Ci ricorderemo ancora a lungo di Thomas Müller: perché è stato un giocatore unico

Es Müllert. Voce del verbo Müllerizzare. Se per descriverti si inventano addirittura un neologismo significa che speciale lo sei davvero. Ogni volta che Thomas segnava in quel Mondiale 2010, che lo aveva definitivamente consacrato a vent’anni, il telecronista della tv nazionale tedesca urlava: es Müllert wieder! Vi ha Müllerizzato ancora! D’altronde se in Germania di nome fai Thomas e di cognome Müller, è come se in Italia ti chiamassi Mario Rossi. Unico anche in questo, Thomas, che è riuscito a ergersi allo status di leggenda uscendo da una dimensione di potenziale anonimità, considerando anche il fatto che prima di lui il Müller del calcio tedesco era Gerd, quindi il rischio di essere considerato per sempre “l’altro Müller” era piuttosto alto. Ecco perché appena si sono resi conto che Thomas stava diventando qualcosa di più di un calciatore gli hanno proposto di girare lo spot per una marca di yogurt proprio con Gerd, del quale in nazionale ha sempre indossato il 13, rinunciando al suo solito 25 con il Bayern. Proprio per giocare su quel cognome, una sorta di continuo tributo, onorare il mito invece di fargli concorrenza anche per cancellare qualsiasi possibilità di paragone. E togliersi un peso. Segno di un’intelligenza rara, la stessa che ha permesso a Thomas di essere un giocatore praticamente unico: tecnicamente niente di che, lo ha sempre detto lui stesso, ma bravissimo a interpretare il gioco, leggere le partite per sfruttare lo spazio nel modo migliore. Infatti a Monaco lo chiamano Raumdeuter, l’interprete dello spazio, una sorta di demiurgo del fußball o, volendo trovare una metafora più contemporanea, la personificazione di Neo in Matrix, l’eletto in grado di modificare il mondo piuttosto che subirne le regole. In effetti è quello che Thomas ha sempre fatto: in campo con la giocata più utile, nella vita privata sapendo costruire un’immagine di superstar sì, ma alla mano. Simpatico, con la battuta pronta in ogni occasione e preferibilmente in dialetto bavarese, nessuno lo ha mai percepito come inarrivabile ma è sempre stato ammirato per quella sensazione di avere a che fare con un tizio normale. Che però ce l’ha fatta. Soprattutto, che ha messo al primo posto la sua anima bavarese e l’amore infinito per il Bayern Monaco, tanto che da bambino dormiva con la maglia da gioco nelle lenzuola brandizzate. Quella cameretta era stata riprodotta fedelmente dal club in occasione dell’ultimo rinnovo di contratto, con Thomas sul letto nella posa di allora e adesso, per salutarlo, i suoi compagni gli hanno regalato un quadro con il collage di tutti loro a imitare quell’immagine diventata mitica per il mondo Bayern. Perché racconta una storia ormai quasi scomparsa nel calcio mondiale: il ragazzino tifoso che arriva a undici anni nel club e se ne va a trentasei dopo aver vinto tutto. Ma davvero tutto. Tipo tredici Meisterschale, record assoluto per il calcio tedesco, quel piatto dei campioni della Bundesliga che è pure bello grosso e insieme alle due Champions League, la riproduzione della coppa del Mondiale 2014 e una caterva di altre medaglie, coppe e trofei individuali per trovare spazio toccherà costruire un piccolo museo a Pähl. Dove? Prendete la cartina della Germania, andate una cinquantina di chilometri a sud di Monaco e arriverete a casa di Thomas nella campagna bavarese, fra mucche e fattorie. È lì che ha imparato a prendere tutto alle leggera, perché se vieni da un posto del genere l’ultima cosa che ti può venire in mente è avere ogni settimana 75.000 persone che urlano il tuo nome in uno degli stadi più belli del mondo. Oppure Maradona che ti prende in giro durante una conferenza stampa ai Mondiali. O diventare il testimonial di talmente tanti brand che se fate un giro per le stazioni della metropolitana di qualsiasi città tedesca vedrete almeno una volta il suo sorriso. Lo stesso che regala, anche a chi lo guarda, ogni volta che si trova davanti a una telecamera. La compilation delle sue trovate è lunga almeno tanto quanto quella dei suoi gol e assist con il Bayern, 522 in tutto, mica roba da poco. La top 3? Quando è uscito da un aeroporto facendo finta di telefonare per non farsi intervistare, ma in realtà stava parlando nel suo passaporto; quando in tournée con la squadra in Corea del Sud lo hanno sfidato a ballare in stile boyband K-Pop e lui ci credeva così tanto che per poco non lo chiamavano i BTS; quando in diretta tv dopo la vittoria del Mondiale in Brasile gli hanno chiesto se gli dispiacesse di non aver vinto anche la classifica marcatori e lui in dialetto bavarese ha risposto urlando, ed edulcoriamo parecchio: "ma chissenefrega, sono campione del mondo!". Accanto a lui c’era Schweinsteiger che probabilmente sta ancora ridendo per quella sfacciataggine così autentica. Ecco proprio Bastian, ma anche Philipp Lahm e Manuel Neuer non lo chiamano Thomas, ma Radio Müller perché in campo si sente solo lui. Parla di continuo, commenta ogni azione e scelta dei compagni, una cosa insopportabile a detta di chi ci ha giocato una vita insieme. Infatti il 10 maggio, quando ha salutato per l’ultima volta l’Allianz Arena dopo la partita contro il Gladbach, nel suo discorso ai tifosi ha ringraziato tutti quelli che sono stati così pazienti da sopportare Radio Müller. Ha anche versato qualche lacrima, cosa piuttosto insolita per lui, salvo poi rifarsi e tornare a essere quello che tutti conoscono a Marienplatz durante la festa per il titolo. Avrebbe continuato volentieri per un’altra stagione ma il club, dopo avergli promesso il rinnovo a dicembre, ha fatto marcia indietro preferendo risparmiare i soldi del suo contratto per piazzarli sull’operazione Wirtz. Lui all’inizio, ovviamente, ci è rimasto male, poi ha capito che non valeva la pena buttare così venticinque anni della sua vita, non solo quella sportiva, e in pieno stile Müller ha fatto una proposta alla società: prolunghiamo fino alla fine del Mondiale per club e comunichiamo la cosa come si fa con i nuovi acquisti, con tanto di foto in sede durante la firma e la consegna della maglia. Un modo per scherzarci su e stemperare la tensione che si stava già creando fra la dirigenza e i tifosi. È riuscito a uscirne alla grande anche da una situazione del genere e, insomma, alla fine ha vinto lui. O, se preferite: es Müllert wieder. Li ha Müllerizzati ancora.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Ci ricorderemo ancora a lungo di Thomas Müller: perché è stato un giocatore unico

Niccolò Omini