Una sfida tra Russia e Ucraina si può fare. La lezione che arriva dalla scherma

È successo a Wuxi, in Cina, durante i Mondiali Giovani e Cadetti di Scherma, il primo evento ufficiale, dopo tre anni di sospensione, in cui gli atleti russi e bielorussi neutrali hanno preso parte anche alle prove a squadre: non sotto la bandiera nazionale, ma con i colori della Federazione Internazionale di Scherma . Un dettaglio tecnico che cela un profondo messaggio politico. A colpire non è solo questo ritorno in pedana, o che nella prova di fioretto maschile, poi vinta in rimonta dall’Italia, la squadra ‘FIE’ abbia raggiunto la finale e sfiorato la vittoria, ma il fatto che, nel corso della gara di spada maschile, una cosiddetta formazione neutrale abbia affrontato proprio la squadra dell’Ucraina: nessun ritiro, nessuna polemica, nessun gesto di rottura. Solo sport. Un confronto serrato, come dev’essere, ma nei limiti di quelle regole che lo sport impone e insegna. È la dimostrazione plastica che, quando si accetta il terreno neutro della competizione sportiva, il dialogo può diventare possibile. Scherma e geopolitica: il doppio peso simbolico della scherma Non è un caso che tutto questo accada nella scherma. Sport di origine aristocratica, fondato su codici cavallereschi, questa disciplina è da sempre specchio di equilibri sottili. Non sorprende quindi che molti protagonisti del recente scenario istituzionale sportivo mondiale abbiano avuto proprio la scherma come palestra iniziale: Thomas Bach, ex presidente del CIO, campione olimpico di fioretto; Stanislav Pozdnyakov, presidente dimissionario del Comitato Olimpico Russo, quattro volte oro olimpico nella sciabola; Vadym Gutzeit, ministro dello Sport ucraino, compagno di squadra di Pozdnyakov con cui vinse l’oro a Barcellona ai tempi della Squadra Olimpica Unificata post-URSS. Aggiungiamo Alisher Usmanov, oligarca uzbeko naturalizzato russo, ex sciabolatore e presidente della FIE dal 2008, autosospesosi nel 2022 per via delle sanzioni internazionali e rieletto — con successiva nuova autosospensione per via delle restrizioni che ancora lo affliggono — nel novembre scorso. Dal 2022 al ritorno: esclusioni, riammissioni, polemiche Dopo l’immediata esclusione di russi e bielorussi a seguito dell'invasione dell'Ucraina, nel marzo 2023 la FIE aveva riammesso gli atleti sotto bandiera neutrale, seguendo le linee guida del CIO. La decisione spaccò il mondo della scherma: eventi di Coppa del Mondo vennero cancellati in Germania, Polonia e Francia in segno di protesta. La Confederazione Europea di Scherma intervenne votando l’esclusione dalle gare continentali che qualificavano per i Giochi Olimpici. Pozdnyakov, alla guida della EFC dal 2016, prima di essere sospeso e sostituito dall'italiano Giorgio Scarso, definì la decisione “puramente politica”, lontana dagli ideali olimpici. “Come persona che ha guidato la Confederazione Europea di Scherma per sei anni, lo affermo con assoluta certezza e con piena conoscenza della situazione: si tratta di una decisione puramente politica, che non ha nulla a che vedere con gli ideali dell'Olimpismo e del movimento sportivo”. In sostanza, una sorta di presa di posizione morale da parte della EFC, come obiezione alle azioni della FIE, all’epoca ufficialmente guidata dal greco Emmanuel Katskiadakis, sostituto ad interim di Alisher Uzmanov. Eppure, proprio Pozdnyakov è stato spesso protagonista di prese di posizione radicali, dal sostegno alla mobilitazione militare russa all’attacco ai tennisti: “Una squadra di senzatetto, ovvero atleti che trascorrono all’estero buona parte del loro tempo, guadagnano all’estero, affermano di giocare per se stessi e condannano le politiche del loro Paese del Distretto Militare Centrale. Quindi, dal mio punto di vista, sarebbe più corretto dire squadra di agenti stranieri”. Per la legge russa - già condannata da una sentenza della Corte Europea, perché contraria ai diritti dell’uomo - è considerato agente straniero chiunque, secondo le autorità, svolga attività politica con il sostegno estero, o comunque sia soggetto a influenza straniera. Una dichiarazione piuttosto forte da parte del presidente del Comitato Olimpico locale. Stando alle sue parole, per gli atleti “servire la madrepatria” era