Bella la vita al Giro senza addetti stampa tra i piedi

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Corridori, giornalisti, fotografi e tifosi: tutti insieme appassionatamente
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CRISTIANO GATTI affronta un tema delicato: il rapporto tra la stampa e gli sportivi. Mentre per calcio e F1 i giornalisti sono praticamente nelle mani degli addetti stampa, nel ciclismo l'inviato può ancora raccontare la persona che c'è dietro all'atleta

di CRISTIANO GATTI
inviato de Il Giornale
da Bologna



Mi è capitato spesso, ai tempi di Schumacher, che il contatto con il campione, a beneficio dei lettori, avvenisse in questo modo: un addetto stampa metteva il registratore sotto al naso del pilota, gli faceva dire tra la doccia e il massaggio quattro cose scontate, quindi lo stesso addetto stampa scendeva nel paddock e convocava i giornalisti per la conferenza stampa. Tutti seduti, silenzio in sala, click e partiva il registratore. Scena surreale: un nugolo di inviati speciali in religioso ascolto di un piccolo marchingegno elettronico. L’indomani, sui giornali, sembravano interviste a Schumacher, in realtà erano squallide sbobinature di quelle assurde registrazioni.

E il calcio? Anche il calcio ha ormai raggiunto livelli niente male. Ormai non è più possibile, per un giornalista, andare nelle sedi d’allenamento e contattare un giocatore qualsiasi, per conversarci un po’, e magari il giorno dopo pubblicare un bel racconto su com’è quest’uomo, oltre il suo ruolo in campo, oltre il 4-4-2 e le diagonali. Guarda caso, sui giornali non compaiono più quei bei ritratti, di buona lettura, capaci da soli di conferire un po’ di umanità ai servizi sportivi. Solo poche domande e poche risposte, tutte gelide e asettiche, tutte sul mercato, sul ruolo, sulle prospettive di classifica. Tutte uguali su tutti i giornali. Come avviene? Avviene che la società, un giorno ogni tanto, decide quale dei suoi giocatori debba andare in conferenza stampa, davanti a tutti i giornalisti radunati in conclave. Un inviato magari vorrebbe fare quattro chiacchiere con Santon, quel giorno, ma proprio quel giorno la società ha deciso che parla solo Cambiasso. Prendere o lasciare. Ovviamente tutti prendono, perchè quello passa il convento. Ma il risultato è avvilente: i giornali pubblicano tutti la stessa cosa, totalmente priva di colore, umore, sapore, qualità che soltanto un franco contatto a quattr’occhi consente, davanti a un caffè, fuori dalle ingessature e dalle ufficialità delle conferenze stampa in simil messa cantata.

Poi c’è il ciclismo. L’ultima, o la penultima, isola felice. Su questa isola, i sopravvissuti di un tempo andato, con tutti i loro difetti, continuano a mantenere imperterriti gli usi e i costumi di una volta. Ciclisti e direttori sportivi, massaggiatori e meccanici, tutti quanti popolano un unico paesotto vagante, dove tutti conoscono tutti, dove nessuno si nega a nessuno. Può capitare che un corridore si neghi a un giornalista, ma non perché sia un miliardario snob, semplicemente perché con lui ha un conto aperto, un’offesa da lavare, e come in un paese qualunque d’Italia gli ha tolto il saluto. Tutto il resto è vita. Vita comune e vita vissuta. Ogni servizio è possibile. L’inviato può ancora raccontare la persona che c’è dietro all’atleta, sfornando servizi come usava una volta. Se così non è, la colpa non è degli atleti. Il motivo è un altro: non è capace.