Der Dino is back! Dopo sette anni l’Amburgo è di nuovo in Bundesliga

"Non credo che ci sia niente di più speciale per me che lavorare per l’HSV. È molto più che essere qui, dove da bambino guardavi gli allenamenti e andavi a caccia di autografi". – Merlin Polzin, allenatore dell’Amburgo Il Liverpool per la 20ª volta campione d’Inghilterra, dopo cinque anni e stavolta con i tifosi e senza Covid-19. Amburgo, l’Altra città dei Beatles, che dopo sette saluta il ritorno dell’HSV in Bundesliga e il derby col St. Pauli, salvo con una giornata di anticipo. Coincidenze? Abraham Zapruder in Super 8 e Oliver Stone per JFK hanno filmato potendo contare su molto meno. In tempi non sospetti Agostino, orfano di padre a 17 anni ed emigrato 19enne nei primi Sessanta da Messina alla grigia Essen, cuore carbonifero della Ruhr, ci raccontava fiero di aver assistito proprio là, ad Amburgo, a una delle prime esibizioni dei quattro capelloni non ancora famosi e tantomeno ‘Fab Four’. Perché è ad Amburgo che i Beatles diventarono i Beatles. Il 17 agosto 1960 salirono per la prima volta sul palco dell’Indra Club, a un calcio di rigore dal quartiere a luci rosse. Caso vuole ‘la casa’ dei Kiezkicker, il St. Pauli. Fu la prima di 281 serate dei cosiddetti Hamburg Days della band, che lavorava sette giorni su sette a 2,50 sterline il giorno. E mentre cominciava a farsi conoscere prima che amare dal pubblico, si formava non solo musicalmente e caratterialmente ma anche nella poi sua definitiva composizione . George Harrison era minorenne, e la polizia tedesca rispedì in Inghilterra sia lui sia gli altri. Tornati sei mesi dopo, dormivano in letti a castello, vicino ai bagni delle signore, in una sala dismessa del cinema Bambi Kino. E ad Amburgo firmarono il loro primo contratto che poi li porterà a esibirsi anche allo-Star Club, un teatro da 2000 posti a sedere. E a quel periodo risalgono pure due canzoni registrate pure in tedesco Komm, gib mir deine Hand e Sie liebt dich . Quanto al look, quello sì fu tutto amburghese. In città conobbero Klaus Voormaan, l’illustratore che gli disegnerà la cover di Revolver, e la sua fidanzata Astrid Kirchherr , che li convinse a pettinarsi con la frangetta sulla fronte e la zazzera lunga sul collo. Premessa-pretesto per far capire come quella del cruciale, perennemente congestionato porto fluviale anseatico non sia una città tedesca come le altre. Nel Fussball e non solo. «Shaleluja!» “Sempre in prima classe” era il motto dell’HSV, club mai noto per la modestia, checché si dica della tradizionale moderazione degli anseatici. E la botta di dover scendere dal piedistallo, è stata dura da assorbire. Ma come ha scritto nell’edizione del 15 maggio Stefan Osterhaus, corrispondente da Berlino per il quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung, “se si vuole capire perché agli amburghesi piaccia tanto pensare in grande, anche se non sempre c’è un motivo per farlo, basta dare un’occhiata alla storia dell’HSV, che è estremamente colorita, e non solo a causa dei fallimenti, della sfortuna e delle disavventure dell’ultimo decennio. C’è stato un tempo in cui l’Amburgo era molto più che un semplice club caratterizzato dalla partecipazione ininterrotta alla Bundesliga. Quelli di Amburgo erano l’unità di misura in tutto, non solo a livello nazionale, ma in Europa. Non sono stati tanto i grandi anni del leggendario Uwe Seeler – spiega Osterhaus – ad aver reso il club un punto di riferimento, anche se l’ex attaccante, scomparso nel 2022, è ancora oggi ‘il’ giocatore dell’HSV per eccellenza . È soprattutto merito di un uomo che, a prima vista, difficilmente viene associato all’Amburgo: Günter Netzer”. Ci arriveremo. Quando invece