Bianchi: "Sarà un Mondiale con più aspettative dopo la vittoria all'Europeo"

Sarà il primo Mondiale a livello individuale per Guillaume Bianchi, che nel suo unico precedente al Cairo, nel 2022, tirò solo nella gara a squadre, vincendo l’oro. A Genova, ai Campionati Europei, è stato il protagonista assoluto. Romano per nascita, di padre italiano e madre francese, Guillaume Bianchi il 30 luglio compirà 28 anni. Si allena al Pisascherma e lavora col maestro Marco Ramacci, cresciuto schermisticamente a Frascati proprio come lui. Ai Giochi di Parigi nel 2024 ha chiuso al settimo posto individuale, protagonista, a fortuna o sfortuna, della “rumorosissima” medaglia d’argento vinta in finale contro il Giappone. Arriva in Georgia paradossalmente quasi da outsider. Possibile dopo aver vinto due titoli continentali? Sì, se sei un fiorettista della Nazionale italiana, dove il più scarso del gruppo, C.t. compreso, ha in bacheca almeno tre quattro titoli, tra olimpiadi e mondiali. Dopo il titolo europeo individuale a squadre, è un po' cambiata la percezione del mondo del fioretto nei confronti di Bianchi. Lo senti anche tu questo cambiamento, oppure no? “Sicuramente è un titolo importante. Dal punto di vista mio personale è un titolo che mi dà un po' più di responsabilità, vado al mondiale da campione europeo con un po' più di aspettative, poi comunque a livello mondiale, gli avversari è da un po' che iniziavano a conoscermi, non sono proprio nato ieri. Andrò al Mondiale e mi giocherò le mie carte per cercare di prendere la medaglia più importante” Hai ragione, non sei nato ieri, la tua carriera si è costruita negli anni molto bene. Che cosa ti ha dato la consapevolezza di essere ad un livello veramente alto da campioni olimpici o da campioni mondiali? “Allenandomi con questa nazionale fortissima, piano piano, mi sono reso conto che potevo essere a livello dei grandi campioni, quindi allenamento dopo allenamento, e soprattutto gara dopo gara, i risultati sono iniziati ad arrivare. A livello di prestazione personale mi sentivo che potevo stare lì e che potevo farcela. I risultati sono arrivati un po' più in ritardo rispetto agli altri, magari, però alla fine sono arrivati e l'importante è quello” Hai parlato di squadra, è curioso perché è difficile da spiegare a chi non conosce la scherma, come sia possibile arrivare in un centro dove quasi tutti hanno vinto almeno una medaglia mondiale. È quasi imbarazzante, devo dire la verità, perché ti senti inadeguato. Però quali sono stati i tuoi di riferimenti? Perché è difficile qui trovarne uno in particolare, c’è l’imbarazzo della scelta. “Esatto, ma io allenandomi a Frascati poi veramente sin da piccoli era una palestra piena di campioni e li ho sempre avuti davanti a me che con professionalità si allenavano e mi hanno trasmesso, sin da giovane, questa professionalità che penso sia la cosa che mi caratterizza. Sono un grande lavoratore: sono lì, mi metto in pedana e con la testa giusta affronto ogni avversario e questo è quello che forse mi hanno trasmesso di più” Un titolo mondiale ce l’hai già anche tu, a squadre. Una particolarità della scherma è che ti dà la possibilità di gareggiare individualmente e a squadre, ma sono quasi due sport completamente differenti. Come ci si reinventa dopo una prova individuale, che sia andata bene o che sia andata male, consapevoli di dover affrontare un altro ruolo all'interno della squadra? “La scherma nasce come sport individuale e lo sentiamo, siamo tutti avversari tra di noi e la nostra gara ovviamente è la gara individuale. Finita quella, ricomincia da capo una gara a squadre che è completamente diversa. Bisogna compattarsi, unirsi e fidarsi l'uno dell'altro. Siamo individualità forti e lo sappiamo. Però è importante che ci sia coesione di noi. Abbiamo lo stesso obiettivo e a quel punto bisogna vincere insieme; quindi, si azzera tutta quella che era l'individualità di prima e si combatte insieme per andare a vincere” Al Mondiale in Georgia, guardando solo il medagliere mondiale, l'Italia