Se son Rose sfioriranno: come è andata tra il Lipsia e il suo ex allenatore

“La convinzione di potercela fare in questo scenario non c’era più, ed è per questo che in tal caso ho agito così” – Marcel Schäfer “Ero nel posto giusto come assistente, sul treno di Tuchel si viaggiava bene e veloce. E non ha senso tirare il freno d’emergenza ai 200 km/h” – Zsolt Löw Nemo propheta in patria. In tedesco l’espressione latina non ha una traduzione diretta, ma Marco Rose e le sue 125 panchine in due anni e mezzo di Lipsia ne esemplificano fedelmente il concetto. Senza né lost in translation né false friends . Nato nel 1976 nella città più popolosa della Sassonia, e cresciuto da difensore nel club locale più antico e storico, il Lokomotive , che ha poi pure allenato, Marco Rose era – per Lipsia e il Lipsia – il figliol prodigo che tornava a casa con l’aura del predestinato. E per lui quale miglior occasione di un club giovane , ambizioso e rampante quanto lui e soprattutto danaroso: il Lipsia, magari inviso a tanti nel Paese con la regola del ‘50+1’, ma comunque stella più luminosa nel firmamento globale Red Bull. Gegentruppen d’assalto Nonostante i flop consecutivi ai Borussia , con tanto di polemiche nel passaggio , Rose era ancora considerato uno degli esponenti più à la page nella Nouvelle Vague dei giovani, carini e molto occupati allenatori tedeschi. Il ‘Nuovo che avanza’ incurante di cv agonistici magari anche di discreto livello, ma senza le stimmate – e il palmarès – del campione: oltre allo stesso Rose, l’attuale Ct Julian Nagelsmann auto-bruciatosi al Bayern; il rampollo d’arte Sebastian Hoeness fresco di rinnovo allo Stoccarda , e lui pure come Nagelsmann con imprimatur RasenBall; la meteora genoana Alexander Blessin, che però poi all’Union Saint-Gilloise ha vinto la Coppa del Belgio 2024 e al ritorno in Germania sta salvando il St. Pauli, promosso in Bundes da quel Fabian Hürzeler poi andato in Premier come erede di Roberto De Zerbi al Brighton; il sottovalutato Oliver Glasner, una Europa League all’Eintracht e ora in auge al Crystal Palace . E via ‘profetizzando’ nel solco tracciato da Wolfgang ‘Floh’ Frank e dal più famoso e reclamizzato ‘Der Professor’ Ralf Rangnick , ritenuti i capiscuola filosofici del Fussball postmoderno. E il cui scibile è stato diffuso fra adepti in una bibbia e-book secretata come se ne andasse della sicurezza nazionale. Stavolta però, in Sassonia, qualcosa non ha funzionato. Terza scelta sbagliata per Rose. E pure per il club dopo le scommesse Jesse Marsch e Domenico Tedesco, poi ripartiti con alterni risultati in squadre nazionali: lo statunitense Marsch in Canada; l’italo-tedesco in Belgio e già rimpiazzato con il francese Rudi Garcia, ex Roma e Napoli, dopo il deludente Euro2024 . La vie en Rose Al suo arrivo, l’8 settembre 2022 Rose aveva trovato un Lipsia – club e squadra – in difficoltà. Ma nelle sue prime due stagioni lo aveva comunque mantenuto in zona Champions League . E soprattutto, nella seconda, aveva riempito la bacheca col Dobbel domestico minore: Coppa di Germania e la Supercoppa tedesca , rispettivamente la seconda e la prima nella storia del club. Scusate se è poco. I problemi veri, semmai, sono arrivati dopo. Letta col senno del poi, una prima grossa svolta in negativo è coincisa, venerdì 3 maggio 2024, al 16’ nell’1-1 a Sinsheim contro l’Hoffenheim: rottura del crociato del ginocchio sinistro di Xaver Schlager. Non un campione, il nazionale austriaco, ma cruciale in fase di non possesso come equilibratore di una formazione tradizionalmente sbilanciata in avanti. E che negli ultimi anni si era sempre caratterizzata per un pressing super aggressivo e un gioco arioso in campo aperto. Caratteristiche via via venute meno, già dal secondo anno di Rose, che pure ci ha messo del suo scegliendo di non scegliere una via maestra fra difesa a tre o a quattro. Certo, neppure il mercato – sia in entrata , sia in uscita – gli ha dato una mano. Emblematica, in tal senso, la inevitabile cessione di Joško Gvardiol. Non tanto per la partenza in sé del difensore centrale croato , quanto per le modalità e le tempistiche con cui arrivò: il 5 agosto 2023, a una settimana da quella famosa Supercoppa tedesca stravinta alla Allianz Arena di Monaco. Marco svalutato La crisi irreversibile – soprattutto in termini di continuità e saldezza difensiva – però è tutta di questa stagione. Iniziata bene , ma poi girata male e proseguita peggio. Nel