Ogni giorno, durante le feste, un personale ricordo del 2016 da parte dei volti di Sky Sport. L'evento vissuto, raccontato oppure sentito più vicino
Scrivere degli All Blacks dei record, 18 vittorie consecutive, dell’Inghilterra a quota (aperta) 14, rivitalizzata da Mr. Jones, dell’Italia che batte il Sudafrica sarebbe troppo scontato. Meglio parlare di qualche sintomo pericoloso per il rugby e per i suoi valori. Gesti che appartengono ad altri sport, con palloni meno ovali, e che vanno da mancanza di fair play alla simulazione, dagli insulti agli avversari alla mancanza di rispetto degli arbitri. Il più clamoroso arriva, purtroppo dall’Italia, con un arbitro, oltre tutto donna, che viene placcato a partita in corsa in serie A.
Ma non mancano uno “zingaro” inferto da Marler a Samson Lee, da pilone inglese a pilone gallese, nel Sei Nazioni, una spinta violenta a un medico della squadra avversaria, l’Argentina, del mediano di mischia australiano Phipps a Twickenham, in un Championship d’esportazione, e poi.. insulti e gestacci all’arbitro durante un match di Champions Cup (il gallese James Davies all’indirizzo dell’inglese Garner), morsi, le solite orribili dita negli occhi.
Nel campionario si va dalla vergognosa simulazione, tipo far finta di aver subito un fallo, alla calcistica mania di non restituire il pallone all’avversario quando viene fermato il gioco per rallentarne la ripresa, o, peggio, di calciarlo lontano. E’ la deriva del professionismo che il rugby, abbandonato il dilettantismo dopo il 1995, deve fermare. Ci vuole tolleranza zero, non servono nuove regole, bisogna applicare con durezza quelle esistenti (anche per evitare i placcaggi alti e i possibili danni a collo e testa). E i primi ad applicare la tolleranza zero dovrebbero essere i compagni, gli allenatori, i dirigenti della stessa squadra di chi tradisce il rugby, una sorta di autogiustizia che non deve attendere sentenze e decisioni ufficiali.
Il pericolo, in uno sport di contatto, è che la situazione possa degenerare. Il rugby si è fatto conoscere per i suoi valori, è piaciuto persino alle mamme più timorose che hanno mandato i figli al minirugby, adesso non facciamo cambiare idea a tutti dopo aver venduto orgogliosamente una “diversità” e una “originalità” usata anche a scopo pedagogico nelle scuole anglosassoni. Ci manca solo che cada in disuso il terzo tempo, sacrificato sull’altare di integratori e alimentazione sana, e poi il gioco è…rotto. Brindiamo rugbysticamente con una birra al 2017 e che sia un anno come… una volta!