Tutto lo sport di Robert Redford: troppo bello per non essere vero

"Bob ha fatto davvero la differenza, in ogni senso positivo. Ha rappresentato un’America per la quale ora dobbiamo lottare". – Jane Fonda "In a way, he was like the country he lived in. Everything came too easily to him, but at least he knew it". – Hubbell Gardiner, 'The All-American Smile' "In un certo senso egli era come la nazione nella quale viveva: aveva tutto troppo facilmente. Però lui lo sapeva almeno". È l’attacco de 'Il vero americano sorride' , un racconto "particolarmente buono, scritto da chi voi certo non immaginate", che nel 1937 il Dr. Short , insegnante del fittizio Wentworth College, legge a lezione agli studenti perché "convinto che si impari solo da quei pochi che valgono, che rivelano del talento". L’abbiamo volutamente lasciato così, quell’incipit così rivelatore. Com’è stato tradotto nella versione italiana del film The Way We Were in tempi nei quali, dalle nostre parti, l’ideale stesso di nazione non era ancora stato, dopo un secolo e sempre per becera propaganda, di nuovo artatamente distorto, stravolto, vilipeso. L’autore è l’insospettabile e certo insospettato Hubbell Gardiner , popolarissimo al campus in quanto meglio figo del bigoncio, gran festaiolo WASP e dotatissimo atleta multidisciplinare: mezzofondista vittorioso allo sprint a quattro corsie; giavellottista e discobolo rigorosamente southpaw ; capovoga nel 'quattro con' di canottaggio; e imprendibile, palla ovale al petto, zigzagando fino allo scontato touchdown con tanto di capriola nello scrimmage di football misto studenti/studentesse. E, infine, già maturo e trasferitosi come sceneggiatore a Los Angeles con l’amico di una vita J.J. , diventato produttore, tennista per diletto con registi e Vip di Hollywood e schiacciatore decisivo in partitelle di volley miste fra scapoli e ammogliati in spiaggia a Malibu. Hubbell Gardiner: Ma il tuo partito ha detto che è un guerrafondaio. Katie Morosky: E tu come sai quello che ha detto? HG: Tu credi ancora che un atleta deve essere per forza scemo? KM: Alcuni col tempo possono migliorare. – The Way We Were Quell’immagine di atleta 'acculturato', sullo sfondo di un immortale capolavoro generazionale, una perfetta istantanea di quanto lo sport tout court abbia inciso negli 89 anni trascorsi sul pianeta Terra dall’angelo biondo californiano, che invece, nel profondo, si sentiva e si vedeva "mentalmente piuttosto scuro". Non certo di capelli, color oro zecchino , ma nell’anima. Ferita a morte, a 17 anni, per la perdita della madre Martha Woodruff Hart neppure 41enne e con lei di qualsiasi fede nell’aldilà. E tantopiù nell’al di qua: Bob sopravviverà a due dei suoi quattro figli. Il primogenito Scott Anthony, avuto ventunenne, l’anno dopo aver sposato la ventenne Lola Van Wagenen, è morto dopo sette settimane, il 19 novembre 1959, per sindrome letale infantile. James , il terzogenito, documentarista, dai primi anni ’90 affetto da colangite sclerosante primitiva , è deceduto il 16 ottobre 2020 per tumore al dotto biliare, diagnosticatogli nel 2019. Prima e dopo di lui sono nate le sorelle Shauna Jean , e Amy Hart . "Life is essentially sad. Happiness is sporadic. It comes in moments and that’s it. Extract the blood from every moment". – Robert Redford, 1936-2025 Sport, maestro di cinema Lo sport nella vita di Bob c’entra presto . E vi resterà a lungo. In svariate declinazioni. Che fossero, nella vita reale, il football e soprattutto il baseball e il tennis alla Van Nuys High School – anche dopo essersi diplomato nel 1954 in squadra col pitcher Don Drysdale e, in qualche allenamento al Los Angeles Tennis Club, del leggendario Pancho González – e poi da lanciatore mancino con borsa di studio ai Buffaloes alla University of Colorado di Boulder. L’ateneo che, dopo due anni, nel 1956, lo espulse per indisciplina salvo poi laurearlo ad honorem in tarda età e lo stesso in cui, nella classe del 1985, si laureeranno i figli James in Lingua e Letteratura e Shauna in StudioArt . Oppure, sul set, il golf ; lo sci e ancora – anzi: soprattutto – l’ineludibile batti-e-corri, national past-time iconico almeno quanto la sua interpretazione ne The Natural , icastica conferma – se ne servisse una – del suo vanto di non aver mai avuto bisogno, in carriera, di