si parla del presente con gli idoli dell’epoca d’oro dell’HSV o con gli ex dell’Amburgo tornato protagonista nelle coppe europee nei primi anni 2000, il solito refrain che ripetono è: "Ma è solo la Zweite…". Come dargli torto? I 22 gol di Robert Glatzel nella scorsa stagione e i 23 di Davie Selke in quella appena terminata non possono essere paragonati a mitici capicannonieri della Bundesliga come Seeler , Horst Hrubesch e Sergej Barbarez , né Merlin Polzin può essere già considerato il nuovo Ernst Happel. Persino il Radkappe, il 'cerchione' che premia i vincitori della Seconda divisione sfigura in bacheca al cospetto del Meisterschale, lo scudo alzato dai campioni della Bundesliga. E infatti, cinque giorni dopo la festa-promozione, giocando su quello la Bild ha titolato: "Schaleluja!". Come a dire, era ora. Non è stato facile – quasi mai lo sono le cose amburghesi, specie all’HSV – ma superata la crisi non 'del' ma 'al' settimo anno, il club tre volte campione di Germania e cofondatore, nel 1963, della Bundesliga è tornato là dove era sempre appartenuto: fino a 2555 giorni fa. Mai, infatti, l’Hamburger Sport-Verein in 54 anni e 261 giorni di Bundesliga era sceso in Zweite. E a memento di cotanta nobiltà, per decenni al Volksparkstadion campeggiava con orgoglio il maxi-cronometro digitale che ricordava ai tifosi di casa e soprattutto a quelli avversari che l’Amburgo mai era retrocesso. Accanto all’antico e molto minimal logo a rombi del club, la scritta "in der bundesliga seit" e a fianco in real time il mega-display a scandire l’inesorabile scorrere di jahren , tagen , stunden , minuten, sekunden. In realtà gli antichi fasti di quello che a negli anni Settanta-Ottanta era uno dei grandi club europei erano già lontani ben prima degli ultimi sette-campionati-sette giocati in Zweite Bundesliga. Il climax della Coppa dei Campioni di Atene ’83, con Felix Magath che uccella Zoff e la Juventus "dei sei campioni del mondo più Bettega, Boniek e Platini", come filastrocca-refrain dell’epoca, appartiene alla storia del calcio. Ma già quello non era più l’Amburgo capace di sfilare per tre stagioni all’allora First Division inglese un campione come 'King' Kevin Keegan, fresco di titolo e finalista in FA Cup col Liverpool. E poi subito Pallone d’oro in back-to-back con quella maglia – sponsorizzata prima "hitachi" , poi "BP" – iconica e irresistibilmente Seventies quanto la sua folta chioma di riccioli. Una superstar UK nella squadra con sponsor la British Petroleum: coincidenze? Non solo: nel 1980, al rientro dai New York Cosmos della NASL, arriverà nientemeno che il Kaiser, Franz Beckenbauer, per il suo personalissimo The Last Dance di una carriera straordinaria. Come sempre però con lui: follow the money. "Wir helfen dem Sport. Denn der Sport hilft allen". Già dal 1977 la Deutsche BP AG era entrata nel settore del marketing sportivo stipulando un contratto pubblicitario con la sezione pallavolo dell’HSV. Perlomeno all’inizio, parte del progetto erano la promozione degli sport di base e l’utilizzo delle strutture sportive del club per le competizioni aziendali della British Petroleum. Lo slogan della meritoria campagna di marketing per la promozione dello sport giovanile ‘Aktion Jugend+Sport’, che vedeva tra i testimonial lo stesso Beckenbauer, era “Wir helfen dem Sport. Denn der Sport hilft allen” . Già dal 1979 però il logo apparve per la prima volta sulla maglia dell’HSV di calcio, allora campione di Germania in carica. E ci sarebbe rimasto fino al 1987, come sponsor per tutto il ciclo più glorioso nella storia del club, grazie soprattutto allo stretto legame con Günter Netzer e due leggendari allenatori: prima Branko Zebec, poi il duro