Unico pugile italiano Campione del Mondo dei Pesi Massimi (1989) dopo Primo Carnera. Dal match sfumato all’ultimo contro Holyfield, alla risposta piccata data a Tyson e al manager Don King, fino a quella finale olimpica che non ha più voluto rivedere in tv. Nel giorno del suo compleanno, lo "Speciale Francesco Damiani", in onda su Sky Sport24 (ore 12.20, 14.50, 19.20)
Nel giorno dei suoi 60 anni, attraverso lo “Speciale Francesco Damiani”, ripercorriamo la storia del pugile romagnolo con la sua travolgente simpatia. Una vita di successi, sconfitte, rimpianti e gustosi aneddoti che fanno parte della storia della boxe. Lo speciale, di Lia Capizzi, in onda su Sky Sport24 giovedì 4 ottobre alle 12.20, 14.50 e 19.20.
“Mi aspetti un attimo? Finisco una partita a carte. Ci giochiamo il caffè del pomeriggio”
Il Bar Pieve di Bagnacavallo (Ravenna) è il posto dei giochi di colui che nel 1989 è salito sul tetto del mondo della boxe, primo italiano campione mondiale dei pesi massimi dopo Primo Carnera (1933). Qui Damiani trascorre pomeriggi di risate con gli amici di sempre che lo trattano senza alcun favoritismo: “Litighiamo solo per il calcio. Qui sono tutti juventini, mentre io voglio il telecomando per cambiare e mettere le partite del Bologna”.
Per tutta Italia sei il “gigante buono”. Per i veri amici della zona resti sempre “il cinese”.
“Se 30 anni fa chiedevi in giro: mi sapete dire dov’è Damiani? Ti rispondevano: Boh. Tutto il paese mi conosceva solo come “il cinese”. Dicevano che avevo gli occhi a mandorla. Bagnacavallo è dove sono nato e dove ho vissuto. Quando tornavo dalle trasferte dopo essere stato in tutto il mondo, aprivo la mia portiera e dicevo: ah, un po’ d’aria buona”.
Non è stato amore a prima vista con il ring. Al primo appuntamento hai rifilato alla boxe un sonoro due di picche.
“ La prima volta è stato a 13 anni, per colpa di mio fratello Marco. Io sono andato in palestra su suo invito, mi sono messo in un angolo a guardare e vedevo che si menavano, che a qualcuno sanguinava il naso. Mi fece effetto. Mio fratello mi chiese: allora ti piace? Ma tu sei scemo, gli ho risposto. E via, sono scappato fuori. Poi a 16 anni ho iniziato ad andare a ballare la sera, mi interessava avere un bel fisico e quindi sono tornato in palestra. Ho iniziato e non ho più smesso”.
La boxe come pretesto per essere fighetto...
“Si. Il ring per dimagrire”.
Non hai mai avuto un fisico scultoreo, ma possedevi una grandissima tecnica, eri un grande paratore, ma soprattutto eri velocissimo, qualità rara per un peso massimo.
“Tra tortellini e tagliatelle, il fisico per un romagnolo è un tabù. Però la velocità era la mia arma di forza. Ero molto veloce, ero scaltro. Non mi facevo prendere, riuscivo a colpire e scappare senza essere colpito”.
Hai battuto il grande Teofilo Stevenson ai Mondiali di Monaco di Baviera 1982. Erano i quarti di finale. Lui era il più grande dilettante di sempre, tre ori olimpici e due Mondiali, era imbattuto da 11 anni. La tua prima grande impresa.
"E’ stato il mio trampolino di lancio. Ero uno sconosciuto per lui, anche se avevo già alle spalle più di quaranta incontri in Nazionale, ero già campione Europeo. Forse Teofilo mi ha sottovalutato. Forse ho pure avuto un po’ di fortuna…No dai, scherzo. Se mi hanno dato la vittoria vuol dire che lo avevo menato per bene. Alla fine del terzo round il risultato è stato 5-0 a mio favore, dice tutto”.
A quei Mondiali arrivi in finale e vieni battuto dall’americano Biggs con un verdetto molto contestato. Il copione si ripete due anni dopo ai Giochi Olimpici di Los Angeles '84, sempre contro Biggs in finale. Tutti i commentatori gridarono allo scandalo: l’oro doveva essere tuo.
