L'alpinista scampato alla furia del K2 si racconta a Sky in un'intervista di Andrea Zorzi: "Quella montagna è stata clemente con me per questo lì non tornerò più. Adesso penso solo a guarire"
Lo straordinario racconto di Marco Confortola lo scalatore valtellinese risparmiato dal K2 nella spedizione che è costata la vita a Karl Unterkircher.
Non era l'anno buono - "Hanno detto di tutto su questa vicenda. Hanno detto che siamo andati in cima tardi, tanti dicono cosa vanno a fare, se la sono cercata. Non è così, assolutamente. Perché se tutto andava bene e non succedeva di stare fuori la notte, io andavo in cima al K2 senza ossigeno e tornavo a casa mia senza nessun problema. Mi amputeranno penso tutte e dieci le dita dei piedi, però io ho solo un solo obiettivo che è quello di guarire. Non mollo, non mollo e infatti quando guardo fuori dalla finestra dell’ospedale mi viene l’angoscia perché io sono abituato a guardare le mie montagne ed i miei boschi. Ma non mollo, assolutamente".
Il K2 quest’anno sembrava una montagna indiavolata perché in un mese di permanenza al campo base il tempo non si è mai messo dalla nostra parte. E’ stato sempre brutto, faceva un giorno bello e poi cambiava. Sembrava quasi che volesse farci sapere che non era l’anno buono".
Quanto sei rimasto su?
"Pochissimo, veramente pochissimo perchè ero l'ultimo che ha raggiunto la cima. Mi ricordo che in cima c'era un olandese che mi ha aspettato perché era avanti a me 15 metri. Mi ha aspettato mi ha fatto 5-6 foto, poi ha fatto buio, ho fatto una telefonata ad un mio carissimo amico Emilio Fiordi, poi sono sceso perché era tardi. Infatti mi è dispiaciuto arrivare in cima al K2 tardi perchè non ho visto quello che ci si aspetta dal K2. perché sei davvero altissimo".
Ti sei fermato per istinto?
"Sì, questo istinto che penso tutti gli alpinisti e le guide alpine hanno dentro. A furia di stare in montagna si diventa un po' come un selvatico, come un camoscio che non ragione su dove passare, se su un sasso. Passa dove lo porta il suo istinto. Io mi sono fermato, ho chiamato Agostino Da Polenza che è stato il mio capo spedizione Everest K2 e gli ho detto: io mi fermo qua. Lui mi seguiva, sapeva che stavo tentando la cima e voleva sapere dove ero. Difatti lui mi ha detto: se non ti senti sicuro, fermati lì. Nel momento in cui mi sono fermato sotto di me ho sentito delle urla e qualcosa che andava via, però non ho visto niente. E non ci ho fatto caso neanche più di tanto perché ho pensato a fare il mio buco per me e per Gerard, l'irlandese che era con me ad abbiamo passato la notte lì. Paura? No, perché in quel caso devi solo avere una grande concentrazione e non sbagliare niente, perché in quei casi sai che se sbagli sei morto. Questa concentrazione, secondo me viene dall'estremo. Sul ripido scii per un ora, su due millimetri e su pendenze di 50, 60 gradi e non puoi sbagliare niente. Questo allenamento sul ripido secondo me mi è servito sul K2 per portare a casa la vita".
Tornerai a scalare?
"Sicuramente, perché comunque è la mia vita, il mio mondo".
Tornerai anche sul K2?
"No, sul K2 non torno più. Perché è stata clemente con me, gentile con me, perché mi ha risparmiato, però con gli altri è stata spietata".