Ernst Happel , atavica nemesi del Trap e delle italiane nelle coppe. E dire che Netzer – occhio infallibile per il talento, e sommo stratega – quel lavoro neanche lo voleva. Appena smesso di giocare dopo un decennio ai Fohlen, fatto cassa per tre stagioni al Real Madrid e l’annata 1976-77 al Grasshoppers di Zurigo, avrebbe preferito curare il programma ufficiale da distribuire allo stadio per l’Amburgo, come aveva fatto quando ancora era un giocatore dei Fohlen. L’allora boss dell’HSV, Paul Benthien, fu ben contento di accettarne la candidatura, ma a condizione che Netzer si assumesse pure la carica di dirigente. Come quando con quel suo piedone, e la falcata possente, ricamava in campo, tempismo perfetto: al suo arrivo l’Amburgo aveva appena vinto la Coppa delle Coppe 1977 , la base era ottima. Netzer poi ci aveva messo del suo con un lavoro e contatti eccezionali. Già alla prima stagione col nuovo sponsor, arrivò la finale di Coppa dei Campioni, persa al Santiago Bernabéu di Madrid col Nottingham Forest, vincitore pure l’anno prima per 1-0 ma a Monaco col Malmö . Quando poi Keegan, la stella della squadra, nel 1980 decise di tornare in Inghilterra, il manager Netzer dovendo cercare un sostituto adeguato in campo e in spogliatoio e anche se non soprattutto sul piano mediatico, lo individuò nel calciatore tedesco più famoso di tutti i tempi. Dopo tre anni ai New York Cosmos il Kaiser, pur lautamente retribuito come in ogni sua avventura, era stanco dell’American way of life. E voleva garantirsi, un po’ come farà nel 1983-84 il dioscuro suo amico-rivale Johan Cruijff al Feyenoord, un orgoglioso e vendicativo tramonto in patria per decidere lui quando – e come: da vincitore – lasciare. Nel 1982 infatti vincerà con l’Amburgo la Bundesliga, e l’anno dopo, tornato ai Cosmos, si ritirerà. Sempre in quell’ultima stagione tedesca di Franz, con un manipoli di carneadi e qualche grosso nome della nazionale come lo stesso Magath a centrocampo, il portiere Uli Stein, il terzino destro Manfred Kaltz e i suoi tipici Bananenflanken, i cross ‘a banana’ dalla fascia già dalla trequarti poi spesso incornati in gol da Hrubesch detto Kopfball-Ungeheuer , l’Amburgo arriva pure alla finale di Coppa UEFA. Poi persa, senza però Beckenbauer, col Göteborg-rivelazione di Sven-Göran Eriksson: 1-0 all’Ullevi, 0-3 al Volkspark. Fra gli svedesi, la futura bandiera atalantina Glenn Stromberg, poi più bergamasco dei bergamaschi, e Dan Corneliusson, poi meteora comasca. Nella stagione successiva, perso il suo leader – ormai oltre l’ammazzacaffè – l’Amburgo si conferma campione di Germania . E nel corso di un anno – tra il 26 gennaio 1982 e il 29 gennaio 1983 – inanella una striscia-record nella storia del club di 36 partite senza sconfitte. L’onda lunga di quel ciclo si propaga fino alla Coppa di Germania vinta nel 1987, quando Happel saluterà e con lui la sponsorizzazione da parte della BP. Fine dell’età dell’oro, in tutti i sensi. A meno di non voler considerare successi importanti la Coppa di Lega tedesca e le tre Intertoto . Non scherziamo. Too Big to Fail Sarà stata una coincidenza , ma proprio dal 2011 – quando uscì Too Big To Fail, il film di Curtis Hanson ispirato all’omonimo best-seller di Andrew Ross Sorkin del New York Times sul crollo di Wall Street per la crisi dei subprime nel 2008-09 – è cominciata la poco aurea mediocrità che in sette anni ha portato ‘Der Dino’ al rischio estinzione. Se non altro mediatica: la Zweite Bundesliga. Quando Netzer se ne andò, l’Amburgo aveva ormai spodestato il Bayern dai vertici del campionato. Da quel momento, però, i gloriosi primi anni Ottanta dell’HSV diventarono un ricordo sempre più sbiadito. E nello scorso decennio