno la vive a modo suo, noi da squadra volevamo la vittoria della Champions, non abbiamo mai avuto la percezione di doverlo vincere. Il dovere nello sport non esiste, per mille motivi. La sua bellezza sta anche in questo aspetto. Volevamo vincere con tutti noi stessi e ce l’abbiamo fatta”. Nel 2021 sei passato da Trento, la squadra della tua regione, a Perugia, abbracciando un progetto nuovo per la tua carriera. Che cosa è cambiato in questi anni? “Quella di quattro anni fa non è stata una scelta facile: squadra nuova, città nuova, persone nuove. Mi ha fatto crescere, mi ha permesso di conoscere una realtà nuova, perché effettivamente era una situazione che non avevo mai sperimentato in carriera. Ho cercato di farmi trasportare, di mettermi in gioco. Ho portato me stesso qui in Umbria, con i miei pregi e i miei difetti e sono contento della storia che abbiamo scritto finora, del rapporto con la società, con i tifosi e delle opportunità che ho avuto a Perugia”. Ti senti maturato più da un punto di vista professionale o da un punto di vista umano? “Assolutamente entrambi. Ho lasciato Trento che ero un ragazzo, la città dove sono cresciuto, per cambiare città e regione. Quello di Perugia è un Simone più uomo. Stesso discorso per il lato sportivo. Quando ho firmato il contratto con questa società mi era stato chiesto di portare a Perugia dei trofei, compresi la Champions e il Mondiale per Club, che non erano mai stati vinti. Oggi abbiamo vinto tutto, e per farlo sento di aver alzato il mio livello. Per il percorso che abbiamo fatto tutti insieme per arrivare ai nostri successi di questi anni, più che per le vittorie in sé, credo di essere maturato e migliorato tanto”. Hai appena vinto anche il titolo di Mvp della Final Four: nel tuo ruolo sei considerato da diversi anni il migliore del mondo. Questa etichetta ti stimola o ti fa sentire sotto pressione? “La pressione mi piace, più ce n’è più sono contento . Perché mi fa capire che sto facendo qualcosa di importante, che ci sono tante persone che ti guardano e ti seguono: è figo, lo trovo positivo. Però, come dico sempre, preferisco le vittorie di gruppo. La pallavolo è uno sport di squadra, è quello il senso del gruppo. I premi vengono dopo, se arrivano bene, altrimenti non è un problema. Sia nei successi sia nelle sconfitte ci sarà sempre qualcuno che mi apprezzerà e qualcuno a cui non piacerò: cerco di non pensarci e di continuare a fare il mio percorso. Sono contento e grato della carriera che sto avendo. Conta quello”. Nel tuo ruolo conta molto l’esperienza, non è raro vedere palleggiatori di altissimo livello sopra i 30 anni. Tu sei ancora giovane ma allo stesso tempo sei già un veterano, ti ci vedi a giocare fino ai 40 o anche dopo? “Lo spero! Mi farebbe molto piacere arrivarci, possibilmente in forma. Però sai, da atleta non si può mai sapere, la salute e il fisico sono qualcosa che non possiamo prevedere nel corso delle stagioni. Io ho ancora 28 anni, vado per i 29, ma è usanza dire che i palleggiatori cominciano a essere bravi superati i 30. Penso di avere ancora del margine di miglioramento. La voglia di mettermi in gioco è tantissima, perché penso davvero di poter diventare più forte sotto tanti aspetti del gioco. L’obiettivo è crescere ancora, vedremo dove arriverò”. Se davvero non sei ancora arrivato all’apice della carriera, che obiettivi ti sei prefissato per il futuro? Considerando che in carriera hai già vinto praticamente tutto. “Continuare a crescere. Continuare nel mio percorso con la stessa mentalità e non farmi influenzare da niente e da nessuno. Mantenere la rotta che ho tenuto nel passato sperando di migliorare ancora di più”. Per il post carriera hai mai pensato se ti piacerebbe un giorno sederti in panchina? “Ne parlavo giusto l'altro giorno con Angelo . Per il momento è una cosa che non sarei in grado di fare. Dopo una vita passata a girare il mondo per la pallavolo, stando lontano dalla famiglia, l’idea di iniziare ad allenare non mi attira. Stare lì in disparte, guardare giocare gli altri, magari innervosendomi per dinamiche che sfuggono al mio controllo: per ora è un no, non mi sento pronto. Ci penserò magari tra qualche anno”. In questi giorni sei in ritiro con l’Italia, di cui sei capitano, per preparare la Nations League. In questi anni avete vinto tanto con la nazionale, che obiettivi avete per i prossimi impegni? “Possiamo ancora alzare il livello rispetto a quanto fatto negli ultimi anni, nonostante i successi recenti. La squadra è ancora giovane ma il livello è già incredibilmente alto. Certo, la concorrenza è altrettanto forte, a noi serve riuscire a dare continuità alle nostre prestazioni per fare quel passo in più che ci permetta di vincere altri titoli”. A 29 anni sei uno dei veterani dell’Italia. Come hai vissuto il ricambio generazionale di questi dieci anni di nazionale? Siete al massimo del vostro potenziale? “Spero proprio di no, perché alle ultime Olimpiadi siamo arrivati quarti. Sono convinto che questo gruppo abbia ancora tanto potenziale, lo dico sempre ai miei compagni. Negli ultimi anni abbiamo vinto sia il Mondiale sia l’Europeo ma conta molto anche la continuità: una nazionale è forte quando arriva sempre in fondo a tutte le competizioni. Possiamo ancora alzare il livello. In ogni allenamento siamo alla ricerca di quel piccolo dettaglio che possa fare la differenza”. Nel post Champions stavi seguendo la finale di Jannik Sinner agli Internazionali di Roma. Da dove nasce questa passione? “Da mio papà, che è maestro di tennis. Ho giocato per 15 anni, sono cresciuto con la racchetta in mano. Mi piace davvero tanto, cerco di seguirlo il più possibile. Dal punto di vista tecnico, dei movimenti e anche della gestione psicologica delle partite è uno sport completo, credo mi sia servito anche per la mia carriera nel volley”.

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Simone Dagani