La fine dell'egemonia del calcio in Italia

Una volta succede nel tennis, un’altra nella pallavolo. Una volta arrivano insieme la Coppa Davis e la Coppa King come se fossimo gli Stati Uniti, con una fioritura di otto uomini tra i primi 80 al mondo; un’altra si sommano un Mondiale di pallavolo vinto dalle donne a uno vinto dagli uomini, com’era riuscita a fare solo l’Unione Sovietica sessant’anni fa. E poi gli Under-16 sono campioni d’Europa, gli Under-21 secondi al mondo e le ragazze prime. Nella piccola Italia da 59 milioni di abitanti, tutto questo capita dopo due Olimpiadi consecutive da 40 medaglie: Brasile, Germania e Francia non ci sono riuscite. Accade mentre è cresciuta la migliore nazionale di atletica leggera di sempre, quella con il record di 7 medaglie ai Mondiali, 15 finalisti e il sesto posto nella classifica a punti, avendo alle spalle già la migliore Under-20 d’Europa, da 14 podi e 6 ori ai campionati di Tampere. Accade mentre il nuoto ha la generazione più competitiva di tutti i tempi e una Nazionale jr da 12 medaglie ai Mondiali scorsi. Perfino il sonnacchioso basket ha partorito una Under-20 da primo posto in Europa. Se il panorama attuale è questo, come possiamo davvero stupirci che il calcio italiano faccia fatica a darsi un futuro, a trovare dei campioni? Fra 2022 e 2023, secondo gli ultimi dati messi a disposizione da Sport & Salute, la platea del pallone si è contratta. Ci sono stati 40 mila tesserati in meno. Il tennis è cresciuto di 200 mila unità, la pallavolo di 15 mila, l’atletica leggera di 14 mila, il nuoto di 3 mila, finanche la pallacanestro di 7 mila. Il calcio è l’unico sport in calo fra i sette più diffusi in Italia. Prima ancora di prendercela con l’occupazione degli spazi da parte degli stranieri, bisogna allora considerare che forse quegli spazi sono vuoti. Marco Gradoni è un malato di calcio e della Roma, ma non si è fatto mai sfiorare dal pensiero di rincorrere un pallone. È diventato a 20 anni lo skipper di Luna Rossa che ha vinto la America’s Cup dei giovani. Tra gli azzurri convocati per i Mondiali di atletica leggera a Tokyo, quattordici praticavano calcio e lo hanno lasciato per lo sprint , per il mezzofondo , per la marcia , per la maratona . Giocavano a calcio il pallavolista Roberto Russo e il nuotatore Simone Cerasuolo. Lo hanno mollato e sono campioni del mondo. L’adolescenza italiana fa altro. Guarda altrove. Per troppo tempo il calcio ha spiegato la crisi di vocazioni e di talento dando la colpa alla PlayStation e ai telefonini. Ma la PlayStation e i telefonini valgono per tutti gli sport e in tutto il mondo. Dopo la mancata qualificazione ai Mondiali in Russia, venne sottovalutato l’esito di una ricerca della De Agostini. Il mestiere più desiderato dai bambini degli anni Settanta non era neppure ai primi tre posti nei sogni dei contemporanei. In testa: lo chef. Il calciatore? Quarto. Quei bambini sono diventati adolescenti, molti saranno davvero in qualche brigata a cucinare, gli altri corrono, saltano, schiacciano, nuotano, e lo fanno benissimo, lo fanno come mai prima. Cinquant’anni fa Fulvio Bernardini ed Enzo Bearzot stavano costruendo la base dell’Italia campione al Mundial 82. Passarono al setaccio quasi 60 convocati prima di trovare il gruppo giusto. Ma lo sport italiano alle Olimpiadi di Montreal 1976 aveva vinto solo due ori. Il calcio godeva di un'egemonia culturale che oggi è finita in discussione. Ce lo dice anche la biografia di Sinner. Servirebbero idee all’altezza della sfida, senza incolpare i famosi giovani d’oggi. Se da qualche parte sono sbucati i Musetti e i Furlani, i Michieletto e i Ceccon, per forza al bacino d’utenza del calcio sono stati sottratti. Le ragazze hanno trovato dinamismo e accoglienza in due federazioni su tutte. Sono di donne il 78% dei tesseramenti nel volley, 383 mila in tutto, e subito dopo vengono le tenniste: 320 mila. Ci sono federazioni che si sono messe al lavoro nelle scuole per parlare a una generazione che molti adulti fanno fatica a capire. Cercano quel che è fico. Il calcio lo è. Altrimenti non giocherebbero al Fantacalcio. Ma ha smesso di offrire l’altro grande tesoro caro ai teenager di oggi: la distensione. Il calcio parla ancora una lingua da caserma e da sergenti. Non può essere un dramma nazionale se i nostri ragazzi giocano di meno a pallone. Significa che avremo più ingegneri gestionali e più consulenti finanziari, speriamo pure qualche patologo. Ma il calcio sì che deve preoccuparsene. Con urgenza. Se tutte queste nazionali vincono tanto negli altri sport, le mancate qualificazioni ai Mondiali di Ventura e di Mancini, l’Europeo mediocre di Spalletti, non possono essere colpa di una generazione smidollata. Forse serve qualcuno che sappia affascinarli. Un Julio Velasco. Che infatti dal calcio scappò. Serve qualcuno convinto che il problema non è la loro assenza con il pallone dalla strada, ma la loro presenza con una chitarra, una racchetta e un altro pallone altrove. Se ci tenete tanto, scoprite dove si sono nascosti e andateveli a prendere.

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Angelo Carotenuto