I giocatori, le strategie e le storie contenute nelle sfide tra Gremio e Pachuca e tra Al Jazira e Real Madrid, le semifinali del Mondiale per club
MONDIALE PER CLUB: LA FIFA VUOLE PASSARE A 24 SQUADRE DAL 2021
Dopo le schermaglie preliminari che dovrebbero rappresentare, negli intenti della formula del torneo e con una certa sfumatura di utopia democratica, una prima determinazione degli equilibri di valore del calcio mondiale, la FIFA Club World Cup che si sta disputando negli Emirati Arabi ora entrerà davvero nel vivo con l’ingresso nella competizione delle vincitrici di Champions League, il Real Madrid, e di Libertadores, il Grêmio di Porto Alegre.
Ad attendere i campioni d’Europa e America Latina ci saranno, rispettivamente, l’Al Jazira rappresentante del Paese ospitante e il Pachuca, che nello scorso aprile ha conquistato la ConcaChampions, la Coppa dei campioni di Nord America e Caraibi.
Per guadagnarsi il posto in semifinale gli emiratini si sono sbarazzati, nel primo turno preliminare che pone tradizionalmente l’una di fronte all’altra il club del Paese organizzatore e i campioni d’Oceania, dell’Auckland City, per poi imporsi contro i freschissimi campioni d’Asia, i giapponesi degli Urawa Red Diamonds. Due vittorie un po’ inattese, anche tenendo conto della mole di gioco sviluppata dai bianchi degli Emirati.
Entrambe le partite, vinte per 1-0, sono state la più adamantina concretizzazione di principi di gioco trasmessi all’Al Jazira dal suo allenatore, il pragmatico olandese Henk ten Cate: massimizzazione del risultato con il minimo sforzo. Come attraversare il deserto. Ora però affrontare il Real Madrid sarà un po’ come convincersi di poter riuscire nella traversata senza acqua e con i cammelli provati dalla stanchezza.
I messicani del Pachuca, dalla loro, nonostante l’aura di determinazione e fiducia in se stessi con cui sono sbarcati negli Emirati, hanno faticato più del previsto per eliminare gli africani del Wydad Casablanca, per più di un’ora in inferiorità numerica. Si tratta dell’ennesimo insuccesso di una rappresentante africana nella Coppa del Mondo per Club: è dal 2013 che nessuna squadra del continente riesce a superare i quarti di finale.
Ma che partite dovremmo aspettarci, in semifinale?
La flemma del Grêmio contro la frenesia dei Tuzos
Il Grêmio ha conquistato la terza Libertadores della sua storia al termine di una campagna ordinata, in cui non ha mai dato l’impressione di essere una squadra entusiasmante eppure, secondo l’idea di calcio di Renato Portaluppi, decisamente pragmatica. Bisogna ricordare che Portaluppi era in campo nell’ultima vittoria del Tricolor in una Coppa Intercontinentale, e segnò una doppietta.
Strutturata attorno a un modulo che non si allontana mai troppo dal 4-2-3-1, la sfida contro il Pachuca sarà innanzitutto lo scontro tra due approcci molto diversi: non solo la preparazione del piano gara ma proprio il mood con cui il Grêmio scende in campo è spesso speculare a quello dei messicani. Al Tricolor piace attendere gli avversari, smorzare i ritmi, attaccare con calma. Gli manca la sfrontatezza del futebol bailado, e in questo è la squadra più Europea fuori dall’Europa che potremo aspettarci di vedere al Mondiale.
Se la linea difensiva, in buona sostanza, sarà quella che ha subito soltanto nove reti in tutta la scorsa Libertadores, raccolta attorno al monumentale e spesso miracoloso portiere Grohe, a centrocampo il Grêmio soffrirà senz’altro l’assenza di Arthur, giovane box-to-box sbocciato in Libertadores tanto da guadagnarsi l’interesse del Barcellona, che non parteciperà alla spedizione emiratina per via di un infortunio.
