Fa Cup, Tutto quello che (forse) non sapete sulla coppa più antica del mondo

Il calcio del popolo. Anzi, no. Perché del popolo sarà diventato con la diffusione e l’affermazione, ma di sicuro non lo era agli inizi, alla nascita, avvenuta grazie all’impegno e alla necessità di esponenti delle classi alte di utilizzare al meglio il tempo libero. O più precisamente, in alcuni casi, il periodo invernale, quello in cui non si poteva giocare a cricket, un po’ come il basket, ormai 132 anni fa, nacque perché James Naismith doveva inventarsi un modo per far sfogare al chiuso, nei mesi freddi, i suoi allievi e studenti di college. Il 26 ottobre 1863 era stata fondata la federazione, la Football Association, che aveva adattato e adottato una serie di regole esistenti in diverse zone del paese e in diverse università, culla di tanti sport: alcuni dei club partecipanti alle riunioni, a Londra, non avevano però gradito la cancellazione, dopo un iniziale inserimento, di norme che permettevano di correre con la palla sottobraccio, di scalciare, sgambettare e trattenere gli avversari, e quei club non avevano accettato di far parte della FA, andando poi a fondare, alcuni anni dopo, la Rugby Football Union. Il che - ma molti di voi già lo sanno - ha poi influenzato l’onomastica: la parola ‘football’ unisce i due mondi ma una indica il calcio , l’altra appunto il rugby, mondi che presero due vie diverse. La Football Association era però un organismo prevalentemente londinese, come del circondario erano le squadre fondatrici, e in quel periodo c’erano ancora forti spinte indipendenti da parte di club del nord, dove il calcio stava avendo uno sviluppo rapido, specialmente nella città di Sheffield: lo Sheffield FC è tuttora, ufficialmente, il club più antico del mondo, con la sua nascita nel 1857. O perlomeno è il più antico tuttora in vita tra quelli che alle origini furono fondati, magari senza lasciare traccia, e gli altri che con la maggiore anzianità sono tutti a Sheffield o Nottingham o Stoke e comunque, appunto, lontani dalla Capitale. Nordica sarebbe stata la prima lega, la Football League, fondata nel 1888, e il contrasto tra i due mondi si espresse anche nel diverso atteggiamento verso il professionismo: favorevoli a nord, contrari a sud, dove era maggiore il numero di presidenti-fondatori-capitani provenienti da classi sociali che traevano il loro introito da altre attività e potevano dunque concepire il calcio come passatempo. Per evitare fenomeni come quello dello scisma calcio-rugby, dopo qualche anno dalla fondazione della Football Association il suo segretario, Charles William Alcock, ebbe una delle idee che hanno dato impulso alla storia del football, quella della creazione di una competizione a eliminazione diretta, appunto la Football Association Challenge Cup. Non era sorprendente che un’intuizione del genere venisse da un personaggio come Alcock: nato a Sunderland nel 1842, tra gli 11 e i 17 anni di età era andato a scuola ad Harrow, nordovest londinese, una delle più prestigiose istituzioni accademiche del mondo, e ne era uscito pieno di energia e possibilità, grazie anche alla decisione del padre, armatore, di trasferirsi a Londra e aprire una compagnia di assicurazione marittima. Una famiglia benestante con prospettive di alto livello, arricchite dalla disponibilità di tempo libero: assieme al fratello maggiore John, Charles a 17 anni fondò il Forest FC, a Leytonstone, est londinese, club che rappresentò nelle riunioni di nascita della Football Association e divenne poi i Wanderers, vincitori cinque volte della coppa. Il Forest FC giocava partite amichevoli contro altre squadre del circondario, a volte utilizzando regole diverse da quelle sancite dalla federazione, e fu dopo una di queste che Charles percepì la necessità di andare oltre, di fare qualcosa. E quel qualcosa lo propose, nella qualità di neo-segretario della FA, in un incontro tenutosi il 20 luglio 1871 presso la redazione del quotidiano The Sportsman, alla presenza di altri sei dignitari, che le cronache - o meglio, una cronaca, poi copiata da tutti - raccontano essersi presentati con abiti di estrema eleganza. Tutta gente che veniva da scuole di prestigio, e se non era Harrow era Eton: le cosiddette public school, termine ingannevole, per chi non conosce bene il mondo anglosassone, perché sono in realtà istituti privati dal costo altissimo ma ‘public’ perché accolgono alunni provenienti da ogni luogo e non solamente dal circondario, come invece sono vincolate a fare scuole medie e licei tradizionali. Tra di loro c’erano