Il regista romano aveva 67 anni. Insieme a suo fratello Enrico, per più di 40 anni, ha scritto la storia della commedia italiana
Il lato comico da trovare dentro ogni cosa, da bravo italiano. E quell’eleganza mai abbandonata da pariolino di una volta. Carlo Vanzina ha scritto l’Italia per il cinema e l’ha fissata nella memoria della gente, come sanno fare quelli che dal cinema sono stati cresciuti. Con papà Steno – maestro della commedia - capitano di un dream team di fenomeni: da Totò a Tognazzi, passando per Monicelli. Tutti dentro una casa romanista, soprattutto il fratello Enrico, di quelle che 10 in pagella solo Falcao. Citazione copia-incolla da Vacanze di Natale. Anno ’83, guarda un po’, quello della Roma campione e di quel capodanno che Cerezo chissà dove avrà trascorso. Passaggio mitico del primo film di Natale, il suo. Quello di “Alboreto is nothing”, altra pillola impigliata nella memoria. Come Febbre da cavallo: storia di padre e figlio. Con Carlo che raccoglie l’eredità di Steno e dirige il sequel rimettendo in campo quella squadra di vecchie glorie. Una vera mandrakata.
Coltissimo, gentile e riservato. Molto distante, in questo senso, dagli eccessi raccontati dietro la macchina da presa. Compresi quelli che hanno lanciato Abatantuono alias Tirzan di Ecceziunale veramente. Quello che oggi sognerebbe Cristiano Ronaldo alla Giuventus e a Buffon direbbe “Non è Andria né Foggia, però bella città Parigi, nel suo piccolo”. Ha amato il cinema sul serio, facendo film per quarant’anni e guardandone uno al giorno, sempre. E trovando con leggerezza il lato comico dentro ogni cosa.