a quella poco aurea mediocrità è seguita una sempre più pericolosa discesa verso gli inferi della classifica, culminata con la retrocessione nel 2018. E comunque già nell’aria da un lustro. Nel 2012, appena due anni dopo aver raggiunto la semifinale di Europa League, l’Amburgo chiuse 15°. Il peggior piazzamento in Bundesliga per un club che sembrava semplicemente troppo grande, solido e potente per crollare. Too big to fail. E invece fu l’inizio della fine: 16° nel 2014 e nel 2015, salvandosi entrambe le volte al playoff con la terza della Zweite ; 10° nel 2016, 14° nel 2017. L’HSV del noi “sempre in prima classe” sembrava non potesse scendere, e soprattutto non voler imparare la lezione. A prescindere dai millanta big – di belle speranze o con un grande avvenire dietro le spalle – centrifugati negli ultimi anni: Son Heung-min , Vincent Kompany , Ruud van Nistelrooy , Hakan Çalhanoglu , Rafael van der Vaart , Jérôme Boateng e chissà quanti altri. Sprofondo blu Nel 2017-18, l’annata dell’apocalisse, non bastarono tre profeti succedutisi in panchina: Markus Gisdol, Bernd Hollerbach e Christian Titz. Quindici giornate senza vittorie fra inverno e primavera spinsero la squadra sull’orlo del baratro, e non bastò la lieve ripresa con Titz: il 12 maggio, nonostante il 2-1 sul Borussia Mönchengladbach, fu il 4-1 del Wolfsburg sul Colonia a sancire la storica, prima retrocessione dell’HSV. Epilogo ancor più amaro per i 'dinosauri', che appena due giornate prima, il 28 aprile, l’avevano regolato espugnando la tana dei Lupi. Ingoiato il boccone ed espiata la colpa, era opinione diffusa che l’HSV sarebbe subito risalito. Invece altro che redenzione, alla caduta sarebbero seguiti sette anni di frustrazioni e bibliche tribolazioni nel limbo della Zweite. La prima già l’anno dopo, nel 2019: con ancora a libro-paga gente come Pierre-Michel Lasogga, Aaron Hunt e Lewis Holtby , la rosa di Titz prima e di Hannes Wolf poi sembrava avere tutto per dominare. E lo fece per buona parte della stagione, chiudendo in testa alla pausa invernale salvo poi incepparsi a primavera e mancare di un punto lo spareggio-promozione: quarto a quota 56, a -1 dalla coppia Paderborn-Union Berlin e a -7 dalla capolista Colonia. Nel 2019-20, con Dieter Hecking al comando, umiliante 1-5 in casa col Sandhausen all’ultima giornata, e altro quarto posto per un punto: a 54 dietro Arminia Bielefeld , Stoccarda e Heidenheim . Le avventure di mago Merlin Letta molto col senno del poi, la svolta arriva con la nomina di Daniel Thioune allenatore per la stagione 2020-21. Per gran parte del campionato l’HSV pare come trasformato. Pronti-via, cinque vittorie in fila. Jeremy Dudziak innerva il centrocampo, Simon Terodde segna a ripetizione . Poi, ancora una volta, le idi di marzo. Per di più in pieno-Covid. In aprile nessuna vittoria e alla fine ancora un quarto posto, ma a 58 punti dietro Bochum , Greuther Fürth e Holstein Kiel , che non basta a Thioune per la conferma. In estate gli subentra Tim Walter, noto per il suo calcio fatto di pressing alto e tanto possesso palla. Un cambiamento non da poco, che però riporta al Volksparkstadion quell’aria da grandeur quasi insita nei cromosomi dell’HSV. La squadra appare più continua e concentrata, e conquista il playoff-promozione: poi perso in casa contro l’Hertha per un gol dopo aver sbancato l’Olympiastadion di Berlino. Sogno rimandato. Ma una volta toccato il fondo, c’era ancora da scavare. Nel 2023 l’epilogo peggiore. Trascinato dai gol di Robert Glatzel, l’Amburgo marcia a ritmo-promozione fino all’ultima giornata. Sul suo cammino c’è ancora il Sandhausen ma in trasferta, all’HSV serve una vittoria e stavolta arriva . In testa ballano