un altro ex Harrow come Morton Peto Betts, il tesoriere della FA Alfred Stair e Francis Marindin, un giovane ufficiale, fondatore della squadra chiamata Royal Engineers e di fatto formata da specialisti dell’esercito. Alcock, con parole trascritte e diventate famose, disse “è auspicabile la creazione di una Challenge Cup dipendente dalla Football Association, a cui tutti i club iscritti alla federazione siano invitati a partecipare”. Club che erano 50, all’epoca, anche se alcune fonti parlano di un numero minore, sui 30: Alcock, correttamente, aveva intuito che una competizione vera, che desse ordine alla miriade di amichevoli e sfide a gara unica valide per questo o quel trofeino locale, avrebbe creato un precedente e attirato altre società a iscriversi alla federazione, aumentandone prestigio e mezzi. Perché questo, sì, va ribadito: l’universo calcistico di quella prima metà di fine Ottocento vedeva tantissime squadre, specialmente a nord, libere da vincoli di associazione e di regole, in grado dunque di giocare un giorno a ‘calcio’ e la settimana dopo a ‘rugby’, in una situazione che forse si sarebbe esaurita se non ci fosse stata la novità della coppa. In più, ma questo fu più chiaro qualche tempo dopo, per partecipare alla FA Challenge Cup era necessario adeguarsi alle sue regole, e dunque più forza acquisiva la coppa, più club chiedevano di partecipare: iscrivendosi alla Football Association, diventavano parte dell’ortodossia calcistica. L’idea di una competizione a eliminazione diretta non era però tutta farina del capiente sacco di Alcock, o meglio era un frutto della sua esperienza personale: ad Harrow, infatti, si giocava un tipo di calcio chiamato Harrow Football, colloquialmente ‘footer’, e le squadre, formate dagli alunni residenti in ciascun collegio, si sfidavano a un certo punto della stagione in una sorta di dentro o fuori. Teoria che dunque Alcock applicò alla nascente coppa, la cui approvazione definitiva avvenne il 16 ottobre 1871, giorno nel quale venne anche decretato che ciascun club contribuisse economicamente alla creazione di un trofeo, commissionato a una ditta chiamata Martin, Hall & Co. Era così nata la FA Cup, che in realtà per alcuni decenni venne chiamata ‘The English Cup’: alla prima edizione, in partenza l'11 novembre, si iscrissero in realtà solo quindici squadre, perché molte altre avevano già… preso impegni per quel periodo. Delle quindici, tredici appartenevano genericamente all’area metropolitana londinese. E di queste tredici, otto erano invece classificate in modo specifico come londinesi. Le due eccezioni furono la Donington Grammar School, situata nel Lincolnshire, e il Queen’s Park, celebre club scozzese, Glasgow, mentre molte altre… Ci fu, va detto, qualche intoppo: inizialmente infatti le partecipanti erano state dodici, tra cui la stessa Harrow, ma tre di esse si erano tirate indietro prima del via e al loro posto ne erano subentrare sei, tra le quali appunto quella scozzese. In più, ovviamente, era impossibile fare un tabellone con un numero dispari di squadre, per cui una venne ammessa direttamente al secondo turno: altre due la raggiunsero senza nemmeno giocare, per ritiro degli avversari, mentre fu grottesco lo sviluppo della sfida tra Queen’s Park e Donington, che non riuscirono ad accordarsi per una data e vista la necessità di far proseguire la manifestazione furono ammesse al turno successivo. Quando però furono di nuovo sorteggiate l’una contro l’altra, con gli scozzesi a ospitare, la Donington rinunciò, non potendosi permettere il costo della trasferta a Glasgow. Il Queen’s Park arrivò così al terzo turno, assieme ad altre quattro squadre, e per un nuovo colpo della buona sorte ebbe il bye, fu cioè così ammesso alla semifinale, senza mai nemmeno avere giocato un minuto. Non era finita, macché: Wanderers e Crystal Palace - club che non ha legami con quello attuale - pareggiarono 0-0 e furono entrambe mandate in semifinale assieme agli scozzesi e ai Royal Engineers, vincitori dell’unica partita con una decisione ottenuta sul campo. Lì, altro colpo di scena: entrambe le semifinali si giocarono all’Oval, il celebre stadio del cricket sulla sponda sud del Tamigi, ma dopo lo 0-0 contro i Wanderers il Queen’s Park si rifiutò di decidere la sfida in 30’ aggiuntivi, propostigli dagli avversari, e dovette però lasciare la competizione senza giocare la ripetizione quando scoprì di non avere i mezzi né per trattenersi a Londra né per tornarci, una volta ripresa la via di casa. La finale, 16 marzo 1872, fu vinta a sorpresa dai Wanderers sugli