Arthur è il metronomo della squadra, l’uomo che detta i tempi delle giocate, padrone di un talento particolare per le pause e capace di costruire, con il compagno di reparto Jailson e il trequartista Luan, costanti costruzioni triangolari con le quali i brasiliani hanno scardinato le linee avversarie per tutta la Libertadores.
Ma se Luan, e Barrios, saranno nello stato di grazia con cui hanno affrontato la doppia finale di Libertadores contro il Lanús, per i messicani la propria trequarti potrebbe trasformarsi, tatticamente e metaforicamente, nella compatriottica versione di una macelleria.
I Tuzos invece sono alla terza partecipazione al Mondiale per Club: il miglior risultato è la semifinale del 2008, in cui vennero sconfitti dagli ecuadoregni della LDU Quito di Bauza. Sono anche l’unica squadra messicana che è stata capace di conquistare un titolo a sud dei propri confini, la Sudamericana 2006.
Nell’aprile scorso hanno conquistato la ConcaChampions sconfiggendo i Tigres in quella che è stata la contrapposizione di due modelli speculari, prima che di due stili di gioco dissimili, nella nouvelle vague del calcio messicano.
Guadagnarsi per primi una piazza al Mondiale per Club non ha scombinato i piani della società, tradizionalmente fucina di plusvalenze: il Pachuca cresce talenti cristallini in casa prima di venderli a prezzi esorbitanti, reinvestendo gli introiti in infrastrutture, valorizzazione del settore giovanile, scouting. Damm, Rodolfo Pizarro e il “Chucky” Lozano sono tutti prodotti della cantera dei Tuzos.
Il presidente, Jesús Martinez, è un personaggio vulcanico: motivatore, imprenditore illuminato, uno che sarebbe capace di vendere cappelli di lana nel deserto e che chiama i suoi giocatori “gli alberi”. Come direttore sportivo ha ingaggiato Marco Garcés, l’uomo che ha lanciato Chicharito nel calcio europeo, perché crede che nel calcio «l’80% è analisi e pianificazione, il 20% prontezza di riflessi nel cercare di cogliere le opportunità quando il contesto ne presenta».
Fedele a questo motto, nell’estate scorsa ha messo sotto contratto Keisuke Honda: il giapponese ha apportato esperienza e fascino al club, che ha venduto più di 2500 maglie in Giappone.
Honda è il fulcro della manovra offensiva dei Tuzos, che dal centro tende a irradiarsi sulle fasce: Erick Aguirre a sinistra e Jonathan Urretaviscaya, uruguagio da un passato coinciso con un giro a vuoto con la maglia del Benfica, a destra sono gli Eurostar che come da tradizione messicana affondano con regolarità sistematica verso il fondo o tagliando all’interno, dove né Sagan né Jara sembrano però il tipo di centravanti capace di fare reparto da sé.
La frenesia dei Tuzos è tutta nella maniera in cui interpretano la gara, che assume spesso i connotati di una partita a quel gioco da stabilimento balneare in cui manovrando un volante devi inclinare il piano nella direzione in cui vuoi che vada la sfera di metallo: le percussioni sono spesso confusionarie, specie quelle dei laterali bassi quando si alzano, e acquisiscono un volto preciso solo quando passano per i piedi di Urreta e Aguirre - un prospetto interessante, destinato a essere il nuovo Lozano. Il Wydad, arroccato in difesa nei quarti, non ha potuto che subire il bombardamento continuo degli attacchi a folate dei messicani.
Un giocatore che potrebbe creare molti problemi al Grêmio con i suoi inserimenti è Victor Gúzman, uno degli MVP dell’Apertura 2017 della LigaMX, che quest’anno si è scoperto anche goleador: con Honda e - laddove dovesse recuperare - Erick Gutierrez costituisce un reparto di centrocampo solido, tecnicamente dotato e spesso pericoloso in percussioni centrali o inserimenti tra le linee. La rete contro il Wydad è arrivata con uno schema d’attacco abbastanza classico nel gioco dei Tuzos.