in tre: il Darmstadt perde clamorosamente a Fürth col Greuther 12° in classifica; ma l’Heidenheim, con lo storico 3-2 di Tim Kleindienst al 9’ di recupero passa 2-3 a Regensburg sullo Jahn. Morale: Heidenheim e Darmstadt promossi a 67, Amburgo al playoff, poi perso senza storia contro lo Stoccarda. Nel 2023-24, altra illusoria buona partenza prima del 'solito' esonero. Il 20 febbraio a Walter subentra Steffen Baumgart, allenatore in ascesa dopo quanto fatto vedere con Paderborn e Colonia. Una sorta di Trap tedesco e le conferenze stampa non banali. L’innesto però, come per certe piante fuori dal loro habitat, non funziona. L’humus del "sempre in prima classe" non fa per lui, e lui per l’HSV. La squadra scivola al quarto posto alla 27ª e non riemerge più. Il 24 novembre, dopo 4 partite senza vittorie, al capezzale del malato ancora non cronico viene chiamata una giovane-vecchia conoscenza del club, quel Merlin Polzin che nel 2020-21 era stato assistente di Thioune, che se lo era portato dietro dalle giovanili dell’Amburgo all’Osnabrück e in prima squadra al ritorno all’HSV. A 34 anni il bimbo in panchina aveva così una seconda chance, pochi mesi dopo aver sprecato la prima per la quale "non ero ancora pronto". All’Amburgo, da vice di Walter , poi Thioune e infine il traghettatore Hrubesch aveva infatti ereditato la panchina ad interim a febbraio 2024 per una partita . E poi per altre 4 tra il 25 novembre e il 22 dicembre, dopo l’esonero di Baumgart, prima di essere confermato dal ds Stefan Kuntz fino al 2026. "Dal punto di vista economico, l’HSV è stata la peggiore decisione d’investimento della mia vita". – Klaus-Michael Kühne, maggio 2018 Poesia in movimento E dire che fra le più recenti, quella appena terminata sembrava la meno probabile per l’apoteosi finale. E non solo per la diffusa diffidenza nei confronti dell’imberbe condottiero subentrato a un allenatore già fatto e finito. Poi però Davie Selke s’era messo a segnare come mai in carriera , la squadra volava sulle ali Ransford-Yeboah Königsdörffer e Mamadou Jean-Luc Diarra Dompé e così piano piano era cresciuta la fiducia. Andata in testa alla 18ª battendo 1-0 nello scontro diretto il Colonia con gol di Königsdörffer in ribattuta sul rigore respintogli da Marwin Schwäbe, è poi sempre rimasta fra le prime due. Solo che stavolta, a differenza delle ultime stagioni, ha mantenuto i nervi saldi fino alla fine. Perché la promozione è arrivata con un turno di anticipo, sabato 10 maggio, col 6-1 sull’Ulm, penultimo e poi retrocesso con lo Jahn Regensburg. Ma per quasi un tempo sul Volkspark aleggiavano i fantasmi del recente passato: Ulm avanti al 7’ con Tom Gaal su torre di Philipp Strompf, pareggio di Ludovit Reis su assist di Miro Muheim al 10’ e al 36’ nuovo vantaggio Ulm sventato da Daniel Heuer Fernandes che ha parato il rigore di Semir Telalović. Lì la partita è svoltata: a cavallo dei due tempi, fra il 42’ e il 48’, l’Amburgo ha preso il largo con Königsdörffer, Selke di testa su cross di Jean-Luc Dompé e l’autorete di capitan Strompf. Al 62’ Muheim serve Königsdörffer per la doppietta. E all’86’ Daniel Elfadli, su altro cross di Dompé, chiude il set. E chissene, se poi Die Rothosen finiranno perdendo 3-2 in trasferta col ‘solito’ Greuther Fürth, tanto il secondo posto era già blindato: Colonia e Amburgo dritte in Bundes, Elversberg al playoff con l’Heidenheim, terzultimo in prima divisione, per arrivarci o restarci. Dopo sette anni in purgatorio, il paradiso perduto è ritrovato. Una gioia immensa e così attesa da sconfinare nel lirismo. Alla lettera, visto che Klaus-Michael Kühne, l’87enne finanziatore dell’HSV, abituato come il suo club a pensare in grande, per l’impresa