Benvenuti, il pugile che tenne sveglia l'Italia

Cogliere perfettamente il momento, vivere e mettersi in luce nell’epoca più adatta alla propria personalità. Nino Benvenuti lo ha fatto, campione dello sport grazie a gesti che sceglievano sempre il momento giusto sul ring, calandosi poi perfettamente nella realtà sociale del periodo, gli anni magici tra il boom economico e i sogni di un periodo in cui tutto sembrava possibile. Pugile bello e sorridente, capace di ribaltare gli stereotipi del suo sport: la boxe di Nino richiama l’eleganza, non l’aggressività, ‘noble art’ nel senso più letterale del termine. Nasce a Isola d’Istria, terra di confine contesa tra Italia e Jugoslavia, oggi Slovenia, e che a cavallo della Seconda Guerra Mondiale è teatro di orrende tragedie. Lo spinge al pugilato il padre, boxeur dilettante e commerciante di pesce. I muscoli e il fiato sono assicurati dai chilometri in bicicletta per raggiungere la palestra a Trieste, territorio libero sotto amministrazione italiana dove i Benvenuti scelgono di vivere quando la loro casa viene requisiti dai titini, il resto lo fa il suo talento. Nino potrebbe già andare alle Olimpiadi di Melbourne, ma ha appena 18 anni e il commissario tecnico Steve Klaus decide che è troppo presto. Avrà ragione lui: a Roma, quattro anni dopo, vince l’oro dei welter e la coppa Val assegnata al miglior pugile dei Giochi. È l’Olimpiade dei grandi personaggi, da Abebe Bikila a Cassius Clay, da Livio Berruti a Wilma Rudolph, e lui, faccia pulita e sguardo accattivante, non è da meno. Quando passa professionista la boxe è ai vertici della popolarità sportiva, e non sfugge il magico gioco delle coppie: il rivale per eccellenza di Nino non può che essere Sandro Mazzinghi, il suo opposto, una boxe fatta di potenza, quasi selvaggia. Popolare, anzi popolaresco, il toscano di Pontedera, uomo da copertine patinate il triestino. Anche politicamente sono agli estremi: uomo di destra Benvenuti, vicino alla sinistra Mazzinghi. Due match per il mondiale dei superwelter, vince sempre Nino: prima volta per ko, seconda con un discusso verdetto ai punti. Sandro non lo accetterà mai, e i due torneranno a parlarsi quando tagliano il traguardo degli 80 anni. Per il triestino è il lasciapassare definitivo per la gloria: nel 1967 è sfidante ufficiale per il titolo mondiale dei medi. Campione in carica è Emile Griffith, americano originario delle Isole Vergini, bisessuale. “Maricon”, lo provocò prima di un incontro il cubano Benny Paret, finendo per essere ammazzato sul ring dai suoi pugni. L’incontro con Benvenuti è previsto al Madison Square Garden, serata a New York, piena notte in Italia: preoccupati dall’insonnia dei lavoratori viene vietata la trasmissione televisiva. Solo radio, e il match diventa leggenda: 18 milioni di italiani ascoltano la radiocronaca di Paolo Valenti che racconta di Nino vincitore ai punti in 15 riprese. Ci sarà la rivincita, e vince Emile, poi la bella, e il titolo torna in Italia. Una saga di 45 riprese che fa nascere un’amicizia indissolubile, con Benvenuti che corre in soccorso di Emile picchiato a sangue da una gang di bruti fuori da un locale per omosessuali e poi lo aiuterà ancora quando il rivale, in vecchiaia, cadrà in miseria. Dopo i tre match a New York Benvenuti diventa un’icona, e non solo dello sport. Bello, la parlantina sciolta, personalità magnetica: recita in un film accanto all’amico Giuliano Gemma, le donne si innamorano del ciuffo biondo di uno che non schiva certo le avventure galanti. Nell’Italia bigotta che già trafisse Fausto Coppi e la Dama Bianca, fa scandalo la sua relazione extraconiugale con Nadia Bertorello, da cui ha una figlia e che sposerà molti anni dopo il divorzio dalla prima moglie. L’avventura sul ring finisce nel doppio match con Carlos Monzon, argentino di Santa Fe, pugile di Santa Fe, concentrato di violenza applicato al ring. A Roma perde il titolo mondiale per ko nel novembre del 1970, la rivincita sei mesi dopo a Montecarlo va anche peggio: alla terza ripresa vola sul ring la spugna lanciata dal manager Bruno Amaduzzi. “Ti voglio bene come a un figlio, non potevo permettere ti ammazzasse”, spiegherà a Nino furente per la decisione. È la fine della carriera, e sarà tra i pochi a resistere alla tentazione di tornare sul ring. Troppi interessi nella vita, campione anche in questo: diventa telecronista, bravo pure al microfono dove la sua eleganza emerge anche nelle parole. È stato un simbolo dello sport italiano, protagonista con la classe dell’atleta e la personalità dell’uomo: definirlo semplicemente un campione di boxe è fare un torto alla verità.

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