Doping, Filippo Magnini dopo conferma della squalifica: "Giustizia sportiva incompetente"

Nuoto

Lia Capizzi

Parla per la prima volta Filippo Magnini, dopo la conferma della squalifica di 4 anni per tentato uso di doping. L'ex campione di nuoto porta registrazioni, documenti e testimonianze per provare quella che, a suo dire, è stata un'indagine falsata, basata su pregiudizi, intidimazioni e supposizioni. Nel corso delle edizioni di SkySport 24 di sabato 25 maggio vi faremo sentire vari estratti delle sue dichiarazioni: "Il problema più grosso è stato dover combattere contro l'incompetenza delle persone che indagano sugli sportivi e che non sanno niente di sport professionistico"

MAGNINI, CONFERMATA SQUALIFICA DI 4 ANNI PER DOPING

MAGNINI SQUALIFICATO IN 1° GRADO, DOV'E' LA VERITA'?

Si commuove quando gli viene ricordato il divieto di frequentare le piscine federali, una delle conseguenze della squalifica di quattro anni per tentato uso di doping (articolo 2.2 codice Wada) recentemente confermata dalla seconda sezione del Tribunale Nazionale Antidoping: "Sono stato allontanato forzatamente dall’unica cosa per cui ho sacrificato tutta la mia vita, il nuoto. Dal 27 maggio del 2017 faccio fatica a dormire. Da due anni ho ingoiato rospi ma ora basta. Adesso parlo io". Filippo Magnini decide di raccontare la sua verità. È battagliero, sconcertato, ma pure preparato e molto lucido. Negli ultimi 24 mesi è come se si fosse trasformato in un avvocato praticante. Ha seguito da vicino il lavoro dei suoi legali, chiedendo, studiando, informandosi. Si è andato a leggere e sottolineare le oltre duemila pagine del processo penale al Tribunale di Pesaro, contro il medico nutrizionista Guido Porcellini: "Il pm di Pesaro è stato molto onesto. Ha parlato di intercettazioni di difficile interpretazione e, anche nella peggiore delle interpretazioni, ha dichiarato che Magnini e Santucci sono totalmente estranei".

Se per la giustizia ordinaria il fatto non sussiste, ben diversa è la valutazione della giustizia sportiva che inverte l’onore della prova, è l’imputato che deve dimostrare la propria innocenza, e punisce anche l’intenzione. Magnini decide di ribellarsi, di andare contro il sistema. È la prima volta che un grande campione azzurro accusa la giustizia sportiva con parole pesanti e dovizia di particolari. Il pesarese analizza tutto e inizia la sua "arringa" dalle intimidazioni ricevute: "Parto dagli interrogatori. Michele Santucci (suo compagno di nazionale, assolto in appello) è stato sentito per 5 ore e mezza, poi subito dopo io per altre 4 ore. A Santucci, per le prime due ore, viene caldamente suggerito di dare tutta la colpa a me. Ringrazio Michele per aver detto la pura e semplice verità e non aver ceduto alle pressioni subite. Da qui, capendo che qualcosa non andava, abbiamo sentito la necessità di proteggerci documentando quello che accadeva a porte chiuse e abbiamo iniziato a registrare con i telefonini gli interrogatori…"

L’ex bi-campione del mondo dei 100 metri ha il volto teso quando dal suo zaino estrae documenti di atti processuali e non solo. Accusa il procuratore Nado Pierfilippo Laviani di aver sbattuto i pugni durante le udienze urlando: "Basta, questa ora è una faccenda personale tra me e lei". Dal suo telefono cellulare fa ascoltare l’audio di alcuni interrogatori per descrivere le intimidazioni alle quali sono state sottoposte le persone coinvolte, c’è la voce del fisioterapista Farnetani (squalificato per 5 anni) che racconta: "Continuavano a ripetermi: guardi, lei ce lo deve dire che procurava il doping a Magnini, noi speriamo che lei sia molto ricco se no noi la facciamo smettere di lavorare. Io rispondevo: ma io mica posso dire una bugia per salvarmi". Al preparatore David Nola in udienza viene mostrato un presunto documento di confessione di Santucci: "Ovviamente era un finto documento, per trarlo in inganno, Santucci ha dovuto poi confermare di non aver mai rilasciato nessuna dichiarazione confessoria", continua a raccontare Magnini che impiega alcuni minuti ad elencare quelle che definisce irregolarità processuali, le alterazioni nelle trascrizioni del suo interrogatorio: "Meno male che ero attento e non ero intenzionato a tagliar corto perché, rileggendo quello che era stato scritto rispetto a quello che io avevo detto, da subito noto diversità. Parole cambiate: io dicevo integratore mentre nel fascicolo era stato trascritto sostanza. Io dicevo sicuramente no, nel fascicolo veniva trascritto probabilmente no. Stessa cosa è successa a Michele, diceva integratori, loro trascrivevano farmaco. Loro si giustificarono dicendo che tanto era la stessa cosa! Ma non è così!".

