Copa Libertadores, la copertina è per Pratto: l’ex Genoa trascina il River

Calcio

A quindici anni nel Boca: quattro prestiti in quattro stagioni (di cui uno in Norvegia!) e appena ventidue minuti giocati. Non brilla nemmeno in Italia dove dura sei mesi. Dall’ora di bicicletta da bambino per raggiungere i campi d'allenamento alla paga di 50 pesos al mese. Dal Velez di Gareca alla vendetta della Bombonera. Così Pratto da “cammello” è tornato “El orso”

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Insolito come vedere il numero 10 sulla schiena di un portiere. Insolito perché quell’attaccante che col Genoa aveva il numero 2 sembrava tutto tranne che il classico bomber argentino, spietato sotto porta tanto quanto elegante nei movimenti; e non a caso il poco lusinghiero soprannome che si prese in Italia fu quello di “cammello”, perché piuttosto ingobbito e, forse, anche un po’ goffo nel modo di giocare. Tre gol, in diciassette partite. Subito due in Coppa Italia e solo uno in A nella vittoria a cinque minuti dal termine 2-1 contro il Bologna: era il dicembre del 2011, e la sua avventura in Italia era già al capolinea. Appena sei mesi, dopo i quasi 3 milioni pagati al Boca Juniors per averlo e prima di una nuova partenza che alla fine lo avrebbe portato proprio dai nemici numero uno degli Xeneizes, il River con cui li ha puniti nel Superclásico di andata più importante della storia. Vantaggio di Abila e pari in un amen proprio di Lucas Pratto, che si è così tolto per sempre l’appellativo di “cammello” diventano di nuovo “El orso”, come è sempre stato chiamato in patria, ora anche nel vecchio continente che ha guardato con grande attenzione il primo atto della finale di Libertadores. Destro incrociato, Agustin Rossi battuto. E nel 2-2 timbrato nella porta sbagliata da Izquierdoz nel secondo tempo per il definitivo pareggio c’era sempre la sua testa. A un passo dal bis, che avrebbe portato ad una nuova esultanza: sì, perché Lucas Pratto ha gioito alla Bombonera, prendendosi la sua rivincita un po’ contro gli Xeneizes del Boca (tradotto “i genovesi”, perché a fondare il club a inizio Novecento furono immigrati italiani), un po’ contro il vero Genoa che in lui non ha mai creduto.

Riscatto

“Rodrigo Palacio mi diceva di avere pazienza e attendere il mio momento ma io non volevo aspettare. Ero giovane e desideravo giocare”. E allora ecco il suo saluto al connazionale argentino, anche lui ex Boca ma che in rossoblù fece benissimo, e al Genoa: porto infelice con nave salpata di nuovo per l’argentina. Sarà al Velez che “l’orso”, dal gennaio del 2011 in poi, troverà il primo riscatto della carriera. È quello il club dove segna di più e dove trova un altro doppio con cui confrontarsi: Ricardo Gareca, anche lui argentino e anche lui in passato attaccante. Anche lui ex Boca poi finito nel River, il nuovo allenatore con cui Pratto di gol ne fa 39 in 122 partite, mai così tanti in un singolo club: “Garantisce grande spirito di sacrificio. È intelligente e capisce molto bene il gioco - diceva di lui proprio Gareca del tempo - assicura gol e assist, ma è soprattutto un gran professionista, dalla personalità forte”. E Lucas ancora non sa che nel suo destino ci saranno i Millonarios.

Bicicletta, volantinaggio e custode

Prima del colpo River, che lo paga 11 milioni nello scorso gennaio trasformandolo nell’acquisto più caro della storia del club, Pratto parte per il Brasile per giocare nell’Atletico Mineiro e nel San Paolo: una delle sue quattro avventure fuori dai confini albicelesti in carriera. Italia, Cile con l’Universidad Católica a cui il Boca lo gira in prestito per prendersi il futuro interista Gary Medel e addirittura Norvegia. Lo strano caso dell’argentino finito in Scandinavia risale al 2008, quando Pratto di anni ne ha appena venti e inizia il suo giro di prestiti. Lì al freddo nel nord segnerà quattro gol, l’anno prima che il club della capitale dichiari bancarotta sparendo dal mondo del calcio. Sono i tirocini del calciatore quelli di Pratto, bambino nato e cresciuto povero che faceva un’ora di bicicletta per raggiungere i primi campi di allenamento, e che già da piccolo lavorava in un calzaturificio o faceva volantinaggio o ancora custode di sale ricevimenti per 50 pesos al mese. Inizia a tirare i primi calci al pallone a cinque anni e a quindici si fa avanti proprio il Boca: un sogno. Lo scova il fratello della leggenda del club Martin Palermo, Gabriel, che lo porta in Azul y Oro dove però collezionerà  appena quattro prestiti in quattro anni e la miseria di due presenze nel 2010: 22 minuti in totale. Ora la sua rivincita è solo a metà. E “l’orso” sembra non voler certo mollare la sua preda.