controfigure. Dick Needham: How would you rate yourself as a skier? Robert Redford: Bad! Mad! Bad! All hungry and full of joy! – SKY Magazine, novembre 1975 Del resto, lui col baseball c’era cresciuto. E, prima che infortuni e indisciplina prendessero il sopravvento, aveva perfino cullato il sogno di giocarlo da professionista. Nel 2016 dichiarò che quando era ragazzo a Santa Monica, in California, negli anni ’40, non c'erano nelle vicinanze franchigie della Major League. E così era diventato un tifoso dei Boston Red Sox, grazie a uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi: Ted Williams . "I realized there was more to [the Sox] fan than just Ted Williams. I had the joy of my life a few years ago when I sat behind the catcher at Fenway and they beat the Yankees" – Robert Redford, 2016 Di alter ego o stuntmen non ne ha avuto bisogno neppure nei motori: nei panni fittizi di Halsy Knox, un centauro radiato dalle piste, accanto a Lauren Hutton in Little Fauss and Big Halsy . O in quelli fin troppo reali nelle scorribande con la sua vasta collezione di Porsche . “The Natural” Born Killers Nonostante le quattro nomination agli Oscar , e il buon riscontro al box office , per buona parte della critica non è stato il miglior Redford quello di The Natural. Eppure, nell’immaginario non soltanto dei cinefili più appassionati, il suo personaggio sportivo più riuscito resta proprio quello di Roy Hobbs. Il predestinato cui la vita tirerà un perfida curve ball lunga 16 anni prima di concedergli una seconda chance. E, da attempato rookie-underdog, il successo-redentore: il pennant di campione delle World Series MLB con tanto di home run – alla lettera – da cineteca: quello del riscatto, mandando in frantumi l’orologio del Wrigley Field di Chicago contro quei Cubs per i quali, 16 anni addietro, non aveva giocoforza potuto sostenere il provino; e quello decisivo in finale, in notturna, centrando i riflettori del fittizio 'Knights Field' . E, quasi apposta, con i mille pezzi, l’infido e navigato beat writer Max Mercy . La storia, americanissima nella sua perdizione-e-redenzione, è perfetta per un Paese – pardon, nazione – alla perenne ricerca di quell’epica storica che, per i soli due secoli dell’Unione, fatalmente latita. E lo sport, inteso sia agone sia Evento, ne è fonte al contempo fucina inesauribile e compatibile per un popolo che pare nato apposta per la civiltà dell’immagine. Il film di Barry Levinson, uscito nel 1984 è la trasposizione dell’omonimo romanzo del 1952 di Bernard Malamud , non proprio un best-seller, ma hollywoodianamente ne capovolge, con l’epilogo, pure il messaggio se non la morale. E in favore appunto dell’happy ending, ineluttabile condicio sine qua non per l’ambiziosa TriStar Pictures, all’esordio al botteghino e ansiosa di un radioso futuro fra i mega-studios. Pochi sanno però che Levinson aveva inizialmente immaginato un finale più modesto, più vicino all’originale, che era molto più cupo. Fu poi lo stesso Redford a insistere sul fatto che la storia avesse bisogno di un finale epico, di qualcosa che elevasse il pubblico anziché deprimerlo. Il suo istinto era giusto: quella scena – è il caso di dirlo – abbagliante è diventata uno dei più indimenticabili climax nella storia della filmografia sportiva. Questa, in sintesi, la sceneggiatura scritta da Roger Towne e Phil Dusenberry. Quest’ultimo autore e regista in quell’anno anche di documentari per l’allora Presidente Usa Ronald Reagan e la First Lady Nancy, trasmessi alla tv nazionale e celebri per il claim 'It’s Morning Again in America'. Per la serie: tutto si tiene. Tornando al piccolo Roy Hobbs , nel Nebraska degli anni ’10 del Novecento cresce – nella splendida cinematografia di Caleb Deschanel fra tramonti infuocati e sterminati campi di granturco solcati solo dai binari della ferrovia, esaltata con un sapiente uso del ralenty e la colonna sonora di Randy Newman – con pallina e guantone scambiandosi lanci col papà. E sognando, un giorno, di giocare da professionista. Quanto alla mazza, se ne intaglia una di suo pugno e col legno scheggiato del grande albero vicino a dove – sotto tuoni e fulmini, per un infarto – ha prematuramente perso il padre. Sul manico, incide un fulmine stilizzato e la scritta 'Wonderboy'. Il ragazzo-meraviglia di una carriera