L'INTERVISTA. L'11 ottobre alle Hawaii, il campione bolognese parteciperà alla prova più estrema di triathlon: 3,8 km a nuoto, 180 con l’handbike, 42 in carrozzina olimpica. "Mi sento come una sposa prima del matrimonio. Poi penserò ai Giochi di Rio 2016"
di Stefano Rizzato
Un inferno per uomini d’acciaio. Fatto di 3.860 metri a nuoto, 180,260 km sopra un’handbike, 42.195 metri – vale a dire: una maratona – in carrozzina olimpica. Ore di fatica indicibile, a spingere solo con le braccia. A dimostrare che “impossible is nothing”, come dice lo slogan. In mezzo ad atleti che mollano, si fermano, gettano la spugna, nonostante un paio di gambe in più. Serve qualcosa di speciale, dentro di sé, anche solo per immaginarla una follia così. Alex Zanardi l’ha pensata, sposata, preparata a puntino. E così l’11 ottobre sarà al via dell’Ironman più prestigioso e combattuto, quello di Kailua-Kona, Hawaii. Una prova di triathlon estremo per esordire nel triathlon. E per stupire tutti ancora, alla soglia dei 48 anni. Come se non bastassero gli ori a Londra 2012, quelli nei Mondiali in Canada dell’anno scorso, tutti i successi della seconda carriera nata dall’incidente terribile del Lausitzring, ormai una vita fa, il 15 settembre 2001.
Alex, come procede la preparazione?
"La verità è che mi sento come una sposa prima del matrimonio, ancora con gli spilli appesi al vestito e il parrucchiere cui pensare. C’è ancora molto da fare in questi pochi giorni che mancano: mi sto cimentando con una cosa per me ancora nuova per due terzi, con due discipline – il nuoto e la corsa – non del tutto sconosciute, ma tecnicamente nuove. Ma la base c’è e il fisico è ben allenato. Servirà qualche piccolo correttivo a livello tecnico, ma mi accontento anche di fare una buona prestazione, anche con un gesto meno raffinato a nuoto e con la carrozzina olimpica".
Quando hai iniziato a pensare a questa nuova impresa?
"A pensarci già da un po’ di tempo, perché quella di Kona è una gara che mi affascina troppo. C’era stato un primo contatto a vuoto con gli organizzatori, che però poi ci hanno ripensato: mi hanno chiamato, mi hanno fatto una sorta di colloquio al telefono e mi hanno proposto di partecipare insieme a tutti gli altri, ma fuori classifica. Io ho accettato, perché una sfida così è una sfida con se stessi, che importa se arriverò 10.724° o 10.725°? Poi per la verità una categoria in cui gareggiare me l’hanno trovata e io lo so: alla fine il tempo lo guarderò con curiosità e ultimo non voglio proprio arrivarci”.
Delle tue vittorie dici spesso: 'Un’altra foto da appendere nella stanza dei giochi'. Anche quest’esperienza finirà lì?
"Quest’anno ho fatto la Maratona delle Dolomiti, con la mia handbike, ed è qualcosa che ti fa dire, appena tagliato il traguardo: basta, non lo faccio più. Poi però ci rifletti, pensi a quando eri in cima al Giau e ti sei detto: porca miseria, cosa mi sono lasciato alle spalle! Quella della stanza dei giochi è una metafora per tutto questo. L’orologio fa tic tac e prima o poi arriverà il momento della nostalgia e di guardare le foto appese".
Ma intanto si va avanti...
"Si va assolutamente avanti, perché io voglio arrivare ai Giochi di Rio 2016 e dopo l’ironman penserò a quell’obiettivo lì".
Gareggerai ancora nel paraciclismo o proseguirai nella strada del paratriathlon?
"Abbandonare il ciclismo sarebbe fare una grande rinuncia. È uno sport che prima di tutto mi diverte ed è per questo che mi ero messo in testa di puntare a vincere a Londra, non per sentire il peso di una medaglia al collo. Nel paratriathlon, non lo nascondo, potrei andar bene: è una disciplina nuova (esordirà proprio a Rio a livello olimpico ndr) e che ha offerto un’opportunità a diversi atleti magari con meno risultati di me nel paraciclismo. A maggior ragione, insomma, potrei essere competitivo. Però avere avversari molto forti dà un altro sapore, è parte del gusto di uno sport. In ogni caso, resta un punto fermo: c’è da tenere il fisico in ordine per altri due anni".
In vista dell’ironman quanto è cambiato il tuo allenamento?
"Mi sono dedicato a sessioni più lunghe, un paio di volte a settimana, con meno picchi e intensità. È stato un lavoro con tanta sperimentazione e nel complesso il tempo che dedico agli allenamenti è aumentato. Ma sono fortunato: a seguirmi ci sono persone e aziende che vivono la mia sfida come una loro sfida. Si va dai materiali fino all’alimentazione, con il Prof. Arcelli di Enervit che ha preparato una serie di prodotti fatti appositamente per le mie esigenze e in vista dell’ironman".
La lunghezza della gara ti impone anche dei cambiamenti a livello tattico?
"Inevitabilmente, sì. Dovrò stare attento e bravo a non esagerare nel ritmo e dosare al meglio le forze. Anche qui l’alimentazione sarà decisiva e correrò con una doppia borraccia: da una parte l’acqua e dall’altra gli integratori per alimentarmi, una volta ogni venti minuti. Così, per preparare e gestire tutto non dovrò staccare le mani. A me quelle servono per spingere!”.