Engineers, 1-0. In campo c’era, nei vincitori, pure Alcock, a cui venne annullato un gol, ma l’autore della rete decisiva fu quel Morton Peto Betts che aveva partecipato alle riunioni di creazione della coppa , ma quel che fa specie è che Betts giocò la finale con uno pseudonimo, AH Chequer, che era però tutt’altro che oscuro. Voleva infatti dire ‘A Harrow Chequer’, ovvero ‘uno degli Harrow Chequers’, squadra che si era ritirata prima del via. Di fatto la prima finale di FA Cup fu vinta da un giocatore che si era semplicemente spostato da un club all’altro senza nemmeno farlo sapere, in un’epoca in cui, con il dilettantismo, non poteva esserci il concetto di ‘calciomercato’. L’anno successivo i Wanderers furono ammessi direttamente alla finale, unico caso in cui venne applicato il concetto proprio di ‘challenge’, sfida, ovvero, la squadra campione in carica va direttamente in finale, e lì affronta quella che è sopravvissuta ai turni normali, una consuetudine che nel tennis, a Wimbledon, sopravvisse dal 1877 al 1922. Questa, lo avrete capito, non è la storia della FA Cup, che sarebbe presuntuoso e irrispettoso confinare a un solo articolo, ma semplicemente la storia delle origini, della fondazione, dell’idea che Alcock mutuò dalla sua esperienza a Harrow. E che ottenne presto un successo molto superiore persino alle speranze del fondatore: due anni dopo le partecipanti salirono a 28, nel giro di dieci anni a 73 e nel 1883-84 furono 100, segnale che la Football Association aveva un gioiello tra le mani, gioiello che ha preservato e conservato e valorizzato per tutto il resto della sua storia, fino agli anni Novanta del secolo scorso. Lì, con la nascita della Premier League ma soprattutto con l’allargamento della Champions League e gli introiti per la partecipazione a essa, è iniziato il declino della FA Cup, sotto molti punti di vista: la forza economica di alcuni club ha permesso loro di dominare le finali come raramente era accaduto in precedenza, anche perché per quelli minori è molto più remunerativo restare in Premier League, o salirci dalla Championship, che superare turni di coppa, e allora ecco rotazioni con pochi titolari. E se va bene, bene, altrimenti pazienza, anche se non bisogna dimenticare che il primo caso di squadra che scelse di mandare in campo le riserve per preservare i titolari in campionato fu il Notts County nel… 1888. L’essenza è rimasta per i piccoli club, ai primi turni, e si può respirare quando società anche note vanno in finale dopo tanto tempo, o la sfiorano, come il Coventry City lo scorso anno: ma il 6-0 del Manchester City al Watford, nella finale 2019, ricordò a tutti quanto fossero cambiati i tempi, quanto scarto ci sia tra le grandi e le altre, quanto siano lontani gli anni d’oro. Quelli in cui la percezione era che davvero alla vittoria potessero arrivare in tante: le 15 edizioni tra 1927 e 1949 videro ben quattordici diverse squadre che vinsero la coppa, tre delle quali per la prima e unica volta. E ancora tra 1970 e 1980 a sollevare la coppa furono ben nove club , tre dei quali non erano nemmeno nella massima serie, ovvero Sunderland, Southampton e West Ham , ultima volta in cui questa circostanza si è verificata. Le curiosità Una delle caratteristiche della coppa è stata per decenni quella di non prevedere tempi supplementari o rigori, per decidere partite finite in parità, anche se nelle primissime edizioni era stata affidata ai capitani la scelta sul da farsi, in finale. Se si pareggiava si ripeteva la partita a campi invertiti, mentre dall’eventuale seconda ripetizione in poi si giocava in campo neutro o si sorteggiava la squadra di casa. La formula durò fino a tutto il 1990-91, creando anche situazioni al limite dell’esasperazione: nel 1971-72 Alvechurch e Oxford City dovettero giocare sei volte, mentre proprio nel 1990-91 Arsenal e Leeds United giocarono quattro volte in 19 giorni e ne uscirono così sfinite da scrivere una lettera alla FA chiedendo proprio che venisse posto un limite al numero di ripetizioni possibili. Furono accontentate: dal 1991-92 si è andati ai supplementari e rigori già alla seconda partita, dal 2016-17 si va direttamente a supplementari e rigori, dai quarti di finale in avanti, già alla prima partita, dal 2018-19 questo succede già dagli ottavi e dalla stagione in corso sono state abolite tutte le ripetizioni dal primo turno , mentre valgono ancora nelle primissime fasi, quelle che si svolgono dai primi di agosto. L’ultima ripetizione di una finale è avvenuta nel 1993, Arsenal-Sheffield Wednesday. Avete letto della