Il flop in Eurolega parte da lontano: cosa è successo all'Olimpia?

Più che la sconfitta ha colpito il modo: l’Eurolega è una competizione difficile, di alto livello e può capitare di restare fuori dalla post-season. Così però no, non è accettabile: l’Eurolega dell’Olimpia, il vero obiettivo della stagione, per il terzo anno consecutivo, è finita molto presto. Se sarà undicesimo o dodicesimo posto lo deciderà l’ultima giornata di stagione regolare ma sarà solo un numero, la sostanza c’è già: semplicemente l’EA7 non ha lottato, si è arresa alle prime difficoltà contro avversari forti ma non così più forti. All’origine di questo fallimento ci sono indubbiamente delle ragioni tecniche, la squadra si è dimostrata talentuosa ma troppo piccola e poco fisica per il livello dell’Eurolega: c’entrano chiaramente anche i tanti infortuni, su tutti quello che ha tolto praticamente per tutta la stagione di Josh Nebo, l’unico centro a disposizione di coach Messina. Anche le altre però hanno avuto problemi, ci sono stati infortuni ovunque , tutte le squadre hanno avuto momenti di difficoltà. La differenza l’ha fatta però la voglia di reagire, quell’animus pugnandi che ti permette di uscire dai momenti difficili, che ti fa trovare risorse anche nei giocatori meno esperti o meno attesi. In questo senso l’Olimpia è stata nettamente la peggiore delle diciotto squadre di Eurolega, peggiore anche dell’Alba che, con mezzi tecnici decisamente inferiori, ha mostrato molta più voglia di lottare. I tempi del famoso “sputare sangue” che ha reso famosa la Milano di Dan Peterson e che è stata storicamente la splendida caratteristica dell’Olimpia non sono lontani, sembrano addirittura mai esistiti. L’arrendevolezza, la mancanza di carattere, di capacità di lottare, di reagire ai momenti difficili, l’elettroencefalogramma piatto: tutti elementi che hanno segnato la stagione di Milano e che si sono riproposti clamorosamente nelle ultime decisive partite. La beffa è arrivata al penultimo turno perché, se ti cerchi guai, il destino spesso si accanisce: per sperare nella post-season e potersela giocare nell’ultimo turno, l’Olimpia doveva vincere a Bologna e la Stella Rossa perdere in casa contro l’Efes. Puntualmente con i serbi sconfitti di un punto all’overtime, è arrivata anche la sconfitta milanese in un derby che ha regalato ai tifosi virtussini la platonica soddisfazione di aver sancito la definitiva eliminazione degli arcirivali. Così, nel modo più beffardo, si è chiusa una stagione promettente in autunno, disastrosa in primavera. Non che la Virtus sia andata meglio, anzi. Solo nel finale di stagione regolare ha trovato un filotto di vittorie convincenti, per il resto tante sconfitte, anche nove di fila, per un’annata deludente soprattutto se paragonata a quanto di buono fatto nella stagione precedente. Lo spirito però quasi mai è mancato: delle 23 sconfitte maturate fino alla penultima giornata solo 9 sono arrivate con un distacco di 10 o più punti. Nelle altre occasioni Bologna se l’è sempre giocata, mancando nell’aspetto che ha reso vincente la stagione precedente, il finale di partita. L’anno scorso ha vinto quasi tutte le partite punto a punto, quest’anno le ha perse. Non è una cosa da poco, anzi è stato un problema irrisolto per tutta la stagione: lo spirito però non è mai mancato, sia nella gestione Banchi che in quella Ivanovic. Ecco, lo spirito, esattamente quello che l’Olimpia ha messo in mostra raramente, mai nelle quattro sconfitte consecutive che hanno segnato la sua eliminazione dalla post-season. Avesse avuto anche solo un po’ della fame e della voglia di lottare della Virtus, forse, staremmo parlando almeno di play-in, se non addirittura di playoff.

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