"Record del mondo!". In Italia ci chiedevano: Sì, ma di chi?

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12 settembre 1979. Mennea al traguardo dei 200m dopo aver battuto il record del mondo a Città del Messico. Dietro di lui, Gianni Minà non riesce a contenere la gioia
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GLI ANEDDOTI. Oscar Eleni, giornalista inviato a Città del Messico quando Mennea battè il record sui 200m, racconta quella concitata telefonata con l'Italia per comunicare l'impresa ai colleghi

di Vanni Spinella

Sul filo del telefono che collega Città del Messico all’Italia, nel 1979, corre tutta la gioia dei nostri cronisti.
"‘Ha fatto il record del mondo, ha fatto il record del mondo!’, continuavamo a urlare nella cornetta, e dall’altra parte non riuscivano nemmeno a capire cosa stessimo dicendo".
Oscar Eleni, giornalista de “il Giornale” che in quegli anni seguiva da vicino le imprese di Pietro Mennea, ricorda perfettamente quei momenti di euforia, “con Gianni Minà che ripeteva solo le parole ‘record del mondo, record del mondo’ e i suoi colleghi della Rai, in Italia, che gli chiedevano ‘Sì, ma chi? Chi ha fatto il record?’."

Un’impresa di fronte alla quale si è autorizzati a perdere il controllo anche se di mestiere si fa il cronista
"Ricordo bene quelle Universiadi. Mennea arrivava con l’idea che in altura avrebbe potuto battere il record e si trovò invece in uno stadio semivuoto, senza l’atmosfera delle grandi imprese. Riuscì comunque a entrare nel personaggio e nella festa di quell’evento, scrivendo la storia dell'atletica con il suo 19''72."

Sacrificio, determinazione, tenacia. Sono gli aggettivi che meglio lo descrivono?
"Io chiamavo Mennea e la Simeoni 'fratello Pietro e sorella Sara'. La scuola di Formia, capolavoro del professor Vittori, era praticamente un convento. Mennea, addirittura, non sapeva cosa fossero le vacanze, restava a Formia anche nei giorni di festa. Ma quello era il suo modo di vivere l’atletica."

Quasi necessario, per colmare il gap con quei campioni così diversi fisicamente
"Affrontava i grandi velocisti americani, russi e inglesi con il pensiero di poter diventare come loro, con il lavoro, e non voleva sentire che era 'stortignaccolo', come scriveva Gianni Brera. Anche i colleghi francesi dell’Equipe facevano ironia su di lui. E lui poi li smentiva vincendo."

E in allenamento com’era?
"Si sottoponeva a fatiche incredibili, sembrava che sotto la tuta avesse il cilicio. Ricordo quando seguiva la Lambretta di Vittori in pista, cercando di starle dietro. Finiva l’allenamento disfatto, ma felice. Ripeto, per lui era l’unico modo di vivere l’atletica: Berruti aveva un talento naturale, era gioioso; Mennea era sacrificio e dedizione.
Con Vittori, comunque, gli capitava anche di discutere. E assistere alle loro liti era qualcosa di meraviglioso: c’era qualcosa in quei due uomini che si confrontavano che ti illuminava..."