gioco e nei risultati. La fase a girone unico della nuova Champions League è stata, senza giri di parole, disastrosa per una rosa con quel talento. Zeppa di nazionali e con una coppia d’attacco Benjamin Šeško-Loïs Openda, deludente e persino panchinato a metà stagione, costata 64 milioni di euro. Oltre al quintultimo posto su 36, a -8 dalle top 24 e mai in corsa per il playoff, ‘irricevibile’ la striscia iniziale di sei-sconfitte-sei fra Atlético Madrid, in casa con Juventus e Liverpool, Celtic e Inter fuori, prima dell’unica vittoria e l’ingloriosa chiosa perdendo 1-0 a Klagenfurt contro la cenerentola Sturm Graz. Il futuro di Rose era segnato. Per almeno la terza volta. La prima, già a novembre. Un mese senza vittorie, con la miseria di un punto in Bundesliga e cinque sconfitte fra campionato e Champions: 2-1 a Dortmund e 4-3 a Sinsheim con l’Hoffenheim, 3-1 a Glasgow dal Celtic, 1-0 a San Siro dall’Inter e l’1-5 interno col Wolfsburg. Sembrava il punto di non ritorno, ma poi l’illusorio 3-0 negli ottavi di Coppa di Germania sull’Eintracht Francoforte aveva allentato la tensione. E solo rimandato l’ineluttabile. Nell’aria i più attenti l’avevano già respirato a settembre quando Oliver Mintzlaff, Direttore del comitato direttivo , si era pubblicamente lamentato di un Lipsia mai presente quando il Bayern è debole. E la cosa buffa è che uno dei rari Bayern deboli della storia era quello delle 61 partite con in panchina Thomas Tuchel e il suo assistente Zsolt Löw, l’ex nazionale ungherese che ora lo stesso Mintzlaff – in sintonia con Mario Gomez e Klopp, gli altri alti papaveri Red Bull – ha chiamato a traghettare fino a fine stagione il Lipsia post-Rose. Misteri di quel meraviglioso mondo di Amélie che è il Fussball. Avesse potuto o voluto fare di testa sua, Mintzlaff avrebbe cacciato Rose seduta stante dopo l’1-5 col Wolfsburg, o al più tardi a fine di quel nefasto novembre. Ma in quel momento Marcel Schäfer e Klopp, arrivato a ottobre, avevano protetto il lavoro, prima ancora che la posizione, dell’allenatore. Dopo tre deludenti partite in casa – il 2-2 contro l’Heidenheim del 23 febbraio e l’1-2 con la rivelazione Mainz il 1° marzo in campionato, inframmezzati dal brodino dell’1-0 sul Wolfsburg nei quarti di Coppa di Germania – Rose era di nuovo sull’orlo del precipizio. Klopp, allarmato, aveva allora inviato a Lipsia i suoi collaboratori Zsolt Löw e Peter Krawietz. Senza ancora saperlo, la coppia che verrà poi chiamata al capezzale del malato cronico. Ai tempi però gli emissari di Klopp si limitarono a misurare il polso del paziente, osservandone gli allenamenti, presenziando ai discorsi del capo allo spogliatoio e via monitorando. Poi avevano riferito a Klopp: Marco sta facendo un ottimo lavoro, l’organico è relativamente modesto, al momento non si possono attuare grandi cambiamenti tattici. In sostanza, quando Xavi Simons – smaltito l’infortunio – si avvicinerà alla sua forma migliore e Xaver Schlager tornerà, tutto si sistemerà. Non è andata così. E il riscatto, a gennaio, dello stesso Simons dal PSG per 50 milioni, non è un dettaglio marginale. E lo spauracchio di non arrivare tra le prime quattro in Bundesliga, quindi restar fuori dalla prossima Champions League, ha fatto il resto. A sette giornate dalla fine, con il Lipsia sesto a 42 punti col Friburgo , e un calendario bello tosto , non si poteva rischiare oltre. A maggior ragione, sempre col senno del poi, una volta svanita la possibilità di rientrarci dalla finestra della coppa nazionale: 3-1 dallo Stoccarda in semifinale alla prima di Löw. Non ci vorrebbe un amico “Dobbiamo fare appello ai nostri punti di forza ed enfatizzarli – ha spiegato Marcel Schäfer – E lavorare sui fondamentali, in modo che la squadra porti in campo più energia e più intensità di quanto, troppo spesso, non sia accaduto nelle ultime settimane. Ho un certo debole per i terzini sinistri. Ho apprezzato molto Marco, che era un terzino sinistro. Lo era anche Zsolt, quindi mi sembra un’ottima soluzione”. Seppure al penultimo anno di carriera Marco Rose era ancora un calciatore professionista al Mainz in Regionalliga West 2009-10 , quando, dalla stagione successiva, aveva cominciato da giocatore-assistente l’apprendistato con la seconda squadra la sua prossima vita calcistica. All’epoca aveva come allenatore agli esordi un certo Jürgen Klopp. Un amico, prima ancora che un collega. Idem con Löw, classe 1979, rivale di ruolo oltre che