"Libera di vincere". Manu, una storia di sport e coraggio

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La copertina del libro di Manuela Di Centa: "Libera di Vincere"
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Dai primi Giochi della Gioventù alle medaglie olimpiche. Manuela Di Centa racconta la sua carriera sportiva, ma anche l'avventura di una donna che ha sempre lottato con tenacia. Anche nella sfida più dura, e vinta, contro il dolore e la malattia

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Arriva oggi in tutte le librerie italiane l'autobiografia sportiva (ma non solo) di Manuela Di Centa, "Libera di vincere", Edizione Piemme, pp.168, euro 14,50. Grande atleta, ritiratasi dall'attività agonistica nel 1998, la Di Centa è oggi membro onorario del Comitato Olimpico Internazionale. Ecco un estratto del primo capitolo, per gentile concessione dell'Editore.

di Manuela Di Centa


C’è un sentiero che parte dai Laghetti di Timau, da quella mitica pista, fra il greto del fiume e le pendici del Gamspitz, dove ho mosso bambina i miei primi passi con gli sci. È un sentiero ripido e aspro che s’inerpica prima fra abeti, larici e faggi, poi fra pietraie sempre più scoscese, dove è rara una macchia di verde, un pianoro dove poter riprendere fiato. Porta su, oltre i duemila metri, al Pal Piccolo, al Pal Grande, alle trincee della Grande guerra, ancora lì, tenute insieme dalla memoria, dal desiderio della gente di non dimenticare il sacrificio di tante giovani vite: di alpini, di fanti, di bersaglieri, di finanzieri, ma anche di donne, donne dallo straordinario, incomparabile coraggio, come le Portatrici Carniche.

Mia nonna Irma era una di loro e quel sentiero lo ha percorso giorno dopo giorno per ventisei mesi di seguito, con il sole e con la pioggia, con il ghiaccio e con la neve, gerla sulle spalle per rifornire le trincee: quaranta, cinquanta chili di tutto, anche di proiettili,
di bombe a mano, di granate. Ogni anno, alla ricorrenza della vittoria, si appuntava
al petto quella onorificenza di Cavaliere di Vittorio Veneto che io le ho sempre invidiato, perché sapevo che in cuor suo non l’avrebbe scambiata con alcuna delle mie medaglie, nemmeno con tutte assieme. Fu dopo aver percorso per la prima volta quel sentiero
che mi venne da chiederle, stravolta dalla fatica: «Ma come facevi, nonna, ad andare su con quel peso? E, soprattutto, chi te lo faceva fare: volontaria a sedici anni, con il cecchino pronto a spararti addosso?». Mi rispose sorpresa, quasi con tono di rimprovero:
«Quei ragazzi erano lì a difendere tutti noi, spesso a prezzo della loro vita, e noi avevamo il dovere di aiutarli! Hai detto bene: eravamo volontarie, nessuno ci obbligava, ed è per questo che nessuna si è mai tirata indietro. Era un impegno che ciascuna di noi aveva preso con se stessa, non c’entravano né il governo né Cadorna!». Poi, dopo una breve pausa e scandendo con gravità le parole, aveva aggiunto: «Sono quelli che assumi con te stessa gli impegni e i doveri che più contano nella vita, perché sono i più difficili da mantenere, ma anche quelli che ti consentono di sentirti libera, libera di essere quella che sei!».

È stato il mio primo, grande insegnamento, quello che ho cercato di non dimenticare mai: quando ho dovuto stringere i denti, lottare contro tutti e contro tutto, dentro e fuori i campi da sci, e soprattutto quando ho dovuto affrontare me stessa, le cellule killer che
il mio organismo ha cominciato un giorno a produrre, aggredendo il mio sistema immunitario, le mie difese, la mia vita, mettendo a dura prova tutte le mie speranze, le mie ambizioni, la mia volontà di fare qualcosa di bello, di indimenticabile nello sport.

Tratto da Manuela Di Centa (con Claudio Calandra), "Libera di vincere", Edizione Piemme, pp.168, euro 14,50

Manuela Di Centa, nata a Paluzza (UD), è deputato al Parlamento Italiano, membro della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione. Pluricampionessa olimpica e vincitrice per due volte della Coppa del Mondo di Sci Nordico, vanta un palmarès di grande prestigio internazionale: 7 medaglie olimpiche, 7 titoli mondiali, 22 titoli italiani, 2 Coppe del Mondo e la medaglia Holmenkollen, riconoscimento tra i più prestigiosi al mondo nello sci nordico. È la prima donna italiana a essere salita sull'Everest. Ritiratasi dall'attività agonistica nel 1998, è oggi membro onorario del Comitato Olimpico Internazionale e membro della Giunta Coni.

Claudio Calandra, nato a Paluzza (UD), risiede a Modena. Dirigente d'azienda, ha curato l'organizzazione e l'ufficio stampa di importanti eventi in campo scientifico, culturale e sociale. Collabora come free lance con alcune riviste culturali e ha all'attivo diverse pubblicazioni.