Un anno, un ricordo: il 2016 di Gianluca Di Marzio

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Gianluca Di Marzio

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Ogni giorno, durante le feste, un personale ricordo del 2016 da parte dei volti di Sky Sport. L'evento vissuto, raccontato oppure sentito più vicino

Il mio 2016 è tutto in uno sguardo. I miei occhi fissi e imbarazzati senza mollarlo un attimo, i suoi persi nei ricordi di magie che non tramonteranno mai. Io e Diego, appuntamento al buio. Fuori da un ristorante parigino, aspettando il suo arrivo dopo la partita inaugurale degli Europei. Io inviato per Calciomercato, al mio primo collegamento francese. Diego invi(t)ato per fare la pace con Pelè e seguire almeno la prima gara della Francia dal vivo, come ospite d’onore.

Aspettavo questo momento e questa intervista da anni, forse da quando ho iniziato ad avere un microfono per amico, quindi dal 1994. Meno di vent’anni prima, mio padre Gianni allenava il Napoli e andò a vedere i Mondiali in Argentina. Gli segnalarono un ragazzino forte ma impertinente, con i capelloni ricci e un sinistro dorato. Andò a spiarlo in un campetto di Buenos Aires, uscì con un contratto firmato in bianco che Ferlaino poi non si sentì di formalizzare. Comunque acquistandolo poi 5 anni dopo dal Barcellona. Era Maradona, quello che mi ritrovai di fronte dopo averlo solo incontrato quando un ragazzino ero io e forse nemmeno ebbi il coraggio di rivolgergli parola.

La seconda occasione arriva però all’improvviso. Mai mi sono mosso infatti per intervistarlo, non avrei voluto disturbarlo o approfittare della conoscenza -diciamo così- di famiglia. Da qualche mese però ho avuto il piacere di apprezzare Stefano Ceci, non solo il suo miglior amico e il manager, ma la persona che più gli è stata vicino nel momento di difficoltà, cambiando vita solo per lui. Per Diego Armando Maradona. “Prima o poi, promettimelo: devo rivederlo, vorrei chiedergli ancora di quei giorni argentini con papà, è l’unico desiderio che ho. Un sogno che parte dal cuore e finisce inevitabilmente in tv”. Stefano mi diede la parola e Parigi si presenta così come un assist di quelli che faceva proprio il Pibe, nascondendoti la palla. Tutto fatto? Macché. L’impegno prevede che mi sarei dovuto presentare davanti al ristorante dove una tavolata è prenotata a nome suo, con il rischio. Rischio che l’intervista potesse saltare anche un minuto prima. “Dipende sempre come lo trovi quando scende dalla macchina: se ha discusso con la fidanzata, se ha bevuto un bicchiere di troppo allo stadio, la garanzia non posso dartela. Al massimo lo saluti e ti fai una foto”. Sì, ok ma il collegamento poi? Ero teso, emozionato ma nervoso. Avrei voluto portarlo davvero in diretta, non mi sarei perdonato un contrattempo.

Finisce la partita, inizia l’attesa. Sms e telefonate, le macchine che arrivano dopo un’oretta con vetri scuri e giganti guardie del corpo. Che scendono e allontanano subito la nostra telecamera. Ecco, è finita, non lo farò mai, penso ad alta voce. Poi appare lui, gli stringo la mano, Stefano sussurra “è il figlio di Gianni Di Marzio, ti ricordi?” e con la mano mi fa segno di no, di non insistere con l’intervista. Lo saluto, mi sorride, a bassa voce ci provo: “me li concedi cinque minuti Diego?”. Quel “certo, certo”, non me lo dimenticherò mai. Ha persino aspettato che Ilaria D’Amico concludesse il collegamento con il ritiro dell’Italia. Ha parlato almeno venti minuti. Riscosso applausi dallo studio e commozione per il ricordo del gol contro l’Inghilterra, era l’anniversario. Si è tolto l’auricolare, l’ho abbracciato, mi ha ringraziato lui. E quello sguardo resta il più bel regalo sotto l’albero del mio 2016.

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