un “dovere onorevole”. Non è tutto. Lui che prima di Tokyo 2021 aveva proposto l’utilizzo di un inno alternativo per gli atleti russi, aveva offerto pieno sostegno del Comitato Olimpico Russo per coloro che avessero ritenuto inaccettabili le condizioni di partecipazione imposte dal CIO, di fatto incoraggiando neanche troppo velatamente un boicottaggio. Sua figlia, Sofia Pozdniakova, due ori nella sciabola a Tokyo, ha rinunciato a partecipare ai Giochi di Parigi 2024. Onestamente ci si sarebbe stupiti del contrario. Verrebbe da chiedersi: ma il russo Pozdnyakov e l’ucraino Gutzeit un tempo non erano stati compagni di squadra? Così difficile immaginarli seduti a un tavolo fin dall’inizio, per parlarsi e alla fine lasciarsi con una stretta di mano? Magari con il tedesco Bach cerimoniere? Intrighi di scherma: storie tra sport, spie e confini mobili Non tutto è sempre chiaro dal primo istante, se no, riportando una celebre citazione, “Van Gogh avrebbe venduto almeno più di un quadro quand’era in vita”. Per esempio, anche io non ho mai davvero capito fino in fondo perché gli schermidori sembrino così inclini a finire in trame di intrighi internazionali. Gli sciabolatori in particolare, come sosteneva in un suo pezzo, letto un paio di anni fa, Charles P. Pierce, scrittore e giornalista per Esquire. Pierce sosteneva che l’intreccio tra maestri di scherma provenienti dall’est - e in particolare dai Paesi del Patto di Varsavia - e i club americani che offrivano loro ottime opportunità di lavoro raggiunse il suo culmine pochi anni dopo la caduta del Muro e con quei tecnici arrivarono anche le loro storie. Alcune, davvero incredibili. Io stessa ne ricordo alcune ai limiti dell’assurdo, raccontate dal mio compianto allenatore magiaro, Győző Kulcsar, giunto a insegnare in Italia nello stesso periodo, intravedendo simili opportunità. Le mie ‘favole’ preferite riguardavano lo spadista Vladimir Reznichenko, nato da madre russa e padre cubano ad Almaty, in Kazakistan, medaglia di bronzo per l’Unione Sovietica a Seoul 1988. Divenuto cittadino estone dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, nel 1990 disertò durante una tappa di Coppa del Mondo in Italia, rifugiandosi nella Germania Ovest. A Barcellona nel 1992 partecipò come Wladimir Reznitschenko con la squadra tedesca di spada e vinse la medaglia d'oro. Spia, traditore, trafficante… Che fine abbia fatto, in continuo spostamento tra un confine e l’altro, in molti ancora se lo chiedono. Di certo, impossibile dimenticare i suoi movimenti da pantera, almeno per me che da bambina andavo a vederlo tirare sulle pedane del Teatro Civico di Vercelli, per il prestigioso Trofeo Bertinetti quando ancora esistevano Unione Sovietica e Germania Ovest. Alcuni racconti del maestro Kulcsar però erano talmente coloriti e vividi da rasentare il surreale, specialmente quelli rievocati nelle ‘cene di palazzo’ a Budapest con i suoi ex compagni di squadra, tra cui Pál Schmitt. Presidente del Comitato Olimpico Ungherese dalla caduta del muro al 2010, vicepresidente del CIO tra il ’95 e il’99. Divenuto presidente della Repubblica Ungherese, Schmitt fissò la sua residenza proprio accanto al Castello di Buda, a Palazzo Sándor dal 2010 al 2012, quando rassegnò le dimissioni, anche per via dello scandalo di un titolo universitario di dottore revocato dall’Università Semmelweis, perché ottenuto – pare – con una tesi copiata in gran parte da uno studio antecedente, ma questa è effettivamente un’altra storia. Schmitt aveva condiviso con il mio vecchio maestro magiaro uno dei due ori che aveva vinto alle Olimpiadi del 1968, le stesse in cui Věra Čáslavská, costretta a condividere il podio con una ginnasta sovietica, chinò il capo in segno di protesta, per non degnare del suo sguardo la bandiera del Paese oppressore. Un gesto in gran parte inosservato dall’opinione pubblica, offuscato dal più clamoroso podio guantato di nero degli sprinter americani Tommie Smith e John Carlos. Materiale sufficiente per ore e ore di cene a palazzo, da tramandare a nipoti e pronipoti... Ma tornando a Charles P. Pierce: gli intrighi della scherma non smettono di stupire. Soprattutto quando riguardano un’arma in particolare. In quei Giochi la gara individuale maschile di sciabola