si è cimentato in un componimento degno di Goethe: Der HSV, dass ich’s nicht fasse, ist wieder erste Klasse, gewartet hat man sieben Jahr, jetzt werden alle Träume wahr! Der Dino endlich ist zurück, welch Freude und welch grosses Glück, und hoffentlich wird er bald wieder Sieger in unserer ersten Bundesliga! L’HSV, non riesco a crederci, è di nuovo in prima classe, abbiamo aspettato sette anni, ma ora tutti i nostri sogni si stanno avverando! Der Dino è finalmente tornato, che gioia e gran felicità, e speriamo torni presto a vincere già alla nostra prima Bundesliga! Su un cross così perfettamente a banana come neanche il suo amico Kaltz ai bei dì, s’è subito fiondato una leggenda del club come Hrubesch, 74 anni e non sentirli. "Abbiamo bisogno di una squadra che non giochi per evitare la retrocessione, ma che sia in grado di competere subito per il campionato", ha incornato sulle colonne del Bild. I cavalieri che rifaranno l’Impresa Per almeno provarci, però, a competere in Bundesliga dove il derby col St Pauli – neopromosso salvato dall’ex genoano Alexander Blessin con un turno di anticipo e dopo una partenza complicata – mancava da tre lustri – la proprietà dovrà investire parecchio. Anche se per ora la dirigenza sta facendo calcoli più conservativi. Il CdA, con il ds Stefan Kuntz e il responsabile delle finanze Eric Huwer , ha quasi raddoppiato il budget per la Bundesliga, fissandolo a 40 milioni di euro . E sono in corso trattative con un paio di potenziali nuovi partner, ma oltre a Kühne non ci saranno ingressi di altri azionisti. Un aumento di capitale della HSV Fußball AG & Co. KGAA non sarebbe un problema ma sarebbe necessario un voto dei soci con una maggioranza di tre quarti. E comunque al momento è un’eventualità molto lontana. Né si faranno spese pazze sul mercato. Kuntz ha già escluso un tour minerario in Svizzera per Kühne già la mattina dopo la promozione. L’ultima volta in cui Kühne ha aiutato il club è stata con un prestito di 30 milioni per la modernizzazione dello stadio in vista di Euro2024. Il prestito è stato poi convertito in azioni. E nella stagione culminata con il ritorno in Bundesliga, l’investitore non ha immesso fondi per la squadra. C’è infine ma non per ultima la questione-stadio. Nel Volksparkstadion, a un quarto di secolo dal suo completamento, nei prossimi anni si dovranno sostenere costi di manutenzione per due-tre milioni di euro a stagione. Saranno effettuati importanti investimenti in un nuovo concetto di ristorazione e nella digitalizzazione. A medio termine, la capienza sarà aumentata di 2.000-2.500 posti con tanti piccoli interventi a spot. E per i prossimi anni è in cantiere il progetto ‘Stadio dilettantistico del Volkspark’. Ma prima ancora di pensare a un nuovo impianto o a chissà quali acquisti nella campagna trasferimenti, si tratterà soprattutto di proteggere Polzin, classe 1990, fra i più giovani di sempre ad aver mai allenato in prima divisione. Dalla sua, almeno all’inizio ma col perenne rischio del nemo propheta in patria, l’essere il classico allenatore-tifoso passato in un amen dalla Nordtribüne alla panchina della sua squadra del cuore sin da bambino. Tanto che ha ancora vivido il ricordo della sua prima partita al Volkspark, a otto anni, per una classica. “Quando fu deciso – ha raccontato il 12 agosto 2020, da assistente allenatore, all’Hamburger Morgen Post – chiesi a mio padre il biglietto. Era la fine degli anni ’90, HSV-Bayern. 