È durata 10 ore a Montreux l’udienza pubblica del TAS sull’accusa di doping nei confronti del cinese Sun Yang, uno dei più forti nuotatori di sempre che si dichiara innocente. Dalla ricostruzione delle provette di sangue distrutte a martellate nel 2018 alle tante testimonianze in aula, fino agli imbarazzanti problemi di traduzione dal mandarino all'inglese. Il verdetto atteso per l’inizio del 2020
“Credo nella mia innocenza e non ho nulla da nascondere". Alle ore 19.14 la frase pronunciata da Sun Yang mette la parola fine all’udienza sportiva più mediatica di sempre. Una udienza, quella del Tas, che possiamo pure definire complessa, confusa e a tratti imbarazzante. Il fuoriclasse delle piscine inaugura la giornata processuale alle 9.15, sedendosi di fronte ai tre giudici del Panel del Tribunale Arbitrale Sportivo cerca di giustificare il fattaccio delle provette distrutte a martellate durante un controllo a sorpresa, a casa sua, nel 4 settembre 2018. L’Agenzia Mondiale Antidoping (Wada) chiede una pena esemplare da minimo due a massimo otto anni e accusa di lassismo la Fina (Federazione Internazionale di Nuoto) per non averlo punito limitandosi ad una semplice ramanzina.
In aula c’è tensione, la vicenda è complicata, c’è tutto il mondo collegato in streaming, e cosa accade? La traduzione simultanea funziona poco e soprattutto male. Figuraccia planetaria: la prima udienza pubblica, a distanza di 20 anni, nella storia del TAS, ha vissuto momenti alquanto imbarazzanti dovuti alle difficoltà della traduzione simultanea dall’inglese al mandarino e viceversa. Ad un certo punto il presidente del Panel del TAS Franco Frattini – ex ministro degli Esteri del governo italiano - si è sentito in dovere di scusarsi per la scarsa qualità della traduzione nonostante non avesse colpa: spetta infatti alle parti la scelta dei simultaneisti e non al TAS.
Tornando alla vicenda, ciò che è accaduto durante il famigerato controllo antidoping a sorpresa del 4 settembre del 2018, nella villa di Sun Yang, è abbastanza chiaro: le guardie del corpo del gigante cinese hanno preso a martellate la fiala contenente il suo sangue. Sun Yang ripercorre quella notte, l’arrivo dei tre ispettori antidoping, la sua richiesta di vedere i documenti, le fasi successive concitate, la reazione della madre che controlla la vita del figlio a 360 gradi, da cosa deve mangiare a chi deve vedere, l’arrivo nel cuore della notte del suo medico personale che ordina la distruzione delle fiale. La difesa di Yang punta tutto sulle mancate credenziali degli ispettori. Solo uno di loro, dice, era in possesso del tesserino identificativo, agli altri mancava. L’infermiera che li accompagnava, priva di certificato professionale, aveva pure tirato fuori il cellulare per fare un selfie. La difesa chiama a testimoniare la madre di Yang, il capo del laboratorio antidoping della provincia Zhejiang ed anche il tanto discusso medico personale. Il dottor Ba Zhen viene messo alle corde dall’avvocato della WADA: “Scusi signor Zhen, ma lei accompagna spesso Sun Yang ai controlli? Lei che ha così tante violazioni antidoping si ritiene la persona giusta da consigliare o seguire?”. Il riferimento è alla fedina penale (sportiva) non certo pulita del dott. Ba, squalificato un anno per doping tra il 2014 e il 2015, colpevole di aver somministrato al suo illustre paziente uno stimolante (trimetazidina). È la prima squalifica per doping, di 3 mesi, di Sun Yang (maggio 2014), ecco perché, se condannato dal TAS, sarebbe recidivo.
“Mi sono sentito offeso dagli ispettori antidoping, preso in giro”, ripete più volte Sun Yang.