"Io dico che se fossero state le Olimpiadi a Roma, avrei vinto l’oro”.
Invece erano in America e bisognava tutelare Biggs.
“Forse non ho dato quel pizzico in più per portarmi via la vittoria. Quando finivo ogni incontro, al gong del terzo round, sapevo se avevo vinto o avevo perso. Lì a Los Angeles ho chiuso con un piccolo dubbio. Per questo non me la sono sentita di fare casino, di contestare, nonostante la delusione enorme”.
Biggs è stata la tua bestia nera, ti aveva battuto anche due anni prima nella finale dei Mondiali.
“Quella finale a Monaco in Baviera è stata una rapina, quella sì, davvero. Non so davvero perché mi hanno dato la sconfitta. Me la sono rivista tante volte. Invece la finale delle Olimpiadi non l’ho mai più voluta vedere”.
Dici sul serio? Los Angeles 1984 non l’hai più rivista?
“Giuro. Quel match di Los Angeles non ho mai voluto vederlo. Non ne sono capace nemmeno ora. Mi fa ancora male. Resta un ricordo che ho ben chiaro in testa”.
Da professionista, Biggs sei riuscito a metterlo al tappeto, al Palatrussardi di Milano nel 1988.
“Quella è stata una goduria. Ero pieno di rabbia. Quando l’ho colpito volevo proprio fargli male. Mi aveva fregato il Mondiale, mi aveva fregato le Olimpiadi. Che gusto averlo battuto, lui era poi molto veloce, mi aveva fatto un occhio nero. E’ stato un bell’incontro in 8 riprese. Una rivincita che meditavo, anche se mancava ancora qualcosa”.
L’ oro olimpico che ti è sfuggito da pugile lo hai conquistato da coach con Roberto Cammarelle. In bacheca alla fine hai sette medaglie olimpiche: la tua sul ring e quelle da CT dell’Italia con Cammarelle, Russo, Mangiacapre, Picardi.
“Il successo di Cammarelle alle Olimpiadi del 2008 è stata una grande soddisfazione. Il suo oro mi ha ripagato, diciamo che la mia medaglia d’argento di Los Angeles si è tinta un po’ di giallo a Pechino”.
Quattro anni dopo, a Londra 2012, anche Cammarelle ha vissuto una ingiustizia.
“Non mi aspettavo nulla da Roberto dopo le sue due operazioni per l’ernia. Quel ragazzo lo dovrò sempre ringraziare: siamo andati a Londra e non si puntava per forza all’ora. Ma lui ha fatto una cosa straordinaria arrivando in finale. Poi, ingiustamente, il titolo glielo hanno portato via”.
Hai rivissuto a bordo ring la tua grande delusione di 14 anni prima, Anthony Joshua era stato favorito perché era l’atleta di casa?
“Quello di Roberto a Londra 2012 è stato un furto ancor peggiore del mio. Era diverso. A Los Angeles ‘84 c’era il giudizio dell’arbitro, mentre a Londra 2012 c’erano le macchinette che avevano dato un pari. Invece le prime due riprese le aveva vinte Roberto contro Joshua. Non è possibile una cosa del genere”.
All’epoca mi stupì la serenità di Cammarelle, incontrandolo il giorno dopo in aeroporto. Avrebbe potuto sbraitare o gridare allo scandalo, invece accettò il verdetto con grande signorilità. Per carità, adesso il suo rivale Anthony Joshua è diventato il padrone del mondo dei massimi.
“Si certo, ma da dilettante l’inglese Joshua non stava mica davanti a Roberto, anzi. Lì a Londra aveva vinto Cammarelle, assolutamente. Io non sarei stato così signore nel non reagire, ma Roberto è un uomo d’altri tempi”.
6 maggio 1989. A Siracusa conquisti il titolo mondiale dei pesi massimi WBO. In quel momento le altre cinture le deteneva Mike Tyson. Perché non c’è stato mai un match Damiani contro Tyson?