2-0 Bayern. Credo abbia segnato Hasan Salihamidžić”. L’accendiamo. Allo stadio lo aveva portato il nonno. Sabato 13 marzo 1999, 22ª di campionato; autogol di Hans-Jörg Butt e gol dell’ex firmato dal ‘Brazzo’. Uno che in blu qualcosina aveva fatto: 19 reti in 72 presenze nel triennio 1995-98. Nato nel quartiere di Bramfeld, Polzin ha cominciato a giocare nelle giovanili della squadretta dilettantistica locale del Bramfelder SV. Da difensore è arrivato fino alla quinta divisione, in cui però ha disputato soltanto una partita, nel 2010-11, prima che una artrosi alle dita dei piedi gli troncasse sul nascere, a soli 21 anni, anche solo un’ipotesi di carriera da calciatore professionista. Non l’ha però mai usata come what if: “Per dirla in parole povere: non sarei mai arrivato così in alto come giocatore”. Prima ancora di trasferirsi nel 2014 a Osnabrück per studiare alla locale Università , aveva già cominciato a collaborare con l’Amburgo. “Dal 2011 a fine 2012, ho lavorato in tutti gli ambiti dello sviluppo giovanile, tra cui l’analisi delle partite, lo scouting, la formazione scolastica e come istruttore-base”, ha dichiarato in quell’intervista del Morgen Post. E quando era ancora studente, nell’ottobre 2017 all’Osnabrück, Merlin aveva conosciuto il direttore del settore giovanile, Daniel Thioune, ex centrocampista del Rot Weiss Ahlen. Dopo l’esonero di Joe Enochs, Thioune era diventato allenatore della prima squadra e aveva promosso quell’osservatore a vice , affidandogli pure le formazioni U17 e U19. Con quel duo in panchina , l’Osnabrück nel 2019 vince la 3. Liga e sale in Zweite Bundesliga e la stagione seguente si salva. Thioune passa all’Amburgo e si porta dietro Polzin a fargli da assistente. “C’è stato un momento in cui eri lì a chiederti come comportarti con chi – ricorda Polzin – Ma dopo un allenamento, una riunione, tutto questo era svanito. Nel mio ruolo, non mi sento né superiore né inferiore a nessuno. Soprattutto se ai ragazzi ci si avvicina con una certa empatia, l’età non conta”. Thioune all’HSV non ha funzionato, come pure dopo di lui lo stravagante – per non dire bizzarro – Walter e il carismatico Baumgart, che in molti consideravano garanzia di promozione o quasi. Polzin gli è subentrato dopo 13 giornate e il 2-2 interno con lo Schalke 04, con la squadra ottava e comunque a -3 dalla zona-promozione. E l’ha portata là dove in sette anni tutti avevano fallito. Come minimo merita – come il suo ancor più giovane vice, Loïc Favé – il beneficio della riprova sul massimo proscenio. Idem per i big della rosa, a cominciare da quelli il cui futuro è però in dubbio. Davie Selke, 30enne centravanti arrivato come back up e divenuto cruciale dopo lo strappo a un tendine di Glatzel , è in scadenza ma è un leader. È stato lui il primo a rivolgersi ai tifosi durante la festa sul balcone VIP, non capitan Sebastian Schonlau , che in stagione ha perso il posto di titolare fisso, né il suo vice e beniamino dei tifosi Ludovit Reis, vincolato fino al 2026 e che i dirigenti, visto il suo gran finale di campionato, vorrebbero rinnovare. Sul 24enne centrocampista neerlandese c’è il Brugge, secondo in Belgio e dunque ammesso alla prossima Champions League. Non si dovesse trovare un accordo, l’HSV sarebbe costretto a monetizzare in questa estate. Sotto contratto fino al 2026 è anche Ransford Königsdörffer , l’uomo-ovunque dell’attacco e con 14 gol il secondo miglior realizzatore della squadra. Il club spinge per prolungare in anticipo e lo stesso vale per il francese William Mikelbrencis , anche se lo spot di terzino destro sarà una delle prime lacune da colmare in ottica Bundesliga. Potrebbe restare pure Adam Karabec , meno impiegato nelle ultime settimane, ma pupillo della dirigenza. L’ostacolo è l’elevata opzione di acquisto: 4,2 milioni di euro più bonus. Si negozierà. Se ne andrà invece un altro prestito, il 27enne trequartista Marco Richter di proprietà del Mainz. Dovessimo però