fondazione ‘nordica’ della Football League, ma la prima riunione dei club si svolse in realtà a Londra il 23 marzo 1888, la sera prima della finale di coppa. Vinta dal West Bromwich Albion 2-1 sul Preston North End, che dodici mesi dopo avrebbe conquistato il primo campionato: avendo superato il primo turno con un 26-0 all’Hyde, risultato che è tuttora record della competizione, i giocatori del PNE erano così sicuri di vincere che avevano chiesto di fare la foto con il trofeo prima della partita, così da avere tra l’altro un’immagine con la divisa da gioco pulita , prendendosi un rimprovero da parte del presidente federale, il già citato Marindin, che era oltretutto pure l’arbitro di quella e di altre sette finali tra 1880 e 1890, dopo una carriera da giocatore e… colonnello dell’esercito. Il West Ham che vinse la coppa nel 1975, battendo il Fulham in una rara finale tutta londinese, è stata - e sarà per sempre - l’ultima squadra a vincere utilizzando solo giocatori inglesi. Nel quarto di finale del 1890-91 tra Notts County e Stoke City il difensore scozzese del County Jack Hendry deviò di pugno, sulla linea, un tiro che aveva battuto il suo portiere James Thraves. L’arbitro concesse un calcio di punizione a mezzo metro dalla linea di porta, che lo Stoke, trovandosi di fronte direttamente Thraves con i compagni alle spalle, non riuscì a trasformare. L’ingiustizia subita dai biancorossi portò, assieme a un analogo episodio avvenuto pochi mesi prima durante un East Stirlingshire-Heart of Midlothian di Coppa di Scozia, a riesaminare e finalmente approvare la recente proposta di un irlandese, William McCrum, che aveva suggerito di concedere un calcio libero da 11 metri in casi del genere. Era nato, insomma, il calcio di rigore. L’edizione 1968 è passata alla storia per una serie di motivi, alcuni curiosi. Vinse il West Bromwich Albion, 1-0, sull’Everton, e segnando al 3’ del primo tempo supplementare Jeff Astle, attaccante, uno dei più importanti giocatori della storia del club, divenne il primo a segnare in ogni turno, anche se nei quarti di finale i due gol arrivarono alla prima e seconda ripetizione contro il Liverpool, dopo lo 0-0 della partita originaria. Astle morì nel 2002, a soli 59 anni, e il responso dell’autopsia compiuto da un anatomo-patologo, su richiesta della famiglia, fu che la morte era dovuta ad effetti collaterali della sua attività calcistica: fortissimo colpitore di testa, Astle aveva subìto una lunga serie di microtraumi causati dalla pesantezza dei palloni dell’epoca. La figlia Dawn ha creato la Jeff Astle Foundation proprio per sostenere la ricerca e dare sostegno agli atleti rimasti lesionati, e proprio nei giorni scorsi ha ricevuto un’onorificenza reale per la sua attività. La finale del 1968 è menzionata nel film ‘Sette volte sette’ del regista Michele Lupo, con protagonisti, tra gli altri, Gastone Moschin e Raimondo Vianello: sette detenuti in un carcere londinese evadono e compiono un clamoroso furto proprio durante la finale, approfittando della distrazione di guardie e forze di polizia, e anche questo è un chiarissimo segnale della potenza che aveva la Coppa a quei tempi. Altro che VAR: ci sono voluti quasi 100 anni per capire se un gol della finale 1877 fosse valido o no. La storia è questa: al 15° della sfida tra Wanderers e Oxford University, vincitrice nel 1874, un calcio d’angolo battuto con una parabola insolitamente alta ingannò il portiere dei Wanderers, il celeberrimo Arthur Kinnaird, che prendendo la palla fuori equilibrio finì con essa oltre la riga di porta. Su segnalazione dei giocatori dell’Oxford l’arbitro Sidney Wright concesse la rete. I Wanderers però pareggiarono all’86’, segnarono il gol della vittoria al 6’ del tempo supplementare, giocato su accordo delle due squadre, che non volevano disputare una ripetizione. Alcuni giorni dopo la partita, sostenendo che la palla non aveva in realtà mai superato la linea, Kinnaird riuscì a convincere i consiglieri della Football Association a cancellare l’autogol dal tabellino ufficiale: non dovette sforzarsi molto, visto che era consigliere federale pure lui, prima di diventare presidente, dal 1908 al 1923. Risultò così che Wanderers-Oxford University era ufficialmente finita 2-0, ma con l’assurdità di un gol segnato in un supplementare che mai avrebbe dovuto essere giocato, se i 90’ erano terminati 1-0. Solo a metà anni Ottanta, dopo un’attenta analisi delle testimonianze scritte del 1877, la FA ripristinò il risultato originale, 2-1.

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Roberto Gotta