Un inferno per uomini d’acciaio. Fatto di 3.860 metri a nuoto, 180,260 km sopra un’handbike, 42.195 metri – vale a dire: una maratona – in carrozzina olimpica. Ore di fatica indicibile, a spingere solo con le braccia. A dimostrare che “impossible is nothing”, come dice lo slogan. In mezzo ad atleti che mollano, si fermano, gettano la spugna, nonostante un paio di gambe in più. Serve qualcosa di speciale, dentro di sé, anche solo per immaginarla una follia così. Alex Zanardi l’ha pensata, sposata, preparata a puntino. E così l’11 ottobre sarà al via dell’Ironman più prestigioso e combattuto, quello di Kailua-Kona, Hawaii. Una prova di triathlon estremo per esordire nel triathlon. E per stupire tutti ancora, alla soglia dei 48 anni. Come se non bastassero gli ori a Londra 2012, quelli nei Mondiali in Canada dell’anno scorso, tutti i successi della seconda carriera nata dall’incidente terribile del Lausitzring, ormai una vita fa, il 15 settembre 2001.
Alex, come procede la preparazione?
"La verità è che mi sento come una sposa prima del matrimonio, ancora con gli spilli appesi al vestito e il parrucchiere cui pensare. C’è ancora molto da fare in questi pochi giorni che mancano: mi sto cimentando con una cosa per me ancora nuova per due terzi, con due discipline – il nuoto e la corsa – non del tutto sconosciute, ma tecnicamente nuove. Ma la base c’è e il fisico è ben allenato. Servirà qualche piccolo correttivo a livello tecnico, ma mi accontento anche di fare una buona prestazione, anche con un gesto meno raffinato a nuoto e con la carrozzina olimpica".
Quando hai iniziato a pensare a questa nuova impresa?
"A pensarci già da un po’ di tempo, perché quella di Kona è una gara che mi affascina troppo. C’era stato un primo contatto a vuoto con gli organizzatori, che però poi ci hanno ripensato: mi hanno chiamato, mi hanno fatto una sorta di colloquio al telefono e mi hanno proposto di partecipare insieme a tutti gli altri, ma fuori classifica. Io ho accettato, perché una sfida così è una sfida con se stessi, che importa se arriverò 10.724° o 10.725°? Poi per la verità una categoria in cui gareggiare me l’hanno trovata e io lo so: alla fine il tempo lo guarderò con curiosità e ultimo non voglio proprio arrivarci”.
Delle tue vittorie dici spesso: 'Un’altra foto da appendere nella stanza dei giochi'. Anche quest’esperienza finirà lì?
"Quest’anno ho fatto la Maratona delle Dolomiti, con la mia handbike, ed è qualcosa che ti fa dire, appena tagliato il traguardo: basta, non lo faccio più. Poi però ci rifletti, pensi a quando eri in cima al Giau e ti sei detto: porca miseria, cosa mi sono lasciato alle spalle! Quella della stanza dei giochi è una metafora per tutto questo. L’orologio fa tic tac e prima o poi arriverà il momento della nostalgia e di guardare le foto appese".
Ma intanto si va avanti...
"Si va assolutamente avanti, perché io voglio arrivare ai Giochi di Rio 2016 e dopo l’ironman penserò a quell’obiettivo lì".
Gareggerai ancora nel paraciclismo o proseguirai nella strada del paratriathlon?
"Abbandonare il ciclismo sarebbe fare una grande rinuncia. È uno sport che prima di tutto mi diverte ed è per questo che mi ero messo in testa di puntare a vincere a Londra, non per sentire il peso di una medaglia al collo. Nel paratriathlon, non lo nascondo, potrei andar bene: è una disciplina nuova (esordirà proprio a Rio a livello olimpico ndr) e che ha offerto un’opportunità a diversi atleti magari con meno risultati di me nel paraciclismo. A maggior ragione, insomma, potrei essere competitivo. Però avere avversari molto forti dà un altro sapore, è parte del gusto di uno sport. In ogni caso, resta un punto fermo: c’è da tenere il fisico in ordine per altri due anni".
In vista dell’ironman quanto è cambiato il tuo allenamento?
"Mi sono dedicato a sessioni più lunghe, un paio di volte a settimana, con meno picchi e intensità. È stato un lavoro con tanta sperimentazione e nel complesso il tempo che dedico agli allenamenti è aumentato. Ma sono fortunato: a seguirmi ci sono persone e aziende che vivono la mia sfida come una loro sfida. Si va dai materiali fino all’alimentazione, con il Prof. Arcelli di Enervit che ha preparato una serie di prodotti fatti appositamente per le mie esigenze e in vista dell’ironman".
La lunghezza della gara ti impone anche dei cambiamenti a livello tattico?
"Inevitabilmente, sì. Dovrò stare attento e bravo a non esagerare nel ritmo e dosare al meglio le forze. Anche qui l’alimentazione sarà decisiva e correrò con una doppia borraccia: da una parte l’acqua e dall’altra gli integratori per alimentarmi, una volta ogni venti minuti. Così, per preparare e gestire tutto non dovrò staccare le mani. A me quelle servono per spingere!”.