E' stato molto di più di un pugile. Una vita fatta di gesti, parole, frasi rimaste scolpite nella mente di più di una generazione. Resta il più grande, quello che neanche il morbo di Parkinson dopo 30 anni è riuscito a mettere ko. I VIDEO E LE FOTO
FOTO - Omaggio al più grande, una vita da Alì
Guida tv: su Espn Classic lo Speciale Ali
di Andrea Paventi
E' stato molto di più di un pugile Cassius Clay. Lo è stato prima, e lo è rimasto dopo, quando per tutti è diventato Muhammad Ali. In un'America che si preparava al cambiamento negli anni ‘60 uno squarcio di luce era arrivato già all'inizio del decennio da Roma dove un giovane di colore nato a Luisville, Kentucky, aveva conquistato la medaglia d'oro nei mediomassimi. E non sarebbe stata più la stessa cosa.
Altro sarebbero diventate i gesti, le parole, le frasi che tramite la boxe Alì non avrebbe mai fatto mancare alla platea americana e al mondo. Il dissenso fu alla base dell'impegno, quei pugni e quell'eleganza sul ring il riscatto della sua gente. Non era infatti passato molto tempo da quando Rose Parks in Alabama era stata arrestata perché su un autobus di linea si era rifiutata di cedere un posto riservato ai bianchi. Ma questo non sarebbe bastato se non ci fossero state anche le parole e l'azione di un presidente progressista come John Kennedy che per primo pose al congresso americano il problema della discriminazione razziale.
Ecco perché quel primo titolo mondiale conquistato ancora col nome "da schiavo" di Cassius Clay, ai danni del cattivo Sonny Liston nel febbraio del 64, soltanto 3 mesi dopo le fucilate di Dallas che avevano stroncato il sogno di Jfk, era servito a far capire che tanta strada andava ancora fatta per raggiungere una vera nuova Frontiera. La stessa strada che in modo diverso stavano percorrendo Malcolm X e Martin Luther King con la loro protesta.
Due facce di una stessa medaglia, quella che fece dire ad Ali no alla missione americana in Vietnam. Nessuna condivisione per una guerra ritenuta ingiusta, rifiuto di prestare il servizio di leva e squalifica di 3 anni e mezzo proprio quando the greatest vinceva, parlava e denunciava con la stessa velocità del suo jab. Un dissenso che lo portò di nuovo sul ring soltanto quando quel decennio di sogni e speranze aveva già consumato i suoi eroi. Omicidi a catena avevano messo a tacere per sempre l'azione e il messaggio di Martin Luther King, Malcolm X e Bobby Kennedy. Ma nessuno riuscì a chiudere la bocca di Alì perché come disse l'amico Malcolm X "la sua energia mentale era pari alla sua energia fisica". Avrebbe potuto fare il politico Muhammad ma anche dopo essere sceso dal ring rimase solo un pugile, il più grande, quello che anche il morbo di Parkinson dopo 30 anni non ha messo ko.
Guida tv: su Espn Classic lo Speciale Ali
di Andrea Paventi
E' stato molto di più di un pugile Cassius Clay. Lo è stato prima, e lo è rimasto dopo, quando per tutti è diventato Muhammad Ali. In un'America che si preparava al cambiamento negli anni ‘60 uno squarcio di luce era arrivato già all'inizio del decennio da Roma dove un giovane di colore nato a Luisville, Kentucky, aveva conquistato la medaglia d'oro nei mediomassimi. E non sarebbe stata più la stessa cosa.
Altro sarebbero diventate i gesti, le parole, le frasi che tramite la boxe Alì non avrebbe mai fatto mancare alla platea americana e al mondo. Il dissenso fu alla base dell'impegno, quei pugni e quell'eleganza sul ring il riscatto della sua gente. Non era infatti passato molto tempo da quando Rose Parks in Alabama era stata arrestata perché su un autobus di linea si era rifiutata di cedere un posto riservato ai bianchi. Ma questo non sarebbe bastato se non ci fossero state anche le parole e l'azione di un presidente progressista come John Kennedy che per primo pose al congresso americano il problema della discriminazione razziale.
Ecco perché quel primo titolo mondiale conquistato ancora col nome "da schiavo" di Cassius Clay, ai danni del cattivo Sonny Liston nel febbraio del 64, soltanto 3 mesi dopo le fucilate di Dallas che avevano stroncato il sogno di Jfk, era servito a far capire che tanta strada andava ancora fatta per raggiungere una vera nuova Frontiera. La stessa strada che in modo diverso stavano percorrendo Malcolm X e Martin Luther King con la loro protesta.
Due facce di una stessa medaglia, quella che fece dire ad Ali no alla missione americana in Vietnam. Nessuna condivisione per una guerra ritenuta ingiusta, rifiuto di prestare il servizio di leva e squalifica di 3 anni e mezzo proprio quando the greatest vinceva, parlava e denunciava con la stessa velocità del suo jab. Un dissenso che lo portò di nuovo sul ring soltanto quando quel decennio di sogni e speranze aveva già consumato i suoi eroi. Omicidi a catena avevano messo a tacere per sempre l'azione e il messaggio di Martin Luther King, Malcolm X e Bobby Kennedy. Ma nessuno riuscì a chiudere la bocca di Alì perché come disse l'amico Malcolm X "la sua energia mentale era pari alla sua energia fisica". Avrebbe potuto fare il politico Muhammad ma anche dopo essere sceso dal ring rimase solo un pugile, il più grande, quello che anche il morbo di Parkinson dopo 30 anni non ha messo ko.