già scritta e che tale non sarà. La storia cela insospettabili e inquietanti analogie con quella – vera, al di qua dell’Atlantico – del corridore Henri Pelissier, vincitore del Tour de France ucciso con una rivoltella da un’amante. E la svolta, anche qui, arriva a causa della passione per una donna. Il 19enne Hobbs , accompagnato dal suo manager Sam Simpson , si reca in treno a Chicago per un provino ai Cubs. Ignaro di aspettare da lei un figlio, lascia al paesello Iris Lemon, la sweetheart d’infanzia . E in viaggio incappa in un triplo strike del destino che gli stravolgerà l’esistenza. Sul treno sale anche Walter 'The Whammer' Whambold . Al suo seguito della pur declinante superstar viaggiano Harriet Bird , misteriosa e conturbante dark lady con una oscura ossessione per i giocatori di baseball e a caccia del "the best there ever was" e l’inviato Max Mercy, suiveur-vignettista che mai s’è fatto scappare una storia, a costo d’inventarsela. E quella che sta per sbattergli addosso è da prima pagina, a nove colonne e con titoli cubitali. Lungo la tratta, il treno fa una fermata per fare rifornimento d’acqua a Iola, Kansas, uno degli sconfinati middle of nowhere nelle praterie Usa. E dove nel frattempo è in corso un quaint carnival, con ruota panoramica, zucchero filato e tutto il pittoresco carrozzone da sagra di strapaese. Proprio mentre col suo lancio mancino sta sbancando il tirassegno, ecco che scatta una scommessa ad alto tasso di testosterone , caldeggiata da 'Spugna”' Sampson e cavalcata da Mercy: la giovane promessa è chiamata a eliminare il vecchio campione in soli tre lanci. Roy Hobbs: I wish you hadn’t bet that money. You come by it hard. Sam Sampson: I wouldn’t have made that bet if I didn't believe in you. Neanche a dirlo il baldanzoso giovanotto, sicuro di sé almeno quanto, non solo ce la fa: ma col suo potente swing umilia la spocchiosa e bolsa superstar. E risalendo in carrozza regala a imperitura memoria – la palla 'vincente' a un ragazzino del posto che, nel rincorrerlo per portagli il giubbotto dimenticato, aggiorna all’istante, come la misteriosa mitomane, la gerarchia del "the best there ever was". Hobbs poi reincontra Harriet in una stanza d’hotel a Chicago dove lei, non si sa bene in quali circostanze né perché, prima lo attira in camera telefonandogli. E quando lui si presenta, lei si cala sul viso una veletta nera, gli spara all’addome e poi, con la stessa rivoltella, si uccide. Waitkus, il vero The Natural Il fatto, realmente accaduto, da cui Malamud ha tratto ispirazione per il suo romanzo , fu uno dei primi casi riconosciuti di criminal stalking negli Stati Uniti: il 14 giugno 1949 all’Edgewater Hotel di Chicago, la 19enne Ruth Ann Steinhagen sparò a Eddie Waitkus, nuovo prima base dei Philadelphia Phillies ed ex Chicago Cubs. Nato nel 1919 da immigrati lituani, Edward Stephen Waitkus era cresciuto a Boston, Massachusetts. Prodotto del Boston College, aveva cominciato a giocare da semiprofessionista nel Maine e poi debuttato in MLB per i Cubs nel 1941. A guerra finita, che aveva combattuto con onore nell’area del Pacifico, nel 1946 era tornato ai Cubs, guadagnandosi da prima base una certa popolarità tra media e tifosi come battitore da .304 di media. Fu in quella stagione che, guardandolo giocare, l’allora sedicenne Steinhagen si invaghì di lui al punto da divenirne ossessionata. Ann cominciò a seguire le partite dei Cubs, e in seguito sua madre disse che la propria figlia non parlava d’altro. E anche quando, al termine della stagione 1948, Waitkus fu ceduto ai Philadelphia Phillies, placò in lei la fissazione. Anzi. "Continuavo a pensare che non l’avrei mai avuto e che se non potevo averlo io, non avrebbe potuto averlo nessun’altra", dichiarerà in seguito, da imputata per l’omicidio, durante l’udienza in tribunale. Quando nel giugno 1949 i Phillies arrivarono a Chicago per giocare contro i Cubs, Steinhagen prenotò una stanza per tre giorni all’Edgewater Beach Hotel, l’albergo al civico 5300 di Bock Sheridan Road dove alloggiavano i Phillies. Il 14 giugno assistette alla partita pomeridiana, vinta 2-9 dai Phillies, nella quale Waitkus realizzò una battuta valida. Più tardi, la sera stessa, Steinhagen diede 5 dollari a un fattorino dell’albergo affinché questi consegnasse a Waitkus un biglietto in cui