Benvenuti al Circolo, il luna park di chi va in buca
Altri SportTUTTI AL VERDE. Viaggio nei segreti del teatro dell'Open. Un luogo elegante, creato nel '58, che ogni tanto cede ai richiami della modernità: tra regole del silenzio e geografia idilliaca, lo stand delle palline usate e le gigantografie personalizzate
di Luca Corsolini
Dici Open e immagini. Già, cosa ci si immagina. Torino è lontana qualche km, la pianura piemontese si svela lentamente come uno dei tanti gioielli italiani, conosciuti e non. Poi, a una rotonda, la rivelazione: controlli di ogni tipo, pullman che sbarcano appassionati, auto che possono entrare, altre che devono girare alla larga perché non esibiscono quel gioiello che è un pass. Infine, il Circolo Golf Torino: un posto molto elegante che ha mantenuto la sua identità pur cedendo quel poco che bisogna cedere per diventare un luna-park del golf.
Qui, oltre le persone, sono gli spazi a raccontarti l'unicità di un posto nato nel '58. Un circolo all'inglese, il che significa principalmente essere all'opposto del modello all'americana. Al Circolo Golf Torino c'è spazio, tanto, addirittura 36 buche, due diversi percorsi, l'Open si gioca sul blu, solo per il golf. L'unica concessione, una piscina, è nascosta e, in questi giorni, ovviamente chiusa. I circoli all'americana sono quelli invece tipo resort, magari con la spa, con i residence che si affacciano sul green.
Ma il bello è appunto la sintesi, riuscita, tra golf e contorno. Attorno alle buche i volontari alzano spesso il cartello che invita al silenzio, persino camminare sui sassi è attività guardata con sospetto. Il resto è qualcosa di divertente anche solo da raccontare. Non tanto il villaggio dei partner, che sembra una via del lusso o anche una sala convegni per incontri di business. Tutti che si conoscono, e si riconoscono pure. Li si riconosce anche dall'aria afflitta che hanno, perchè essendo partner della manifestazione devono stare a guardare mentre vorrebbero tanto giocare, perché il golf è così, una religione per praticanti quasi ossessivi, non contemplativi.
E'il villaggio commerciale che ti dice quante cose stanno cambiando nel golf. Anche in Italia. C'è lo stand dove vendono le palline usate, mediamente a un euro, e deve per forza trattarsi di un affare fiorente: qui sul campo pratica ne utilizzano 80 mila per tutto il torneo. Poi c'è tutto per il golf, compreso l'immancabile reality: the green evolution. E noi, noi italiani, che abbiamo luoghi da favola, come questo di Fiano, abbiamo da visitare anche gli stand di chi, come l'Andalusia, forse per antiche reminescenze arabe, sa che se Maometto non va alla montagna, è la montagna che si deve muovere e infatti vengono qui a farsi pubblicità. Nel luna park di palline e buche una rivista di settore espone una gigantografia che annuncia il volto nuovo del golf: se uno vuole, ci mette la faccia, e diventa lui l'immagine del golf. Altro che Manassero e i Molinari brothers.
Dici Open e immagini. Già, cosa ci si immagina. Torino è lontana qualche km, la pianura piemontese si svela lentamente come uno dei tanti gioielli italiani, conosciuti e non. Poi, a una rotonda, la rivelazione: controlli di ogni tipo, pullman che sbarcano appassionati, auto che possono entrare, altre che devono girare alla larga perché non esibiscono quel gioiello che è un pass. Infine, il Circolo Golf Torino: un posto molto elegante che ha mantenuto la sua identità pur cedendo quel poco che bisogna cedere per diventare un luna-park del golf.
Qui, oltre le persone, sono gli spazi a raccontarti l'unicità di un posto nato nel '58. Un circolo all'inglese, il che significa principalmente essere all'opposto del modello all'americana. Al Circolo Golf Torino c'è spazio, tanto, addirittura 36 buche, due diversi percorsi, l'Open si gioca sul blu, solo per il golf. L'unica concessione, una piscina, è nascosta e, in questi giorni, ovviamente chiusa. I circoli all'americana sono quelli invece tipo resort, magari con la spa, con i residence che si affacciano sul green.
Ma il bello è appunto la sintesi, riuscita, tra golf e contorno. Attorno alle buche i volontari alzano spesso il cartello che invita al silenzio, persino camminare sui sassi è attività guardata con sospetto. Il resto è qualcosa di divertente anche solo da raccontare. Non tanto il villaggio dei partner, che sembra una via del lusso o anche una sala convegni per incontri di business. Tutti che si conoscono, e si riconoscono pure. Li si riconosce anche dall'aria afflitta che hanno, perchè essendo partner della manifestazione devono stare a guardare mentre vorrebbero tanto giocare, perché il golf è così, una religione per praticanti quasi ossessivi, non contemplativi.
E'il villaggio commerciale che ti dice quante cose stanno cambiando nel golf. Anche in Italia. C'è lo stand dove vendono le palline usate, mediamente a un euro, e deve per forza trattarsi di un affare fiorente: qui sul campo pratica ne utilizzano 80 mila per tutto il torneo. Poi c'è tutto per il golf, compreso l'immancabile reality: the green evolution. E noi, noi italiani, che abbiamo luoghi da favola, come questo di Fiano, abbiamo da visitare anche gli stand di chi, come l'Andalusia, forse per antiche reminescenze arabe, sa che se Maometto non va alla montagna, è la montagna che si deve muovere e infatti vengono qui a farsi pubblicità. Nel luna park di palline e buche una rivista di settore espone una gigantografia che annuncia il volto nuovo del golf: se uno vuole, ci mette la faccia, e diventa lui l'immagine del golf. Altro che Manassero e i Molinari brothers.