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Alpinismo, Simone Moro sopravvive dopo una caduta in un crepaccio sul Gasherbrum

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Foto dal profilo Facebook di Simone Moro

Simone Moro è precipitato in un crepaccio mentre cercava di realizzare un’impresa in Pakistan: la salita del Gasherbrum I e il concatenamento con il Gasherbrum II, nella catena montuosa del Karakoram, nell’Himalaya. L’alpinista bergamasco è riuscito a sopravvivere, grazie anche alla presenza di Tamara Lunger

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Una caduta libera, a testa in giù per 20 metri, in un crepaccio stretto 50 centimetri: "Mi si è aperta una voragine sotto i piedi e sono precipitato". Con queste parole Simone Moro racconta su Facebook un episodio che poteva trasformarsi in tragedia in Pakistan. L’alpinista bergamasco è rimasto vittima di un incidente insieme a Tamara Lunger, altoatesina che lo ha accompagnato in diverse spedizioni. I due hanno iniziato a metà dicembre una grande impresa: la salita del Gasherbrum I e il concatenamento con il Gasherbrum II, nella catena montuosa del Karakoram, nell’Himalaya. Tuttavia, mentre provavano a raggiungere campo 2, Moro è caduto in un crepaccio. Fortunatamente è riuscito a salvarsi, grazie anche all’aiuto di Tamara, come racconta lui stesso su Facebook.

Il racconto della caduta: "A testa in giù per 20 metri"

Ecco il post integrale pubblicato su Facebook da Simone Moro il pomeriggio del 19 gennaio.

 

"Tutto è bene quel che finisce bene.

Senza stare a girare troppo attorno al concetto, ieri siamo arrivati veramente a un soffio da un epilogo tragico e funesto sia per me che per Tamara.

Eravamo intenzionati a passare due notti sulla montagna, raggiungere campo 1, dormire lì e il giorno dopo dirigerci verso campo 2.

Eravamo FINALMENTE fuori dalla cascata di ghiaccio, avevamo superato anche l’ultimo grosso crepaccio e procedevamo sul plateau sommitale. Sempre legati perché sapevamo che i crepacci erano sempre in agguato e antenne sempre dritte, ma il morale alto e la soddisfazione di aver superato tutto
il labirinto di ghiaccio grande.

Ma la giornata non era finita e quello che ci aspettava terribile.

Approcciando un crepaccio mi sono messo come sempre in posizione per assicurare Tamara, che per prima lo ha attraversato e si è poi portata in zona di sicurezza, 20 metri oltre il crepaccio.

Poi è venuto il mio turno e dopo una frazione di secondo, mi si è aperta una voragine sotto i piedi e sono precipitato. Tamara ha subìto uno strappo tanto violento che è letteralmente volata fino al bordo del crepaccio e io in caduta libera a testa in giù per 20 metri sbattendo schiena gambe e glutei sulle lame di ghiaccio sospese nel budello senza fine in cui continuavo a scendere. Largo non più di 50 cm, tutto buio.

Sopra Tamara aveva la corda avvolta intorno alla mano e gliela stringeva come una morsa e le provocava dolori lancinanti e insensibilità. Io ero al buio e lei lentamente scivolava sul ciglio del crepaccio. Il tutto complicato dal fatto che lei aveva le racchette da neve ai piedi. Sono riuscito con una mano a mettere un primissimo precario ancoraggio e, pur sentendomi lentamente scendere verso l’abisso ho avuto la lucidità di prendere la vite da ghiaccio che avevo all’imbrago e fissarla nella parete liscia e dura del crepaccio. Quella vite ha fermato lo scivolamento mio e la probabile caduta nel crepaccio di Tamara.

Da lì, senza entrare nei dettagli, ci siamo inventati il modo di uscire. Quasi due ore dopo. Contorsionismi e mille sforzi mi hanno permesso al buio e schiacciato tra due pareti larghe 50 cm e risalire in piolet traction tutto il crepaccio.

Tremolante e con mille contusioni ho abbracciato Tamara che piangeva anche dal dolore alla mano. Mentre salivo era riuscita ad organizzare una bella sosta di recupero e ad assicurarmi mentre scalavo i 20 interminabili metri di ghiaccio liscio. Siamo scesi al campo base, già allertato e rassicurato via radio.

Oggi ho organizzato l’evacuazione di trasportata con richiesta di accertamenti medici per entrambi. Oggi i dolori sono più forti e la mano di Tamara parzialmente insensibile e non utilizzabile”.