“Io l’avrei fatto volentieri, sai cosa sarebbe stato incontrare l’uomo più forte della storia! La verità la sa Umberto Branchini, il mio storico manager, un uomo indimenticabile che avrò sempre nel cuore. Mi ha rivelato che c’erano stati contatti con Don King (manager di Tyson), però la proposta era quasi offensiva. Mi davano una borsa di 500.000 dollari quando lui invece prendeva 35 milioni! Tu sei Mike Tyson, devi darmi qualcosa di più. Invece mi vuoi dare solo 500.000 dollari? E’ una miseria. Era una questione di dignità, io mica ero la sua carne da macello. All’epoca difendevo il mio titolo WBO guadagnando 200-300 milioni. Capisci che la loro offerta non aveva senso? Un po’ mi dispiace, sia con Holyfield che con Tyson, sarebbero stati due match che avrebbero dato più risalto alla mia carriera”.
La sfida con Holyfield è sfumata all’ultimo. Eri stato scelto come sfidante, avevi firmato per una borsa da 750 mila dollari, c’era la data fissata e i biglietti già venduti. A due settimane dal match arriva il tuo infortunio alla caviglia, quasi una maledizione.
"Potevo anche vincere... Holyfield era favorito, ma io ero convinto di vincere! Ero già in America ad Atlanta, avevo appena finito di fare i guanti davanti alle televisioni americane e improvvisamente ho messo male il piede e la caviglia si è gonfiata come un pallone. Maledetta quella piccola pedana, io l’avevo vista prima e avevo detto a Elio (Ghelfi, suo allenatore) di spostarla, quasi me lo sentissi... Due settimane erano poche per recuperare. Sarebbe stato come salire sul ring con una mano sola”.
Avresti potuto fare il furbo: combattere lo stesso e incassare i dollari. Quel match ti avrebbe cambiato la vita.
“Me lo hanno proposto. Sono venuti in camera da me, Lou Dova (allenatore di Holyfield) insieme a un dottore che parlava un italiano molto maccheronico: non preoccuparti, mi diceva, ti faccio una puntura e combatti lo stesso, poi alla terza ripresa salgo sul ring e faccio finire il match. Erano presenti anche Branchini e Ghelfi, ma questo discorso non è mai uscito da quella stanza d’albergo. Gli americani ci tenevano a questo match, per loro il mio nome dava credibilità e poi era già tutto programmato”.
Sei stato pure insultato da molti, ti hanno dato del vigliacco.
“Eccome, ho ricevuto tanti di quegli insulti... mi hanno dato del coniglio per non aver combattuto. Quando invece, forse, sono stato uno stupido, a pensarci bene: prendevi un milione di dollari, che erano 2 miliardi di lire, e facevi il signore! Ma io non avevo bisogno di soldi. Io avevo bisogno di credere di salire sul ring per poter combattere ad armi pari”.
Eccolo qui il “Gigante Buono”, non a caso il tuo soprannome.
“Io non ho mai rubato nulla. A me piace seguire le regole. La caviglia gonfia l’hanno vista tutti. Non me la sono sentita: dovevo deludere i miei tifosi, dovevo salire sul ring e fare il pagliaccio buttandomi per terra? Tra me e me pensavo: tanto mi ricapita. Pensavo di avere un’altra chance, è stato questo che mi ha fermato. Invece poi l’occasione non è più ricapitata”.
E’ questo senso di rispetto e correttezza che insegni nella tua palestra di Lugo e Bagnacavallo?
“Ai ragazzi la prima cosa che insegno è la difesa, perché se impari a difenderti poi non hai più paura. Prima, però, mi accerto che non vengano in palestra per imparare uno sport e usarlo fuori per fare a botte. Se succede, qui dentro non entrano più. Li caccio”.
A 60 anni ci dai ancora sul ring, non hai un attimo di pausa durante gli allenamenti della Pugilistica Lughese.
"Visto come mi muovo ancora? E’ una fatica, ma non mi risparmio: è la mia passione. Magari arrivare così a 80 anni e stare ancora sul ring! Sono fortunato: ho 60 anni e sto bene. Poi c’è mia moglie Claudia che mi è sempre stata vicina. Guardala, sembra una ragazzina. Una volta, ad Aosta ai Campionati Europei sono volato giù dal ring per darle un bacino... caduto dalle corde dopo la vittoria. Adesso continuo a baciarla, ma non volo più giù! “.