fu vinta dal polacco Jerzy Pawlowski. Pawlowski era un talento straordinario. Si diceva avesse otto modi diversi di avanzare sull’avversario. Plurimedagliato olimpico e sette volte campione del mondo, il suo controllo della lama era magistrale, ma era anche un grande showman. Era noto per colpire l’esterno delle dita della mano armata dell’avversario. Gli altri schermidori, compreso il mio maestro, chiamavano questo colpo ‘la manicure’. Fuori dalla pedana, viveva nel lusso come pochi atleti del blocco sovietico, girando per Varsavia su una Mercedes d’epoca, giocando d’azzardo senza misura. Poi, nel 1974, mentre ancora gareggiava a livello internazionale, Jerzy Pawlowski sparì. Nessuno ne sapeva nulla. Ma la verità cominciò a filtrare: Jerzy Pawlowski era una spia della NATO. Lo shock si diffuse in tutto l’apparato sportivo del blocco sovietico. Un suo contemporaneo, all’epoca schermidore per l’URSS, raccontò a Pierce che, nel fine settimana dell’arresto di Pawlowski, l’intera squadra sovietica fu messa in isolamento e interrogata dal KGB e “Nel raccontarlo – scrive Pierce – sussurrò l’acronimo ‘KGB’, come se qualcuno potesse ancora ascoltare”, sebbene si trovassero a parlare in una mensa ad Austin. Oltre 100 schermidori polacchi furono interrogati, immaginiamo non proprio con gentilezza. Il capo della Marina polacca perse l’incarico. Pawlowski fu condannato a 25 anni di carcere. Un suo amico, lo scrittore Jerzy Kosiński, si ispirò a lui per un personaggio del romanzo Blind Date, nel quale l’interrogatorio si concludeva con la rottura di un braccio. Questo non accadde davvero a Pawlowski, ma alcuni dei suoi colleghi dell’epoca credono ancora che sia successo. Secondo un necrologio del 2005 pubblicato su The Independent, fu rilasciato nel 1985. Portato a un ponte insieme ad altri condannati per spionaggio, Pawlowski si rifiutò di attraversarlo, scegliendo di restare in Polonia. Secondo Pierce, nel 1991, una rivista polacca riportò che, sin dal 1955, Pawlowski aveva fatto la spia per il regime polacco sui compagni che parlavano di diserzione. Nel 1962, quando le autorità si accorsero che lo faceva solo per denaro, lo esclusero dalla collaborazione e forse fu allora che iniziò a lavorare per la NATO. Si spense vent’anni fa, nel gennaio del 2005, a Varsavia, dove pare abbia concluso la sua vita come guaritore spirituale, ma l’impressione è che fuori dalla pedana Pawlowski fosse un mercenario. Wuxi 2025: sportivi a confronto, senza bisogno di stringere la mano Difficile pensare di trasporre storie simili ai nostri giorni. Quella che viviamo è una nuova era per gli atleti, l’attivismo è diventato cifra, la sovresposizione è linguaggio. Il sostegno pubblico è un’arma diversa rispetto a quella che, solo alcuni, negli anni ’60 potevano e sapevano maneggiare. La costante esposizione sociale cui tutti siamo sottoposti suggerirebbe quotidianamente maggiore riflessione, perché esibire simboli, esternare gesti etichetta i singoli, li schiera in fazioni, li divide. Anche provare a dare delle regole e farle rispettare rientra ormai tra le azioni che categorizzano gli esseri umani nel ‘giusto’ o ‘sbagliato’. Tra il bianco e il nero, il grigio con tutte le sue 50 e oltre sfumature risulta ultimamente estremamente sottovalutato. Pozdnyakov e Gutzeit erano stati sciabolatori compagni di squadra, sì, ma in un simile scenario non sarebbe bastato sedersi a tavola e parlarsi. Figuriamoci stringersi la mano a fine confronto. Eppure, era un’azione che in pedana, ai loro tempi, aveva un significato ben preciso, talmente importante da essere inserita come obbligatoria nel regolamento internazionale. La scherma, più di altri sport, è fatta di regole severe e gesti codificati. Ma è anche, paradossalmente, lo sport che più dimostra che le regole si possono adattare. Lo dimostra la vicenda di un’altra sciabolatrice, Olga Kharlan ai Mondiali di Milano 2023: l’olimpionica ucraina si era rifiutata di stringere la mano all’avversaria russa Anna Smirnova. Ne nacque un caso internazionale, e da lì un cambiamento storico: la FIE modificò il regolamento, rendendo sufficiente un gesto con la lama per segnare il rispetto tra avversari. Un piccolo cambiamento, sì, ma dettato da un’esigenza più grande: riconoscere che anche le regole devono saper ascoltare il dolore, la storia, e il momento. Olga vive in Italia da tempo con il suo futuro marito, lo sciabolatore azzurro Luigi Samele. Quel dolore lo porta nel cuore quotidianamente, con parte della sua famiglia rimasta nel suo Paese, esposta al rischio quotidiano dei bombardamenti. Se chiedete a loro cosa pensano della riammissione nelle prove a squadre, la risposta è talmente semplice da risultare scontata ai limiti del banale: “Se le cose in Ucraina non sono cambiate, perché mai dovrebbe cambiare la nostra opinione?”