Juve, l'angoscia Champions e il tabù finali del Pipita

Champions League

Paolo Condò

Gonzao Higuain è tormentato da un blocco relativo alle finali: un Mondiale, due coppe America e adesso una Champions (Getty)
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I bianconeri prendono coscienza di un problema con la gara secca: nel 2015 hanno perso in finale dal Barcellona dopo aver eliminato in semifinale il Real, nel 2017 hanno perso in finale dal Real dopo aver eliminato nei quarti il Barcellona

Massimiliano Allegri ha ereditato da Conte una squadra dominante in campionato (17 punti il margine di vantaggio dell'ultima Juve di Antonio) ma in chiaro disagio psicologico nelle coppe: come a volte succede sia alle formazioni sia ai singoli giocatori - pensate alla lunga maledizione europea di Ibrahimovic - la memoria dei fallimenti pregressi impediva ai bianconeri di affrontare in serenità impegni anche semplici. Allegri racconta per esempio di aver dovuto alzare la voce nell'intervallo della sua prima gara di Champions sulla panchina juventina, in casa contro il Malmoe, per scuotere i giocatori da un'angoscia per lui inspiegabile, e che li bloccava sullo 0-0 (poi finì 2-0). La vera svolta quell'anno venne in un'altra partita allo Stadium, contro l'Olympiakos: la Juve si trovò sotto, ma reagì e vinse il match potendo persino permettersi di sbagliare un rigore a tempo scaduto. Da lì in poi è stato un crescendo che ha portato a due finali e a un'eliminazione al pelo a opera del Bayern negli ottavi nella stagione di mezzo. Il complesso dell'Europa, quindi, al 90 per cento è stato superato: ma il 10 che resta è un ostacolo altissimo, perché fatalmente la Juve lo trova una volta "vestito" da Barcellona e un'altra da Real Madrid. Da squadroni del genere si può perdere senza provare vergogna. Il problema della Juve è che, nella gara secca, ci perde sempre. Fateci caso: nel 2015 i bianconeri hanno perso in finale dal Barcellona dopo aver eliminato in semifinale il Real, nel 2017 hanno perso in finale dal Real dopo aver eliminato nei quarti il Barcellona. È anche per questo motivo che al sorteggio delle semifinali, contrariamente a quanto suggeriva il buonsenso comune, avevo augurato alla Juve di pescare il Real. Se una squadra è più forte - e i campioni di Spagna lo sono - meglio affrontarla su una distanza che permetta di accentuare le strategie tattiche, i 180 minuti. Nei 90 questo Real è imbattibile, o almeno così dice la storia delle sue ultime tre finali. Se l'obiettivo fosse stato arrivare in finale, meglio pescare il Monaco; ma se volevi vincere - e la Juve voleva vincere - meglio il Real subito, a costo di uscire prima.

La scorsa estate Marotta diede una svolta al mercato bianconero operando con forza - meglio dire con potenza - sul fronte interno, seguendo il modello del Bayern: il pagamento delle clausole di Higuain (miglior uomo del Napoli, secondo nel torneo precedente) e di Pjanic (fra i migliori della Roma, terza classificata) costituiva un messaggio trasparente: lo scudetto non mi basta più, rastrello il meglio della serie A per tentare l'assalto alla Champions. I risultati sono stati ottimi, perché non si può definire altrimenti una stagione in cui si vince lo scudetto e la coppa Italia e si arriva in finale di Champions. Ma se li analizziamo in profondità si intravvede qualche crepa. Okay, Roma e Napoli sono state costrette a cedere le loro stelle; ma nello stesso tempo la Juve ha finanziato le loro campagne di mercato, e siccome sono state valide le inseguitrici hanno ridotto il distacco a 4 punti (la Roma) e 5 (il Napoli). Come ha riconosciuto lo stesso Spalletti, è probabile che la Juve si sia tenuta qualcosa in tasca controllando la sua andatura nel finale di stagione. Ugualmente, il dato del vantaggio sulla seconda in queste sei stagioni di dominio bianconero è curiosamente simmetrico: 4, 9, 17, 17, 9, 4. Sono rinate delle avversarie che appena due stagioni fa letteralmente non esistevano.

Una vittoria in Champions avrebbe ampiamente ripagato questa riduzione delle distanze in Italia. L'ennesimo secondo posto fa invece pensare per la "modalità finale" che non è cambiata nemmeno stavolta: le star della squadra hanno risposto poco e male alle grandi richieste mentali della partita secca, ivi compresa la personalità necessaria per dominare l'ansia. L'intera difesa, per esempio, è caduta sotto i colpi di Ronaldo lì dove le tre reti subite nelle 12 gare di Champions lasciavano pensare a un confronto equilibrato fra il reparto più forte e il fuoriclasse assoluto. Dybala ha fallito la prova ma è ancora molto giovane, la Juve può sperare che sia stata una tassa pagata al noviziato, una sorta di una tantum che darà i suoi frutti in futuro. Higuain, invece, dopo un discreto primo tempo si è dissolto, incapace di aiutare i compagni tenendo palla nel momento di massima difficoltà della difesa. Higuain ha 30 anni e nelle gare decisive del campionato non è mancato: gol al Napoli e alla Roma, tanto per gradire. Ma l'ultimo atto per lui è una partita tabù, avendoci perso un Mondiale, due coppe America e adesso una Champions. E dimenticare tante amarezze per giocare una finale serena diventa ogni volta più difficile.