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NBA, le mani di Kawhi Leonard sulla corsa all’MVP

NBA

Dario Vismara

Il finale di partita contro i Rockets certifica ancor di più il ruolo della stella degli Spurs nella lega: per il titolo di MVP non si può più fare a meno di parlare di lui

La corsa al premio di MVP vive di equilibri un po’ strani. Ovviamente serve aver tenuto una certa continuità di rendimento per tutto il corso della stagione, dimostrando sera dopo sera di essere il giocatore più “valuable” per la propria squadra — concedendosi poche se non pochissime pause. Per entrare e rimanere nelle teste degli addetti dei lavori che a fine anno assegneranno il premio, però, servono anche le grandi prestazioni individuali, quelle che al mattino dominano le conversazioni nei gruppi privati tra gli appassionati e le condivisioni sui social network. Se poi quelle prestazioni arrivano anche contro un altro candidato MVP — per di più con una giocata immediatamente da highlight come una schiacciata inchiodata al tabelloneecco che si crea una tempesta perfetta per avanzare la propria candidatura. Questa notte Kawhi Leonard ha raggiunto tutto questo vincendo la partita contro gli Houston Rockets sostanzialmente da solo. Prima ha rimesso in piedi i San Antonio Spurs dopo un -16 nel primo quarto che all’AT&T Center non vedevano da sei anni; poi ha dominato la gara sui due lati del campo nell’ultimo quarto, segnando 15 degli ultimi 19 punti dei suoi (tra cui la tripla del sorpasso a meno di 30 secondi dalla fine) e poi con la stoppata ai danni di James Harden, suggellata da due tiri liberi clutch per mettere la gara in ghiaccio con due possessi di vantaggio. Un’altra prestazione mostruosa e un’altra vittoria — l’ottava in fila per i San Antonio Spurs — e un altro mattone, il più pesante di tutti finora, sulla sua candidatura al premio di MVP.

Clutch In realtà quello che Leonard sta facendo non è niente di sorprendente o nuovo: le ultime quattro partite sono state vinte tutte nel finale e le impronte delle sue enormi mani sono dappertutto. Canestro della vittoria e 31 punti contro Indiana; rubata per pareggiare e poi vittoria al supplementare contro New Orleans; rimonta guidata ai danni di Minnesota (con sei punti nel supplementare) e infine quello che è successo ieri contro Houston — la seconda miglior prestazione dell’anno dopo il massimo in carriera da 41 nel successo sul campo di Cleveland. Tutte vittorie nel finale, dove Kawhi è uno dei migliori giocatori in assoluto di tutta la lega — +20.8 il suo differenziale su 100 possessi nei finali di gara con il punteggio entro cinque punti, 22-9 il record di squadra —, segnando 37.2 punti parametrati su 36 minuti (5° dietro Westbrook, Thomas, Butler e DeRozan, con l’unica pecca delle percentuali non eccellenti).

Valuable Il valore di un MVP per la sua squadra, quell’aggettivo “valuable” così difficile da ingabbiare in una definizione univoca, può essere declinato in vari modi a seconda della candidatura avanzata. Nel caso di Leonard, si può intendere così: Leonard per gli Spurs è senza ombra di dubbio il giocatore più importante sui due lati del campo (cosa che non necessariamente si può dire degli altri candidati, neanche quelli di Mark Cuban), e pur avendo attorno a sé un contorno e un sistema che mantengono un certo standard di rendimento da playoff ormai da vent’anni, è lui a elevarlo quasi al livello della miglior squadra della NBA. Kawhi rappresenta la differenza tra una tra le tante squadre dei playoff a Ovest e l’unica candidata realmente credibile al trono nella conference dei Golden State Warriors, una differenza che si concretizza in un semplice dato — di sicuro non esaustivo, ma comunque significativo. Nelle ultime quindici partite gli Spurs con Kawhi Leonard hanno un differenziale su 100 possessi di +12.8 (sarebbe il migliore della lega su base stagionale), senza di lui crollano a +2.3, perdendo soprattutto 15 punti su 100 possessi in attacco (da 110.3 a 95.3) e ben sei punti di percentuale effettiva al tiro (da 52% a 46%). E se non sono cifre da MVP queste, quali lo sono?

Manu e Pop — Manu Ginobili ai nostri microfoni lo ha già incoronato tempo fa come “uno dei cinque migliori giocatori della lega”, eppure sembra non stancarsi mai di complimentarsi con il suo numero 2. Anche stanotte ha giustificato il suo gesto — le “mani tra i capelli” (che ormai non ci sono più da un po’…) dopo la tripla contestata del sorpasso — con parole semplici, ma piene di significato per uno che ha vinto letteralmente ovunque abbia giocato: “Ero sotto shock. E non perché non lo avesse mai fatto, ma per l’intera situazione: il modo in cui ha giocato nell’ultimo quarto, il tiro che ha segnato — contestato, dal palleggio, davvero difficile da segnare —; e poi stoppare Harden lanciato in piena velocità è una cosa che pochissimi possono fare, ci vuole un talento raro. Lui lo ha”. Un sentimento condiviso anche da Gregg Popovich, che ha sottolineato la straordinarietà del gesto difensivo — “Tutti possono segnare da tre, ma non so chi possa andare in difesa e fare quello che fa — su base continuativa, per una partita intera, sera dopo sera dopo sera” — ma, in pieno stile Spurs, non ha commentato la candidatura al premio di MVP (“Qui non ne parliamo, andiamo solo in campo e giochiamo”, ha tagliato corto).

Mentalità — Ginobili però ha fatto notare anche un altro passo avanti che Leonard ha compiuto quest’anno: quello sotto il punto di vista mentale. “Ha grande fiducia in se stesso e si vede: prima era più introverso e aspettava che le cose succedessero, poi ha realizzato che tipo di talento possedesse e quanto fosse importante per la squadra. Ora lui si rende conto che il pallone tornerà nelle mani e per questo si fida di più dei compagni, aspettando anche qualche possesso perché sa che prima o poi passeremo di nuovo da lui. Questa è una cosa che dà fiducia, tanto a livello individuale che di squadra. Arrivati a quel punto, il tuo modo di pensare cambia completamente: Kawhi sa che questa è la sua squadra e che abbiamo bisogno di quello che sta facendo per vincere o almeno per avere una possibilità. Ed è un grande stato mentale per giocare al livello più alto possibile”. Lo stato mentale di un candidato MVP.