Da qui parte l’affondo più duro della tesi dell’ex capitano azzurro, arriva a mettere in dubbio la preparazione della giustizia sportiva: "Il problema più grosso che ho riscontrato in tutto questo è stato il dover combattere contro l’incompetenza delle persone che indagano sugli sportivi e che non sanno niente di sport professionistico. E il fatto più eclatante è che nelle motivazioni non è mai indicata la sostanza di cui si parla. Cioè, non sanno quale sostanza mi accusano di aver pensato. L’accusa parla di un esame di laboratorio a Perugia effettuato su un prodotto, controllo che per altro la stessa Wada consiglia, quando poi scoprono che non è mai stato fatto allora l’accusa cambia idea asserendo che il test sia stato fatto sulle urine: anche in questo caso nulla, c’è la prova che nessun test privato delle urine è stato fatto". Magnini espone sul tavolo della conferenza stampa una serie di prodotti reperibili in farmacia e nei supermercati. "Per gli inquirenti io usavo parole in codice come: funghi, corticode, integratori plus. Ecco, questi sono i funghi, questi sono gli integratori, erano gli stessi per i quali io facevo pubblicità, ci sono pure i contratti e le fatture di queste sponsorizzazioni. Nei brogliacci delle intercettazioni compare la parola GH, eccolo qui - ed espone un altro integratore con la scritta GH- Ma com’è possibile che questi personaggi non sappiano la necessità di potenziare l’integrazione durante il periodo di allenamenti in altura altrimenti si va in overtraining?, In appello aggiungono anche una frase che per loro è un codice: I am doping Free. Ma come? Ma se lo sanno tutti che è il mio progetto proprio contro il doping. Come può il sostituto procuratore dire che gli esercizi alla spalla me li deve prescrivere l’allenatore quando sanno tutti che deve deciderli il medico in accordo con il fisioterapista?".

La voce di uno dei più forti nuotatori italiani a volte si inceppa, un segnale di incredulità mentre parla di come, in udienza, l’accusa non abbia creduto ad un reale e documentato problema oncologico del nipotino sottoposto a una visita con Porcellini (squalificato 30 mesi dal TNA e ancora sotto inchiesta penale a Pesaro per presunto traffico di doping): "Porcellini è anche un oncologo, il problema di mio nipote è documentato da cartelle mediche e loro lo negano? Mica incontravo Porcellini segretamente, che poi l’ho incontrato tre volte in 8 mesi. Lui come medico aveva seguito in passato altri campioni di nuoto, medagliati olimpici come Korotyshkin e Cavic della ADN Project dove lavorava nel 2012 mio cugino Matteo Giunta. Per noi, per me, Federica e il gruppo di nuoto di Verona era una persona affidabile". Il nome di Federica, la Pellegrini, leggenda dell’acqua ed ex fidanzata. Lei con Porcellini aveva interrotto la collaborazione dopo un anno al contrario di Filippo. Spesso le storie d’amore concluse che si chiudono si portano dietro rancori, rinfacciamenti, oppure il silenzio, come nel caso tra lei e lui, forse in contrapposizione al tanto clamore mediatico durante la loro relazione. "Mi ha fatto strano che Federica non abbia fatto nessuna esternazione sulla mia vicenda processuale, ma ognuno si comporta come vuole. Gli inquirenti non l’hanno mai voluta sentire, era la persona con la quale convivevo, con la quale avevo un rapporto professionale, magari una sua deposizione avrebbe dimostrato la mia totale estraneità".

In fondo alla sala siede l’attuale fidanzata Giorgia Palmas ("l’unica gioia di questi ultimi due anni") e i genitori Gabriele e Silvia. A loro Magnini rivolge parole di gratitudine, per averlo sostenuto in quella che definisce una gogna: "A volte per strada abbassavo lo sguardo temendo qualche giudizio, sentendomi quasi un appestato per qualcosa che non ho mai fatto. Io fino all’ultimo pensavo che si sarebbe chiarito tutto e infatti per 2 anni non ho parlato pubblicamente, in segno di rispetto per la giustizia sportiva. Forse c’era un piano scritto, non lo so. Di certo io continuerò a lottare contro questo accanimento ingiustificato, con i miei legali andremo avanti, al TAS o altrove, io devo fare venire fuori la verità. Devo riuscire a vincere perché non ho fatto niente".