Yohan Blake, l'eterno uomo nell'ombra

Il trentacinquesimo compleanno ci dice che il ragazzo non è più un ragazzo, mentre la sua carriera racconta di un potenziale numero 1 mai riuscito a diventare tale. Yohan Blake è stato l’eterno uomo nell'ombra di un gigantesco albero chiamato Usain Bolt, capace di attirare su di sé tutta la luce. Non ha fatto niente per sfuggire alla sua natura di gregario, involontaria o meno che fosse: giamaicano come Bolt, sprinter come Bolt, stesso allenatore di Bolt e, inevitabilmente, sempre alle spalle di Bolt. Perché i tempi sono stati anche strepitosi: solo l’americano Tyson Gay ha corso i 100 in 9.69 insieme a lui, mentre nessuno nella storia ha percorso i 200 in 19.26. Nessuno a parte Bolt, ovviamente, e nelle liste di ogni tempo Blake è al secondo posto in tutte e due le gare regine dello sprint. Ha vinto solo una volta, il titolo mondiale dei 100 nel 2011 a Daegu, ma di quella finale si ricorda solo la falsa partenza con conseguente squalifica di uno dei concorrenti: era Usain Bolt, e a quel punto era come se la gara non contasse più. La grande occasione sembrò presentarsi a Londra, Olimpiadi 2012. Il ragazzo di Saint James, contea di Cornwall, ha 23 anni ed è nel pieno della maturità agonistica, ai Trials giamaicani di qualificazione ai Giochi ha battuto due volte Bolt. Si dice che il Re abbia problemi alla schiena e tutto pare pronto per il passaggio di testimone al suddito. Blake davanti alla Regina d’Inghilterra non delude, chiude i 100 in 9.75, i 200 in un favoloso 19.44. Gli bastano per due medaglie d’argento e un titolo ben poco invidiabile: nessuno alle Olimpiadi aveva mai corso così velocemente senza vincere. Davanti, il Re non aveva abdicato. Al cinema ci sono il divo e l’attore non protagonista, nell’atletica Bolt è Humphrey Bogart con Blake nel ruolo di Edward G. Robinson. Tutti i riflettori sul 'Lampo', l’atleta che tutto il mondo attendeva, le pose che tutti imitavano. Nessuno sul ragazzo destinato al ruolo di valletto. Quando provò a inventarsi una sua mossa ai blocchi di partenza, la faccia e le mani a suggerire un ruggito, fece ampiamente capire di essere fuori contesto. Fortissimo sin da ragazzino, ma da subito mai vincente: mondiali junior 2008, è il grande favorito, avendo già corso in 10.11, ma in finale non fa meglio di 10.51, come dire che avrebbe preso più di quattro metri da sé stesso. Per l’oro bastava fare 10.40, per lui una formalità, il tempo del connazionale Dester Lee, che all’epoca era ancora allievo e aveva meno della metà del suo talento. Si pensava potesse essere l’erede di Bolt, ma quando il motore di Usain ha cominciato a perdere di colpi anche Blake, più giovane di tre anni, aveva da tempo imboccato la parabola discendente. I primi infortuni sono del 2013. Da lì in avanti sarà veloce ma mai più velocissimo, anche per motivi psicologici: “Ha paura di forzare e quindi farsi male”, sentenzia il coach Glenn Mills. Finisce ai piedi del podio ai Giochi di Rio e ai mondiali di Londra , poi è quinto a quelli di Doha , mentre alle Olimpiadi di Tokyo la Giamaica subisce l’umiliazione di non avere alcun rappresentante in finale. Un grande avvenire si pensava, ma dietro le spalle il grande dubbio, forse, di aver sbagliato sport. Fortissimo nel cricket, secondo tutti i tecnici avrebbe avuto larghe chance di far parte della selezione delle West Indies, la squadra che raggruppa i migliori giocatori caraibici, le terre dove i colonizzatori inglesi hanno trasmesso la passione per il gioco. Avrebbe potuto avere Bolt, bravo pure in questa disciplina, come compagno e non come avversario. Il maggiore dei rimpianti.

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