individuare dei simboli non scontati in questa favola di redenzione calcistica andremmo su Miro Muheim e Daniel Elfadli. Ridicolizzato due anni fa, il 27enne terzino sinistro svizzero Muheim è stato decisivo nella rimonta finale. Quella di Elfadli, poi, è forse la storia dell’anno. Mai conosciuto un settore giovanile, a 20 anni giocava ancora in sesta divisione nel Württemberg. E fino alla stagione 2021/22, viveva “sul filo del rasoio” nel campionato regionale all’Aalen. Arrivato dieci mesi fa dal Magdeburgo per 800 mila euro, il 28enne mediano tedesco libico si ritrova ora in Bundesliga da late bloomer che non conosce i propri limiti. E non vede l’ora di superarli. “Certo, avevo dei dubbi e notti agitate”, ammette. “Ma la fiducia nel mio sogno non è mai venuta meno”. Ora, è realtà. In stagione solo il portiere Daniel Heuer Fernandes e lo stesso Muheim hanno giocato più minuti di lui: 2.653. Indispensabile prima come ‘sei’ in mezzo al campo, poi da centrale difensivo adattato, ha nei fatti abrogato la legge non scritta secondo cui dovessero essere Sebastian Schonlau e Jonas Meffert a giocare sempre. Alla festa-promozione non ha parlato dal balcone VIP, ma lo ha fatto nelle ‘catacombe’ ringraziando commosso la madre e il fratello. A chi giustamente individua in Selke l’acquisto-chiave per il ritorno in Bundes, andrebbe sempre ricordato di aggiungere Elfadli. Tanta voglia di Hamburger Stadtderby Ci sarà però da tener buona – non solo nella bollente stracittadina – una fra le tifoserie più turbolente di Germania, dimostratasi tale anche nell’euforia della festa-promozione. Più al Volkspark che in un caffè di Eimsbüttel, in un ristorante del quartiere Schanzenviertel, su un campo sintetico di Bahrenfeld dove si disputa il campionato distrettuale di Amburgo, o alla fermata della S-Bahn di Stellingen, da cui si raggiunge lo stadio in venti minuti a piedi. Al triplice fischio dell’arbitro Max Burda, alle 22.25, i 57 mila sono impazziti. Tra salti dalle tribune e colluttazioni varie in due dozzine sono poi finiti in ospedale, 19 per ferite gravi e cinque con lesioni minori. E la polizia è stata costretta a mettere in sicurezza il tunnel per i giocatori in modo da impedire l’ingresso di estranei negli spogliatoi. Quanto all’ordine pubblico, istituzioni e autorità avranno il loro bravo daffare anche nelle minimo due stracittadine della prossima stagione. Per i tifosi dell’HSV il St Pauli è solo una squadretta di quartiere che mai ha vinto e vincerà niente e pensa più alla politica che al calcio. Viceversa, per quelli dei Kiezkicker, l’Amburgo è la squadra del potere, qualunque cosa oggi questo significhi, dei ricchi sobborghi e che non rappresenta l’anima della città. Quanto a certe infiltrazioni nelle rispettive tifoserie – neonazi per l’HSV, squatter anarchici per il St. Pauli – speriamo di non dover aggiornare i bollettini del 2018. Anche in campo però le tensioni non mancheranno. L’anno scorso, con l’Amburgo in casa, alla terzultima giornata con entrambe in lotta per la promozione, al St Pauli bastava un punto per l’aritmetica certezza di conquistarla e fra le panchine scoccarono scintille addirittura prima del calcio d’inizio. Poi l’HSV vinse 1-0 e pur finendo un’altra volta quarto almeno impedì ai ‘cugini’ di festeggiare al Volkspark. Il St Pauli lo farà al Millerntor la settimana successiva battendo 3-1 l’Osnabrück, tornando così in Bundesliga dopo 13 anni e con due turni di anticipo. Agostino tornerà dunque a godersi il derby in Bundes ma da Lassù, magari mettendo su un disco di quegli ex scappati di casa visti sessant’anni fa ad Amburgo. Perché lui sa, lui c’era.

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Christian Giordano