del fioretto maschile arriva con una delusione abbastanza grande a Milano, dove nel 2023 non era salita sul podio. E poi con l'argento olimpico di Parigi. Tu a Parigi eri in quella squadra, a Milano no. In Francia hai stretto i denti fino alla fine, nonostante un dolore al polso che chiunque probabilmente non avrebbe sopportato. Quanto di quel percorso di lavoro e di quella costruzione di cui parlavi prima, o di quell'esempio di campioni che hai avuto intorno, ti ha aiutato in quel momento e quanto c'era solo di tuo? “In quel momento nella gara a squadre, dolore a parte, io ho pensato che fosse l’Olimpiade, l'occasione veramente della vita, una gara ogni 4 anni, ci siamo ritrovati lì in una finale olimpica e non puoi pensare al dolore, ma soltanto a stringere i denti e fare il massimo per lasciare il maggior vantaggio possibile al compagno. A livello personale l'Olimpiade è una cosa particolare, però di gare sportive ne abbiamo fatte e vinte tante insieme, sappiamo ormai come comportarci. Bisogna stringere i denti tutti insieme, ogni botta aiuta quello dopo ad arrivare alla vittoria finale. Ognuno di noi è importante in base al ruolo, ma ognuno di noi deve dare il massimo per vincere” Sai, è curioso, perché di quella finale olimpica restano degli strascichi che hanno un po' di amaro, nel senso che si parla dell'arbitraggio, delle scelte del commissario tecnico di sostituirti o non sostituirti e quando poi ha effettuato la sostituzione, si è parlato di un mancato oro, però all’epoca, nessuno di voi ha detto nulla dell’infortunio di Bianchi e soprattutto, solo adesso sembra accorgersi di aver era un campione del genere in squadra. C'è un po' di rammarico rispetto a questa lettura e a tutte le polemiche successive? “In verità il rammarico è che secondo me eravamo a quel punto la squadra più forte. Tra l'Italia e il Giappone, noi eravamo più forti. Avevamo vinto una semifinale veramente difficile contro l'America, che è una squadra che ci ha sempre messo in difficoltà. A quel punto secondo me è più un oro perso che un argento guadagnato, però eravamo la squadra più forte. Anche se loro erano campioni del mondo, noi, secondo me, eravamo più forti. Poi tra un oro e un argento c'è una differenza abissale, questo lo sentiamo, non siamo campioni olimpici e fa male, ma alla fine io facevo parte della squadra ed ero titolare, anche il Ct lo sapeva che ero era una bella risorsa. Il fatto della sostituzione, in verità, è stato sostituito Pippo e magari io avrei dovuto essere sostituito dopo l'infortunio, ma è stata più una questione di fortuna e di tempismo sbagliato. Quelle scelte le avrebbero fatto un po' a tutti. Ci sta, è andata com'è andata, però sicuramente il rammarico c’è” Questo ti porta a guardare con un occhio diverso, magari con un po' più di ottimismo, verso Los Angeles 2028. Hai un altro commissario tecnico che, proprio come Cerioni, un’Olimpiade l’ha vinta; nello staff c'è Alessandro Puccini, che un’Olimpiade l’ha vinta. Insomma, qualcuno che vi possa dare ancora i giusti input da quel punto di vista ce l'avete. La tua sensazione, da qua ai prossimi 4 anni, qual è. Che cosa puoi dare ancora e cosa ci dobbiamo aspettare? “Ovviamente l'obiettivo è Los Angeles. Cerco di pensare gara dopo gara, non è mai facile riconfermarsi ogni anno nella squadra. Dovrò migliorare io schermisticamente a livello di prestazioni ogni anno, che dovrà essere sempre migliore di quello passato. In quel modo a quel punto arriverò a Los Angeles nel migliore dei modi, anche se la vedo lontanissima” Parliamo del tuo nome, in molti a volte si chiedono da dove venga… “Il nome più complicato della storia . Il mio nome è Guillaume ed è francese perché mia madre è francese. Avendo uno dei cognomi più comuni in tutta Italia, hanno dovuto cercare di trovare il nome più strano da accoppiare” Che tipo di bambino eri? “Non ero appassionato di sport ed è il motivo principale per cui ho iniziato lo scherma. Non sapevano bene cosa farmi fare perché non volevo fare niente. Essendo poi nato a Frascati, mi