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Addio a Paola Pigni, la pasionaria della corsa. Le donne le devono un grazie enorme

Atletica
©Ansa

È morta a 75 anni una delle icone del mezzofondo e dell'atletica italiana, bronzo olimpico dei 1500 ai Giochi di Monaco 1972

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Se n’è andata all’improvviso, quasi senza fare rumore, poco dopo aver partecipato ad una cerimonia con altre leggende (Legends di Sport e Salute) in occasione della Festa dell’Educazione alimentare nelle scuole tenutasi nella residenza presidenziale di Castel Porziano alla presenza anche del Capo di Stato Mattarella. Quasi un paradosso per lei che in Italia di rumore ne ha fatto tantissimo con la determinazione che sin da ragazza ha espresso. Tutte le atlete azzurre, ma in generale tutte le donne che ogni giorno corrono per strada, nei parchi, in città o in montagna, devono a Paola Pigni una profonda riconoscenza. Negli anni 60 in Italia l’opinione comune era che le donne non potessero sostenere la fatica di correre lunghe distanze. Ci ha pensato Paola a fare la rivoluzione, a dare un calcio ai pregiudizi. Cocciuta, aiutata anche dagli insegnati della sua scuola tedesca, da adolescente fa suo il motto: nessuno deve impedirmi niente. Inizia a correre per le strade di Milano, a tutte le ore del giorno, suscitando curiosità e in alcuni casi anche ilarità. E’ stata la prima in Italia a correre i 1500, i 3000 e i 5000 metri, sconfinando pure nella maratona, quella di San Silvestro del 1971 a Roma, città nella quale si trasferì e dove conobbe il marito Bruno Cacchi, commissario tecnico della Nazionale italiana di Atletica dal 1971 al 1974 (scomparso nell’aprile del 2019). Paola Pigni è stata la prima, ripetiamolo. Nel 1968 ai Mondiali di cross dell’Humanitè a Parigi resta storico il titolo del quotidiano sportivo L’Equipe: “Ma chi è questa ragazza italiana che riesce a battere le atlete dell’Est?”

Ha vinto molto, ha ottenuto sei record del mondo, il primo stabilito nel 1969 nei 1500 a Milano (4’12”04) superando l’olandese Maria Gommers. La medaglia di bronzo nei 1500 metri alle Olimpiadi di Monaco 1972 la Pigni l’ha sempre considerata come un furto subìto. Perché davanti a lei arrivavano spesso le atlete dell’Est che erano modificate in laboratorio, imbottite di farmaci proibiti: “quelle sono dopate sino al midollo”, esclamava Paola senza alcun timore reverenziale. La storia le ha dato ragione, le sue avversarie rientravano nel programma “doping di stato della DDR” che poi venne alla luce. Ma la storia siamo anche noi e dobbiamo tutti scusarci con lei per non averle mai saputo riconoscere il giusto merito, assegnarle il ruolo di pasionaria e paladina. Terminata la carriera da atleta, dopo 33 presenze in maglia azzurra, la Pigni ha sempre continuato a promuovere lo sport, ha insegnato a correre a generazioni di donne, alcune sono uscite da momenti di difficoltà personale perché era lei che le coinvolgeva. Correre per vivere e per essere. E’ ora un dovere dello sport italiano ma anche di tutta la società salutare per l’ultima volta Paola Pigni con un immenso GRAZIE. E l’impegno, da qui in avanti, di portarne avanti e rispettarne la memoria.