. Difficile onestamente dare loro torto, ma vale la pena comunque provare a capire, anche ascoltandoli, magari il 12 maggio a Bologna, quando porteranno la scherma a teatro e racconteranno la loro storia. La voce di Valentina Vezzali: "Vince lo sport" Tra i tanti che a Wuxi si sono fermati a vedere l’assalto a squadre tra Ucraina e ‘FIE’ , c’era anche Valentina Vezzali, Capo delegazione della Nazionale azzurra, è intervenuta a Sky Sport alla vigilia dei funerali di Papa Francesco. “È stato un assalto molto combattuto, vinto dagli Ucraini. Ma alla fine vince lo sport e questa è la cosa più importante: dovremmo tutti prendere esempio dal nostro mondo”, ha commentato la pluri-olimpionica di fioretto, sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega allo sport da marzo 2021 a ottobre 2022. “Io sono fortemente convinta che lo sport sia in grado di abbattere barriere e ponti. Attraverso lo sport si gioca con delle regole, soprattutto con il rispetto dell'avversario”. Papa Francesco: lo sport costruisce ponti In più occasioni, Papa Francesco ha indicato lo sport come “linguaggio universale di pace”. “Lo sport costruisce ponti, non muri. È palestra di fratellanza, occasione per imparare a superare i conflitti attraverso il rispetto dell’altro e delle regole”. Nelle sue parole risuona l'essenza stessa della scherma: un duello controllato, dove l'avversario non è nemico, ma specchio. Dove la distanza si misura in centimetri, ma il rispetto in valori. Il 15 ottobre 2024, lo ‘zar’ della scherma, sua maestà Stanislav Pozdnyakov ha rassegnato le sue dimissioni da Presidente del Comitato Olimpico Russo. Nella lettera in cui le annunciava ha addotto genericamente motivi “tempestivi" per cui lo sport russo aveva bisogno di un nuovo leader. “Le sfide geopolitiche che il nostro Paese sta affrontando impongono la necessità di ottimizzare e centralizzare la gestione di settori chiave dell’attività, incluso lo sport di alto livello”, ha dichiarato. Ricordandolo da atleta, difficile immaginarlo rifugiarsi al fondo della propria pedana, ma nella scherma un passo indietro serve spesso a ritrovare la misura. E quelle due sedie posta una di fronte all’altra tra Trump e Zelensky ci fanno forse sperare che anche in politica sia così. Dal passato un insegnamento: la pace è anche una disciplina Il passato insegna che la pace è anche una disciplina. Lo sport ha spesso mostrato la via quando la politica ha taciuto. È accaduto durante la Guerra Fredda, quando Stati Uniti e URSS si sfidavano a suon di medaglie olimpiche. È accaduto nella ‘ping-pong diplomacy’ tra USA e Cina. E forse è accaduto ancora, a Wuxi, nel 2025. Tra lame russe e ucraine. Il caso di Wuxi non è una favola da cena di palazzo, né una forzatura. È la dimostrazione che la convivenza sia possibile, anche tra chi ha motivi profondi di rancore. Il confronto – quello vero – richiede regole, ma anche la capacità di adattarle quando serve. Gli spadisti a fondo pedana non si sono stretti la mano, ma si sono umanamente posti gli uni di fronte agli altri. Hanno adottato la forma di saluto ammessa eccezionalmente dopo l’episodio tra Kharlan e Smirnova a Milano. Non tutte le regole sono immutabili: alcune si cambiano per qualcosa di più grande. Come il rispetto. Come la pace. E allora sì: Russia-Ucraina si può fare. Lo dimostra la scherma, o almeno, chi la ama lo spera. Lo conferma la storia, lo suggerisce il vangelo dello sport. Ancora una volta, la strada per la riconciliazione passa da un gesto semplice ma potente, a punta abbassata e rispetto sollevato.

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Una sfida tra Russia e Ucraina si può fare. La lezione che arriva dalla scherma

Sara Cometti