“Signor Yang a quanti controlli si è sottoposto durante la sua carriera?”, la domanda del legale della Wada Richard Young.
“Tanti. Circa 200”, risponde il campione.
“Ho qui la sua documentazione”, prosegue l’avvocato della Wada. “Dal 2012 al 2018 lei ha fornito 180 campioni tra controlli in gara o durante i periodi di allenamenti. Quante volte è stato controllato dalla società svedese IDTM, la stessa società incaricata di effettuare i prelievi antidoping la sera del 4 settembre 2018? 60 volte. 60 volte gli ispettori della IDTM l’hanno controllata. E lei infatti ha riconosciuto uno di loro per un test effettuato nel 2017. Come mai allora quella sera non si è fidato, non si è sentito tutelato?”
Ecco uno dei passaggi chiave. Il punto centrale dell’intera questione è questo: gli ispettori antidoping erano qualificati per controllarlo, hanno esibito i documenti corretti?
Sono passate da poco le ore 19 quando riecco tornare al centro della sala Sun Yang, le ultime osservazioni spettano a lui. Il gigante è più emotivo che mai, confessa di sentire la sua reputazione rovinata, preoccupato perché l’intera vicenda è venuta alla luce per colpa dei media. E qui l’obiezione potremmo farla tutti noi, media e tifosi, ricordando che della sua prima squalifica per doping del maggio 2014, noi comuni mortali venimmo a conoscenza scandalosamente solo nel novembre 2014, quindi a squalifica già scontata... Nessuna sorpresa suvvia, funziona spesso così con gli atleti cinesi, notizie che arrivano con il contagocce o che spesso vengono nascoste. Del resto Sun Yang a casa sua è una divinità, l'atleta più medagliato nella storia della Cina, il miglior nuotatore a stile libero di sempre, 3 ori olimpici e 11 titoli mondiali perché capace di spaziare dai 200 ai 1500 stile. Da sempre si porta dietro sospetti di doping. Alle Olimpiadi di Rio subito dopo la gara dei 200 stile espresse pubblicamente tutta la sua rabbia il francese Camille Lacourt: “Quello lì fa la pipì viola”. Agli ultimi Mondiali di Gwangju ha fatto il giro del mondo la protesta dell'australiano Mack Horton che si è rifiutato di salire sul podio dei 400 stile, considerando Sun Yang un imbroglione. Qualche giorno dopo il britannico Duncan Scott, sul podio dei 200, non ha voluto stringergli la mano, e si è sfiorata la rissa prima dell'esecuzione dell'inno cinese. Dobbiamo però lasciare da parte necessariamente le proteste e i rumors. Il punto focale di questo processo è ben altro, riguarda il diritto di ogni atleta di sapere chi lo sta sottoponendo ad un controllo antidoping. Nelle procedure standard della Wada c’è specificato l’obbligo di una lettera di autorizzazione (in questo caso mancava?). A sua volta, però, l’atleta è tenuto a fornire le sue provette sia pure in presenza di qualche dubbio, perchè nel caso sa che potrà presentare un esposto per dirimere la controversia. C’è il pericolo che questo caso di Sun Yang possa costituire un precedente, altri atleti potrebbero rifiutarsi di consegnare i loro campioni, altri – magari quelli con la coscienza sporchissima - potrebbero distruggere a proprio piacimento le fiale con le loro urine o il loro sangue. L’esito del processo non è affatto scontato, bisogna capire quale interpretazione sarà data ai codici di giustizia sportiva. Per il verdetto del TAS bisognerà aspettare almeno fino a gennaio 2020. Il Panel presieduto dal giuduce Franco Frattini ha promesso a Sun Yang che prenderà visione del video di quella notte, da lui stesso fornito. In merito alla figuraccia delle traduzioni troppo imprecise, sarà necessario ritrascrivere le deposizioni dell’udienza utilizzando nuovi traduttori, si spera migliori.