Anche tra i pali del Pachuca c’è un estremo difensore iconico: Oscar “Conejo” Pérez che ha difeso per diciassette anni i pali del Cruz Azul prima di segnargli un gol, e che con i suoi 44 anni e 311 giorni è il calciatore più stagionato ad aver preso parte alla competizione, superando di quasi 5 anni il suo predecessore tra i pali dei Tuzos, Oscar Calero.
Per l’Al Jazira è più la realizzazione di un sogno che una carneficina annunciata
Gli emiratini dell’Al Jazira sfideranno il Real Madrid in quella che è senza dubbio la partita più importante, a livello di club, della storia calcistica degli Emirati Arabi: la concretizzazione del sogno di confrontarsi con un calcio nel cui glam, da queste parti, si è più abituati a specchiarsi che non a misurarsi.
Il match contro gli Urawa Red Diamonds è stata la polaroid perfetta dello stato dell’arte del calcio asiatico contemporaneo, che sembra essersi bloccato nella sua crescita e maturazione: un calcio stagnante, chiuso su se stesso, paralizzato nell’adulazione a un modello impossibile da eguagliare.
Eppure, nelle due sfide contro Auckland e i giapponesi l’allenatore ten Cate (che ha peraltro festeggiato il compleanno nel migliore dei modi) ha saputo motivare il nucleo più giovane del gruppo, responsabilizzandolo, ripulendo un po’ l’immagine del calcio emiratino che si tende a immaginare schiavo dei nomi altisonanti che approdano nel Golfo Arabico eleggendolo a proprio buen retiro.
In quest’ottica ten Cate ha affiancato il dinamismo e i piedi educati della mezzala Yaqoub e l’estro del trequartista Al Attas, un classe ‘95, al talento del marocchino Mbarak Boussoufa e del brasiliano Romarinho, autore del gol contro Auckland e di un bell’assist a Mabkhout per il gol vittoria contro Urawa.
Il Mondiale per Club è sempre stata una vetrina di primo ordine per calciatori semisconosciuti. Su questa leva motivazionale ten Cate ha premuto nello spogliatoio: «Avete idea di quante persone potrebbero guardarvi? Milioni, centinaia di milioni» ha confessato di aver detto negli spogliatoi ai suoi. «Capite quanto è importante questo torneo per far conoscere l’Al Jazira, Abu Dhabi, il vostro Paese e voi stessi? Quante altre volte vi capiterà di giocare un torneo del genere? È un’occasione enorme».
Probabilmente sarà anche l’ultima occasione di mettersi in luce per ten Cate, che ha preso l’Al Jazira per mano sull’orlo della retrocessione, nel 2015, e nel giro di due anni ha conquistato una Coppa del Presidente e un campionato che è somigliato più a una marcia trionfale che a una stagione calcistica: record di punti, di gol segnati, nella differenza reti; miglior attacco e miglior difesa. Ogni record attivo dal 2008, anno in cui il campionato emiratino è diventato professionistico, è stato sbriciolato. Dopo la vittoria in campionato voleva ritirarsi: soltanto l’opportunità di giocarsi un Mondiale per Club lo ha convinto a rimandare l’addio alla panchina.
«Io non ho più bisogno di costruirmi una carriera, non più» ha dichiarato ten Cate. «Ma come sportivo vorrei vincere sempre, e devo convincere i miei giocatori che sia giusto provare questi sentimenti».
Anche se per affrontare il Real, che arriva lanciatissimo e in procinto di inaugurare, come successe lo scorso anno in Giappone, la sua Nuova Primavera, servirà qualcosa in più di un gruppo fortemente motivato, un allenatore ambizioso, una storia che vorrebbe somigliare a una favola, e non ci riesce.