Boxe, addio a Sandro Lopopolo. A Roma '60 vinse l'argento
Altri SportIl pugile milanese si è spento a 75 anni a seguito di una malattia incurabile. Professionista dal 1961, nonostante l'altezza s'impose nei superleggeri conquistando il titolo nel '66 e alle Olimpiadi romane, emergendo insieme a Clay e Benvenuti
Era un piccoletto, capace di colpi molto duri, un pugile ballerino, di grande intelligenza tattica, difficile da mettere all’angolo. Sandro Lopopolo è morto oggi, in seguito a una grave malattia. Avrebbe compiuto 75 anni a dicembre. Apparteneva a quella generazione di grandi campioni della boxe che vide l’alba alle Olimpiadi di Roma nel 1960. Vinse la medaglia d’argento nella categoria dei pesi leggeri, negli stessi giorni in cui sorgevano le stelle di Cassius Clay e Nino Benvenuti, per citarne solo alcuni.
Lopopolo, milanese di nascita, legatissimo alla sua città tanto da non abbandonarla mai nemmeno quando gli giunsero allettanti proposte per un trasferimento a Parigi, si dedicò anima e corpo alla boxe, disciplina che non sembrava si adattasse tanto al suo fisico, essendo lui alto solo 1,67 che nel pugilato è spesso un handicap. Ma lui lo trasformò in una risorsa formidabile, accompagnata da un pugno niente male e soprattutto da un orgoglio e da un temperamento molto combattivi.
Diede così la scalata al titolo mondiale dei superleggeri, che conquistò al Palasport di Roma il 29 aprile del 1966 ai danni del venezuelano Carlos Hernandez. Lopopolo vinse ai punti contro un avversario ritenuto più forte di lui e si consacrò sulla scena mondiale. Guadagnò una borsa di un milione e con orgoglio si vantava di aver battuto uno che, secondo i più, avrebbe dovuto massacrarlo di pugni. Lopopolo lavorava di pugno e di intelligenza tattica, e poi sgusciava, saltellava come una molla. Per Hernandez non ci fu niente da fare.
In carriera Lopopolo disputò 77 incontri, vincendone 59 di cui 21 per ko. Subì dieci sconfitte, tra queste quella a opera del giapponese Takeshi Fuji che nell’aprile del 1967 a Tokyo gli strappò la corona. Un incontro che forse non avrebbe dovuto svolgersi perché Lopopolo non stava fisicamente bene e si trovò costretto a difendere il titolo. Professionista dal 1961, campione italiano nel 1963 e nel 1965, Lopopolo si ritirò dall’attività agonistica nel 1973, non senza aver dato l’assalto ancora ai titoli europei dei superleggeri e dei welter, ma senza fortuna. Nel 2003 a causa delle sue condizioni economiche precarie e grazie al suo luminoso passato sportivo, gli fu riconosciuta il vitalizio della Legge Onesti, destinato a persone che si sono particolarmente distinte nello sport.
Lopopolo, milanese di nascita, legatissimo alla sua città tanto da non abbandonarla mai nemmeno quando gli giunsero allettanti proposte per un trasferimento a Parigi, si dedicò anima e corpo alla boxe, disciplina che non sembrava si adattasse tanto al suo fisico, essendo lui alto solo 1,67 che nel pugilato è spesso un handicap. Ma lui lo trasformò in una risorsa formidabile, accompagnata da un pugno niente male e soprattutto da un orgoglio e da un temperamento molto combattivi.
Diede così la scalata al titolo mondiale dei superleggeri, che conquistò al Palasport di Roma il 29 aprile del 1966 ai danni del venezuelano Carlos Hernandez. Lopopolo vinse ai punti contro un avversario ritenuto più forte di lui e si consacrò sulla scena mondiale. Guadagnò una borsa di un milione e con orgoglio si vantava di aver battuto uno che, secondo i più, avrebbe dovuto massacrarlo di pugni. Lopopolo lavorava di pugno e di intelligenza tattica, e poi sgusciava, saltellava come una molla. Per Hernandez non ci fu niente da fare.
In carriera Lopopolo disputò 77 incontri, vincendone 59 di cui 21 per ko. Subì dieci sconfitte, tra queste quella a opera del giapponese Takeshi Fuji che nell’aprile del 1967 a Tokyo gli strappò la corona. Un incontro che forse non avrebbe dovuto svolgersi perché Lopopolo non stava fisicamente bene e si trovò costretto a difendere il titolo. Professionista dal 1961, campione italiano nel 1963 e nel 1965, Lopopolo si ritirò dall’attività agonistica nel 1973, non senza aver dato l’assalto ancora ai titoli europei dei superleggeri e dei welter, ma senza fortuna. Nel 2003 a causa delle sue condizioni economiche precarie e grazie al suo luminoso passato sportivo, gli fu riconosciuta il vitalizio della Legge Onesti, destinato a persone che si sono particolarmente distinte nello sport.