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NBA, Steve Kerr su Trump e il caso Thon Maker

NBA
Steve Kerr, 52 anni il prossimo 27 settembre (Foto Getty)

L'allenatore dei Golden State Warriors non ha fatto mistero della sua opinione sull'Immigration Ban che sta facendo discutere il mondo: "Un'idea orribile". E il decreto di Trump potrebbe coinvolgere anche i giocatori della NBA

Dopo le parole di qualche settimana fa di Gregg Popovich, anche Steve Kerr è tornato a parlare del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e della situazione sociale e politica degli Stati Uniti. L’“Immigration Ban” voluto da Trump — ordine esecutivo che vieta temporaneamente l’ingresso negli USA ai rifugiati e ai visitatori da sette paesi considerati pericolosi (Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, per il momento) — ha scatenato reazioni e proteste in tutto il mondo, e anche la NBA attraverso i suoi protagonisti ha voluto far sentire la propria voce. Come quella dell’allenatore dei Golden State Warriors. “Avendo perso un membro della mia famiglia per colpa del terrorismo [il padre Malcolm fu assassinato nel 1984 mentre serviva come ambasciatore statunitense in Libano, ndr], se l’idea per combatterlo è quella di impedire alle persone dall’entrare in questo paese, andando contro i principi del nostro paese e creando paura, direi che il modo sbagliato di affrontare la questione”, ha dichiarato Kerr. “Se c’è una cosa che stiamo ottenendo è generare ulteriore rabbia e terrore. Per questo, sono completamente contrario a ciò che sta succedendo”. “È una situazione shockante, un’idea orribile”, ha continuato l’allenatore, con un pensiero anche per tutte le persone regolarmente in possesso di una “green card” a cui è stato impedito di tornare negli States. “Mi dispiace per tutti quelli che ne stanno soffrendo. Ci sono famiglie che vengono fatte a pezzi, e provo timore per cosa può significare questa situazione per la sicurezza a livello globale. Sta avendo esattamente l’effetto contrario a ciò che vuole ottenere. Se si vuole risolvere la questione legata al terrorismo e al crimine, questo non è il modo di farlo”.

Il caso Thon Maker — L’ordine esecutivo di Trump (denominato “Protecting the Nation from Foreign Terrorist Entry into the United States”) ha causato problemi a tutte quelle aziende che hanno dipendenti provenienti da uno di quei paesi, e tra queste ricade anche la NBA. Ad esempio, Thon Maker dei Milwaukee Bucks è nato in Sudan (a Wau, una città che dal 2011 è diventata parte del Sud Sudan), paese che risulta sulla sua carta d’identità pur essendo in possesso anche del passaporto australiano (dove si è trasferito da rifugiato nel 2002). Allo stesso modo anche Luol Deng dei Los Angeles Lakers è cittadino della Gran Bretagna ma non ha rinunciato alla nazionalità sudanese, paese dove è nato. Per questo, la possibilità che vengano fermati alla dogana una volta di rientro negli States è tecnicamente realizzabile, anche se la prima occasione — il rientro dal Canada dei Bucks dopo la trasferta in casa dei Toronto Raptors — si è svolto senza problemi, dato che il Dipartimento di Sicurezza Nazionale valuta “caso per caso”. E la NBA ha tempestivamente contattato il governo per chiedere informazioni: “Stiamo cercando di capire come questo ordine esecutivo si applicherà per i nostri giocatori della nostra lega” ha dichiarato Mike Bass, portavoce della NBA. “Siamo una lega globale e siamo orgogliosi di attrarre i migliori giocatori da ogni parte del mondo”.

La partenza in quintetto — Nella partita successiva al rientro dal Canada, i Bucks hanno deciso di far partire in quintetto Maker per la seconda volta in carriera (la prima era arrivata dopo la punizione per Jabari Parker decisa dai compagni) anche per mandare un messaggio politico e sociale. Il co-proprietario della franchigia Marc Lasry è un immigrato dal Marocco, e suo figlio Alexander (vice presidente della squadra) su Twitter si è esposto in prima persona sulla vicenda. “Apprezzo le preoccupazioni dei tifosi e le preghiere per Thon. Oggi un rifugiato sudanese che è sfuggito dall’oppressione ed è un incredibile giovane uomo farà la sua seconda partenza in quintetto della sua carriera. Sono incredibilmente orgoglioso di lui. È il simbolo di ciò che rende grande l’America e quello in cui credono tutti gli immigrati. Dobbiamo continuare a condividere le storie di immigrati e rifugiati incredibili che rendono GRANDE l’America. Thon e mio padre ne sono esempi ogni singolo giorno”. Anche altri giocatori di fede musulmana come Enes Kanter o Rondae Hollis-Jefferson hanno espresso la loro preoccupazione per il decreto di Trump, così come anche Gregg Popovich ha aggiunto una semplice frase a riguardo: “Sapete già come la penso su quello che ci siamo fatti come paese e cosa abbiamo permesso che accadesse. Vedremo come andrà… È irrilevante dire se si tratta di una buona o di una cattiva cosa. È una decisione stile Keystone Kops [un gruppo di poliziotti maldestri dei film muti degli anni ’10, ndr], ed è preoccupante”.