Efrati, Hirsch, Weisz: il giorno della memoria per lo sport

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La nazionale tedesca in visita ad Auschwitz (Getty)
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Leggi razziali, deportazioni, morte: fra i perseguitati e le vittime della Shoah figurano anche numerosi uomini e donne che, un tempo, erano stati sportivi di grido. Il ricordo di alcune tragedie personali nella più disumana delle tragedie

di Lorenzo Longhi

E' il Giorno della memoria, oggi. Lo è anche per lo sport e per le vittime che, prima della follia, erano stati atleti più o meno noti. Tregedie personali nell'ambito della tragedia più disumana. Sportivi, sì, ma soprattutto uomini e donne. Perseguitati e ridotti a numero. Privati di tutto prima, privati della vita poi. Storie che, nel Giorno della memoria, rappresentano testimonianze.

Come quella di Julius Hirsch, il primo calciatore tedesco ebreo a vestire la maglia della nazionale. Durante la Grande guerra, era anche stato decorato con la Croce di ferro. Non bastò: le Leggi razziali promulgate nel Reich gli resero la vita impossibile. Lasciò la moglie per non mettere in pericolo lei e i due figli, subì la deportazione ad Auschwitz. Morì nel 1943: non era più un eroe di guerra, non più un mito del pallone. Solo un ebreo. O quella di Matthias Sindelar, fuoriclasse del calcio austriaco, non era ebreo, che dopo l'Anschluss si rifiutò di vestire la maglia della Germania nazista. Lui, anti-nazista convinto, morì nel 1939 - assieme alla compagna, italiana ed ebrea - in circostanze ancora avvolte dal mistero.

L'americano Eddie Hamel fu il primo calciatore ebreo a giocare nell'Ajax, la squadra del ghetto: faceva l'allenatore quando venne deportato ad Auschwitz. Lo uccisero il 30 aprile 1943. Il 31 gennaio 1944, consumato dagli stenti e dal dolore, morì ad Auschwitz anche Arpad Weisz, l'allenatore che, negli anni '30, aveva reso leggenda in Italia ed in Europa l'Inter e il Bologna. Arrestato con la famiglia, nell'ottobre 1942 venne portato al campo di lavoro di Cosel - la moglie Elena e i piccoli Roberto e Clara vennero uccisi nelle camere a gas - quindi l'ultima deportazione.

L'orrore delle Leggi razziali e dei lager c'è anche chi ha potuto raccontarlo. Ernesto Erbstein, braccio destro del presidente del Grande Torino Ferruccio Novo, non era ebreo, ma di madre ebraica sì e, dopo aver vissuto a Bari e Lucca, a Torino si trasferì nel 1938: fu il suo modo per giustificare alle figlie, che non avrebbero più potuto continuare a frequentare la scuola pubblica a causa delle Leggi razziali, l'iscrizione ad un istituto privato. Non fu sufficiente: dovette lasciare l'Italia nel 1939 e, grazie a Novo, tornò a Budapest, dopo una fuga che lo vide passare anche attraverso l'Olanda. Arrestato, fuggì da un campo di lavoro e riparò presso il consolato svedese, per tornare a Torino dopo la Liberazione. Si salvò dai nazisti, morì a Superga il 4 maggio 1949.

Auschwitz resta il nome più terribile. Lì morì Raffaele Jaffe, il professore astigiano che, nel 1909, aveva fondato il Casale portandolo, da presidente, sino allo scudetto del 1914. Ebreo convertito al cattolcesimo, venne arrestato in una retata nel febbraio del 1944 e internato nel campo di Fossoli, vicino Carpi, subì il dramma della deportazione e, ad Auschwitz appunti, morì il 3 agosto 1944. Il 16 aprile, sempre in quei forni crematori, venne ucciso Leone "Lelletto" Efrati, pugile romano che, nel 1938 a Chicago, aveva contesto il titolo mondiale dei pesi mosca a Leo Rodak.  E intanto, in Italia, le Leggi razziali privavano del titolo nazionale il pugile ferrarese Primo Lampronti: vittorioso e incarcerato in quanto ebreo.

Sapere boxare, nei lager, era un dramma nel dramma: per il sadico svago delle SS, l'arte nobile venne degradata nel più cinico dei combattimenti: vincere o morire, come piaceva tanto a Wilhelm Claussen, il gerarca responsabile per le attività sportive del campo di concentramento, che si vantava "di avere promosso la boxe" in quei contesti (lo racconta il professor Herman Langbein nel suo Uomini ad Auschwitz). Così morì Johann Trollmann, pugile ebreo tedesco di discreta fama, venne ucciso a bastonate nel febbraio 1943 nel campo di Wittenberge: fu una rappresaglia per avere messo al tappeto, durante uno dei tragici match di cui sopra, un kapò. Sempre a proposito di pugili, Viktor Youki Perez, boxeur franco-tunisino di origine ebrea, mondiale dei pesi mosca nel 1931, nel 1944 tentò di evadere da Auschwitz e fu ucciso da una raffica di mitra.

Fra Auschwitz e Sobibor vennero uccise, assieme alle rispettive famiglie, Helena Nodheim, Anna Polak e Judikeje Simons, atlete della nazionale olandese di ginnastica ai Giochi di Amsterdam 1928: di 12 atlete e due tecnici solo una, Erika De Levi, riuscì a sottrarsi alla deportazione. Poi lo sciabolatore ungherese Attila Petschauer, già vincitore di 3 medaglie olimpiche, il ginnasta Alfred Flatow (primo olimpionico tedesco, ad Atene nel 1896), il lottatore comunista Werner Seelenbinder e chissà quanti altri. Vittime di una follia senza futuro.