hanno portato alla palestra che era molto famosa. Già a 6 anni ho iniziato a fare scherma e visto che non mi piaceva fare nient'altro, ho continuato quella. Poi ai bambini piace vincere e quando inizi, vuoi continuare. Per il resto era un bambino abbastanza tranquillo” Raccontaci un po' il tuo mondo fuori dalla sale di scherma. “La mia grande caratteristica è che mi sono fidanzato prestissimo, a 16 anni ero già fidanzato e sto ancora con la stessa ragazza. Diciamo una cosa molto particolare per la mia generazione. Oggi è mia moglie, sarà la mamma di mio figlio, visto che è incinta al quinto mese. E questa è una cosa che veramente ha caratterizzato molto il mio mondo fuori dalla scherma perché ero praticamente sempre in ritiro, o in gara o a scuola. Il mio tempo libero a quel punto lo dedicavo a lei, che ha capito e apprezzato quello che sono e quello che dovevo fare. Però almeno pretendeva che il tempo che avanzava lo dedicassi a lei. Sono nato e cresciuto con lei e le devo tantissimo, perché anche quello che sono nella scherma lo attribuisco tanto a lei, perché non mi ha mai abbandonato e sempre spronato a fare meglio. L’altra parte altrettano importante sono stati i miei genitori, che veramente mi hanno sempre spinto. Sin da piccolo mio padre sulla scherma ci ha creduto tantissimo. Molto probabilmente perché il mio primo maestro, Stefano Simoncelli, gli disse ‘Questo bambino diventerà forte’. Mio padre ci ha creduto veramente, e da lì ha sempre voluto che io dessi il meglio di me, mi ha sempre fatto piangere tantissimo, dopo gli allenamenti, perché voleva che vincessi tutti gli assalti. Ha rischiato di farsi odiare alla morte, però alla fine ci è riuscito veramente e ha creato un atleta che odia perdere e che dà tutto in pedana, quindi lo ringrazio di questo. E ringrazio anche mia mamma che invece era dalla parte opposta. Per fortuna ha mediato un pochino la situazione perché sennò avrei lasciato schiena probabilmente a 12 anni” Ha creato anche un uomo che sa sopportare il dolore… Un calvario incredibile con la mano armata. Penso che nella vita capiti quasi a nessuno di rompersi tre volte e di essere operato tre volte alla mano. Quanto ti ha condizionato questo? “Tantissimo. Ho perso completamente la mobilità del polso in uno sport in cui il polso serve. Poi io sono una dimostrazione che serve un po' meno . Il chirurgo che mi ha operato mi ha detto che dopo un'operazione del genere il 90% delle persone avrebbe smesso questo sport e che il 10% avrebbe continuato, ma come hobby. Per lui era impensabile che io abbia potuto creare una carriera su questo. Però in verità questa difficoltà mi ha aiutato a creare un altro tipo di scherma. Mi sono reinventato, ho iniziato a utilizzare le gambe e la misura molto più degli altri, ma davvero molto di più degli altri… E ha creato uno stile particolare che mette in difficoltà tante persone. Alla fine, ne sono grato, da una sfortuna enorme sono riuscito a tirare il meglio di questa cosa reinventandomi come schermitore. Alla fine secondo me è importante come affronti le difficoltà, perché ti possono creare delle situazioni ancora migliori di quelle di prima” Retoricamente nello sport si parla spesso di sogni, che cosa sogna l'uomo Bianchi oltre all'atleta? “In verità dico sempre che non ho sogni, sono contro i sogni perché sono super razionale, sono un uomo matematico che si crea obiettivi dopo obiettivi. Ogni micro-obiettivo mi porta poi magari a un obiettivo finale, ma che non vedo o vedo veramente tanto lontano. Il sogno veramente è una cosa diversa, non sono un sognatore. Il mio prossimo obiettivo è cercare di migliorarmi ogni volta. Ovviamente c'è un obiettivo di risultato, come può essere una medaglia al Mondiale, però so che non dipende solo da me. Dipende dall’avversario, dalla giornata, dall'arbitro e tante altre cose. Sono cose che non posso controllare, posso controllare di dare il massimo migliorare ogni giorno. Questo è il mio obiettivo”.

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Sara Cometti