lei , gli chiedeva di "vedersi il prima possibile per parlare di qualcosa di estremamente importante". E pubblicato dal quotidiano Chicago Sun-Times il 15 giugno, all’indomani della tragedia solo sfiorata. Per una fortunata e turoniana questione di millimetri. Mr. Waitkus – It’s extremely important that I see you as soon as possible. We’re not acquainted, but I have something of importance to speak to you about. I think it would be to your advantage to let me explain it to you as I’m leaving the hotel. Quando Waitkus la raggiunse in stanza – come Hobbs con la misteriosa dark lady del treno –, confesserà , gli disse: "Sono due anni che mi dai il tormento e ora morirai". Steinhagen gli sparò con una calibro 22. Il proiettile non colpì il cuore, ma un polmone. Fu l’attentatrice stessa a chiamare la reception per segnalare la sparatoria e Waitkus fu subito portato all’Illinois Masonic Hospital. E quel pronto tempismo in tutta probabilità gli salvò la vita. Dovette poi subire diversi interventi per farsi rimuovere la pallottola. Tornò in campo per i Phillies nel 1950, vincendo da loro miglior battitore il pennant della National League, e continuò a giocare fino al 1955. Waitkus, che morirà nel 1972 a 53 anni per un cancro all’esofago, incredibilmente non denunciò mai Steinhagen, ma la corte penale, scontata l’iniziale detenzione nella prigione di Cook County, la giudicò incapace di intendere e di volere e la fece internare al Kankakee State Hospital, istituto statale nel quale restò per quasi tre anni. E dove, riporta il Tribune, "è stata sottoposta a terapia elettroconvulsivante per alterarle l’equilibrio chimico del cervello, nonché a idroterapia e terapia occupazionale". Una volta uscita, tornata ad abitare con i genitori e la sorella nella casa di famiglia nel NorthWest Side di Chicago, per quasi sessant’anni condusse una vita ritirata, fino alla sua morte, avvenuta a 83 anni il 29 dicembre 2012. Il decesso, avvenuto allo Swedish Covenant Hospital per ematoma subdurale dovuto a una caduta accidentale in casa, fu scoperto da dal Chicago Tribune per caso, mentre il suo redattore dei necrologi, Bob Goldsborough, lavorava a tutt’altro. Non risultano di Ruth Ann apparizioni pubbliche, né riscontri se sia stata sposata o se abbia lavorato e dove. "Non si vedeva quasi mai nel quartiere. Cercava di mantenere il più basso profilo possibile", raccontò Goldsborough a Robert Siegel, per 40 anni co-conduttore di 'All Things Considered', notiziario pomeridiano del network National Public Radio. A proposito di Henri Una storiaccia maledettamente simile all’assassinio di un grandissimo del ciclismo eroico, il francese Henri Pélissier , avvenuto per mano della sua compagna Camille Tharault. Durante una lite in cucina nella loro villa in stile-normanno a Fourcherolles, vicino Dampierre, fuori Parigi, lui con un coltello l’aveva ferita al volto. Camille, di vent’anni più giovane di lui, era corsa in camera e da un cassetto aveva tirato fuori il revolver. Tornata in cucina, vedendo Henri che aveva ancora in mano il coltello, temendo per la propria incolumità tirò il grilletto per cinque volte. Uno di quei colpi recise la carotide del 46enne ex campione. L’aspetto ancora più inquietante è che con quella rivoltella, e in quella stessa stanza, si era tolta la vita Léonie, la prima moglie di Henri. Camille si appellò alla legittima difesa e se la cavò col minimo della pena: un anno di detenzione, sentenza sospesa con la condizionale. LA FIN TRAGIQUE D’HENRI PÉLISSIER n’a surpris personne à Dampierre "Si j’avais de l’argent, il y a bien longtemps que je serais partie", avai declaré dernièrement la meurtrière. LA TRAGICA FINE DI HENRI PÉLISSIER non sorprende nessuno a Dampierre "Se avessi avuto dei soldi l’avrei lasciato tempo fa” ha detto ieri l’assassina. – Titolo in prima pagina del Paris-soir, venerdì 3 maggio 1935 Before the Knights Più fortunato del maggiore e più vittorioso dei fratelli Pélissier , il giovane Roy miracolosamente si salva. Gli ci vorranno però sedici anni prima di firmare, nel 1939, il contratto da rookie con i New York Knights, club in disarmo dentro e fuori il diamante. Il manager 'Pop' Fisher è furioso per l’acquisto, un esterno destro troppo vecchio e firmato senza la sua approvazione, il che nascondeva – Pop ne era sicuro – oscure manovre da parte del proprietario della franchigia. Fisher quindi prima non lo fa giocare, poi lo 'promuove' a pinch hit ma poi deve arrendersi al talento di 'The Natural'. Curiosamente, lo stesso nick poi appiccicato a Scottie Pippen, passato alla storia NBA come l’antesignano della moderna point-forward e perfetto secondo violino dei Chicago Bulls jordaniani dei due Threepeat, ma uno che sia al liceo , sia al college tutto era tranne che un 'talento naturale' e men che mai un predestinato. Nel mentre l’assistente di Fisher, 'Red' Blow , rivela a Hobbs che, in caso di mancata vittoria del campionato, Pop perderebbe la propria quota azionaria, che così tornerebbe al non meglio precisato 'Giudice' , il losco proprietario di maggioranza della franchigia. The Judge tenta di corrompere Hobbs offrendogli 5.000 dollari per non vincere il campionato. O almeno per giocare 'a perderlo'. Hobbs, a differenza del compagno 'Bump' Bailey , rifiuta sprezzante. E così scatena la scomposta e sdegnata reazione del Giudice, una delle battute-cult del film. «Lei è un impudente, signor Hobbs». – The Judge Ma questo è niente, quanto a impudenza, visto che The Natural si era già invaghito – poi ricambiato – di Memo Paris , avvenente nipote di coach Pop e soprattutto ambigua ragazza di Bump, il compagno di squadra corrotto, oltre che pupa del potente Gus Sands . Lui, un raffinato "ten-million bookmaker" senza scrupoli, il cui magico occhio di vetro sa indovinare – con l’approssimazione di un dollaro – quanti soldi abbia in tasca, alla loro cena di gala, lo “spiantato” Hobbs. Lei, la biondissima femme-fatale, manipolata e manipolatrice, che il boss – come piano-A al già corrotto Bump – sfrutta facendole sedurre l’integerrimo campione, del quale lei stessa, da subito affascinata, suo malgrado finirà per innamorarsi. Memo Paris: "You bastard! I hate you. I hate you". Roy Hobbs: "You were right, Memo. We have met before". L’altra storia nella storia riguarda i 16 anni di Hobbs nell’oblio, dal suo tentato omicidio all’arrivo al professionismo. Guardandolo lanciare durante un allenamento, il cronista sportivo Mercy improvvisamente si ricorda di lui e lo presenta a Sands, che ha scommesso ingenti somme sulla sconfitta dei Knights. E dunque contro il campione, che nel frattempo – come da evergreen gossiparo simil-Dama Bianca d’oltreoceano – pare sempre più distratto dalla sua nascente storia d’amore e votato alla bella vita, che ai risultati sul diamante. Fino, appunto, al fuoricampo del titolo. E della americanissima redenzione. Per una volta senza l’amaro retrogusto che più malinconicamente redfordiano non si può. Sublimato, in Come eravamo, in un paio di leggendari ciak entrati di diritto nella Storia del cinema. La birra che lui sorseggia in barca al sole californiano con l’amico JJ dopo aver divorziato da Katie Morosky . E l’averla reincontrata alla stazione dei taxi a New York mentre lei, risposatasi da ragazza-madre della loro bambina, è ancora attivamente impegnata nel volontariato politico. Non più contro i regimi nazi-fascismi degli anni Trenta; o per la rielezione del presidente Franklin Delano Roosevelt nel 1944 contro il repubblicano Thomas E. Dewey; o per difendere la lista nera dei 'Dieci di Hollywood' dalla caccia alle streghe maccartista; ma per il disarmo nucleare. Il gesto – insieme dolcissimo e lancinante come solo l’Amore può e sa essere – con cui lei gli sistema delicatamente il leggendario ciuffo biondo prima di stringersi in un ultimo abbraccio è pura poesia in celluloide. E che ci è parso di rivedere in quello, reale, di Urška Žigart al suo amato Tadej Pogačar, impegnato nel defaticamento sui rulli dopo aver blindato il Tour de France 2024 vincendo in maglia gialla il tappone di Isola 2000. Per una volta la vita che imita la Arte. Hubbell Gardiner: Tu non molli mai, eh? Katie Morosky: Solo quando ci sono proprio obbligata. Però so perdere molto bene. HG: Meglio di me. KM: Eh, io ho fatto… più pratica. HG: Addio, Katie. KM: Addio Hubbell. Addio, Bob. Addio a forse l’ultimo 'eroe romantico' della New Hollywood . Addio Old America. Questa, sempre che America sia ancora, non era più la tua.

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Tutto lo sport di Robert Redford: troppo bello per non essere vero

Christian Giordano