compagno di squadra in quel Mainz da gennaio 2009 al giugno 2011. Tre lustri dopo, non deve essere stato facile, per nessuno degli interessati, sia prendere sia subire una decisione sì già inevitabile ma divenuta ormai improcrastinabile: Marco Rose, dal 30 marzo 2025, non è più l’allenatore della squadra-simbolo del gruppo RB Sport del quale Klopp è il nuovo Head of Global Football. Carica altisonante per sottintendere che, per tutto ciò che riguarda l’area calcio, l’ultima parola è del guru ex Liverpool. Dai precetti – inderogabili – del Gegenpressing alla cancelleria negli uffici del futuristico centro tecnico di Cottaweg. Figurarsi sul condottiero da piazzare in panchina. La sua prima grande scelta nel nuovo incarico. Löw profile Da calciatore l’ultima tappa di Löw è stata all’Hoffenheim del santone Rangnick. “Ralf esige e incoraggia – ha ricordato Zsolt in quella stessa prima conferenza da capo allenatore – vuole la migliore versione possibile dei giocatori, dei campi di allenamento, dello staff medico, dei fisioterapisti e così via. Ho sperimentato in prima persona quanto sia complessa la professione di allenatore, cosa si può ottenere con la passione per il lavoro, l’attenzione ai dettagli, l’intensità e la continua ricerca del miglioramento. Ralf mi ha ispirato”. Non solo, lo ha pure aiutato a ottenere il primo incarico in panchina. Da assistente al Liefering, squadra-satellite del gruppo RB in terza divisione. “È stato il passo giusto per provarci ed essere sicuro che fosse davvero questo ciò che volevo fare. Gli anni fra Liefering, Salisburgo e Lipsia sono stati fantastici, nonostante la pressione che già c’era e quella che si esercitava su sé stessi. Tutti giorno dopo giorno volevano migliorare, ci aiutavamo a vicenda, ci scambiavamo idee ed eravamo sempre aperti alle novità in tutti i settori. In un’atmosfera del genere, possono accadere grandi cose”. Il momento più bello? “La vittoria per 2-0 contro il Karlsruhe, la promozione in Bundesliga nel 2016”. La vera svolta? Nel 2018, quando dopo due stagioni con Ralph Hasenhüttl, lo chiama Tuchel al PSG, ma Rangnick, Groß e Mintzlaff lo tentano offrendogli la possibilità di succedere a Hasenhüttl con un incarico successivo nella squadra poi affidata a Nagelsmann. Löw invece va a Parigi e in un’intervista nel 2024 rivela: “Ero e sono grato per tutto, ma volevo fare qualcosa di nuovo, diventare un allenatore ancora migliore”. Detto, fatto. Da vice-Tuchel in un anno e mezzo al PSG vince Ligue 1 e Supercoppa di Francia; in un anno e mezzo al Chelsea alza Champions, Supercoppa Europea e Mondiale per club. Chi dopo l’orso ‘Jogi’? Con il capoallenatore Rose hanno lasciato il club anche gli assistenti Alexander Zickler, Marco Kurth e Frank Geideck e il responsabile della prima squadra, Frank Aehlig. E dire che uno dei motivi di attrito fra Rose e la dirigenza, nella crisi di fine 2024, era stato proprio il rifiuto da parte dell’allenatore alla proposta di inserire nello staff un assistente in più. Un atteggiamento, quello di Rose, diventato sempre più negativo e meno sopportato dal club. Löw, tecnicamente un project manager , non ha ancora avuto il tempo materiale per poter incidere. Ma il suo primo compito sarà un ritorno alle origini del ‘sistema RB’ al Lipsia, a partire dalla difesa a quattro e da un approccio più offensivo. “Non possiamo cambiare mille cose ora”, ha detto il 45enne ‘Jogi’ nella conferenza stampa di presentazione. “E nemmeno fare magie, ma cercheremo di trovare gli adeguamenti che possiamo fare. Tutti noi del club metteremo tutto in questa missione, in queste sette settimane. Poi arriverà un nuovo allenatore”. «Marco è un buon amico, abbiamo molto in comune, la nostra amicizia resisterà» – Zsolt Löw La grande domanda, adesso, è chi sarà il prescelto. In prima fila con Glasner, l’altro top candidato pare sia Roger Schmidt, che ha già esplorato il complicato universo Red Bull . Ha l’età e il cv giusti. Ha giocato ma non è stato un campione, vanta esperienze e mentalità ‘internazionali’. E sembra fatto apposta per il ruolo, così come Löw per quello di secondo pilota. Lui pure un Top Gun capace, come il compianto ‘Iceman’/Val Kilmer con ‘Maverick’/Tom Cruise, di rubare fino all’ultimo la scena al primo: “Ti concedo di essere il mio aereo d’appoggio”. Per nessuno di loro Lipsia è patria, e magari – chissà – uno vi sarà profeta.

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Christian Giordano