Giorno della Memoria: anche lo sport ricorda i suoi Giusti

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Roberto Brambilla

Gino Bartali, vincitore tra gli altri di due Tour de France e tre Giri d'Italia è diventato "Giusto tra le Nazioni" nel 2013 per il suo aiuto agli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale (Foto Getty)
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Nella ricorrenza dedicata alla commemorazione delle vittime della Shoah, le storie di quegli atleti, come il ciclista Gino Bartali, che si impegnarono per salvare gli ebrei. Spesso anche a costo della loro vita

Hanno evitato con il loro coraggio che l'Olocausto, di cui oggi si ricordano le vittime, fosse una tragedia ancora più grande. Sono i "Giusti tra le Nazioni", uomini e donne di religione non ebraica che senza ricevere nulla in cambio hanno nascosto e protetto ebrei durante le persecuzioni naziste. Erano (e sono) avvocati, contadini, medici, religiosi, ma anche sportivi. Ciclisti, calciatori, giocatori di tennis tavolo, ecco alcune delle loro storie.



L'impresa nascosta di Gino – È l'unico trionfo di cui Bartali, loquace e schietto, non parlerà mai, se non molti anni dopo e in privato. È il 1943 e il ciclista, 29 anni, all'epoca già vincitore di due Giri d'Italia e un Tour de France, si mette tramite l'amico e arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa e il rabbino Nathan Cassuto al servizio di una rete di salvataggio di ebrei, la DELASEM.

"Ginettaccio" aveva il compito di trasportare e consegnare durante i suoi lunghi allenamenti documenti falsi che sarebbero poi serviti agli ebrei. Lo farà nascondendoli nella sella e all'interno della sua bicicletta, chiedendo ai militari, per cui era in molti casi già un mito, di non toccarla. Non sarà mai scoperto, anche se Giusto tra le Nazioni lo diventà solo nel 2013, a più di dieci anni dalla sua morte.

Dolinar, una celebrità diventata eroe – A 21 anni era forse uno dei uomini più conosciuti di Zagabria. Bello e talentuoso negli studi e nel tennis tavolo, dove aveva conquistato due medaglie ai Mondiali del 1939 a Il Cairo. Zarko Dolinar, quando nel 1941 nacque lo Stato indipendente di Croazia, fascista e alleato dei nazisti e le sanzioni contro gli ebrei diventarono più dure si adoperò per salvarne il più possibile.

Lui che da coach ( e cattolico) aveva lavorato per la sezione locale del club ebraico Maccabi. Fabbricò documenti falsi con il fratello Boris, nascose ex allievi, li fece emigrare verso zone più sicure, utilizzando la sua fama e le sue conoscenze. Nessuno lo scoprì e lui dopo la guerra continuò a vincere. Sul campo da gioco (tra cui una medaglia d'oro nel doppio ai Mondiali di tennis tavolo nel 1955) e fuori (una laurea e un dottorato in biologia). Accanto a lui la moglie Judith Duić, la cui famiglia era stata salvata da lui e da suo fratello Boris, come Zarko nominato Giusto tra le Nazioni.

Uher, Zilevicius e Gebethner, calciatori coraggiosi – Hanno scritto, anche se in maniera minore, la storia del calcio del loro paese prima della Seconda Guerra Mondiale per poi rimettersi in gioco nei momenti più difficili. A loro modo. Martin Uher, un ex nazionale cecoslovacco e colonna dello Slovan Bratislava, nascose e protesse diverse famiglie di religione ebraica, mentre Danielus Zilevicius, giocatore della nazionale lituana e sua moglie Ona si presero cura fino alla fine della guerra di Genia Rudnik, bambina di una coppia di ebrei deportati e poi uccisi dai nazisti.

Tadeusz Gebethner, nipote di un grande imprenditore polacco e fondatore, giocatore e presidente del Polonia Varsavia, club storico della capitale, aiutò con documenti falsi e denaro la famiglia Abrahamer, ma a differenza di altri, non sopravviverà alla fine della guerra, morendo in combattimento nel 1944 vicino a Varsavia, mentre comandava un gruppo di partigiani.