Il Milan non è artefice del suo destino: il bilancio in Champions dopo il girone

A Zagabria faceva un bel freddo. Ma il clima, posso garantirlo, è diventato glaciale. Capisco la delusione dei tifosi, capisco quella dei giocatori, capisco quella dei rossoneri in generale. Perdere contro la Dinamo in questo modo fa male, ma già mentre commentavo la partita dal vivo sentivo confermare un mio pensiero che ho da tempo: questa squadra non è artefice del proprio destino. O meglio, non è padrona della partita che deve giocare. Ecco perché la gara contro i croati è l’emblema di una stagione che ha tanti punti interrogativi e questioni irrisolte. Provo a elencarli. Primo punto interrogativo: il controllo Mi ricollego a quello che scrivevo prima. Il Milan è storicamente una grande squadra. Ambisce a essere sempre una grande squadra. Ma una grande squadra ha sempre il controllo del campo, qualsiasi cosa succeda. Questa caratteristica non c’è e ho notato nell’arco di tutta la stagione il problema: i rossoneri sono in balìa degli eventi e degli episodi. È un aspetto non solo negativo, ma anche allarmante: non si può mai sapere che partita verrà fuori, o quale direzione la squadra possa prendere nei 90’. A volte sembra di vedere in campo giocatori diversi. Secondo punto interrogativo: la costruzione Questi problemi non sono solo caratteriali, ma anche di squilibri tecnici. Qualche settimana fa, sempre su Sky Sport Insider, avevo scritto quanto secondo me a questa squadra mancasse un Giroud, una punta da affiancare a Morata . Il reparto non è completo, serve trovare una soluzione che possa portare gol. A centrocampo c’è più completezza con il ritorno di Bennacer, ma manca qualche alternativa. E poi ci sono molti interrogativi anche dietro. Gabbia, che contro la Dinamo ha fatto male, è un elemento che si è rivelato senza dubbio importantissimo. Ma mi sembra che ancora non si sia trovata la formula giusta. Terzo punto interrogativo: la leadership Questa è un po’ la somma dei due punti precedenti. E parto da un nome, quello di Walker. Può risolvere il problema di personalità? Non lo so. Sia chiaro, se in forma, Kyle è fortissimo. E il calciomercato di gennaio è sempre molto strano: cerchi un attaccante, arriva un difensore. È questione di opportunità. Ma non penso che avrà un ruolo determinante per cambiare la squadra: non ha la bacchetta magica. Ho letto da più parti che si paragona il suo arrivo con quello di Ibrahimovic nel 2020: è vero che con Zlatan il Milan cambiò, ma era tutta un’altra squadra. C’era Kjaer, per esempio, che giocò un ruolo determinante. E in generale mi sembrava una squadra costruita meglio. Quarto punto interrogativo: bastone o carota? Molti problemi si compenserebbero se il gruppo avesse un livello di concentrazione più alto. Ma non ce l’ha e qui deve intervenire l’allenatore. Mi sembra che Conceiçao ancora non sia riuscito a fare qualcosa di veramente diverso rispetto a Fonseca. Di certo il suo arrivo ha avuto un impatto: è un sergente di ferro e si vede. Usa tanto il bastone, ma forse mai la carota. Nella mia carriera io ho avuto allenatori anche molto duri: a Firenze mi ricordo soprattutto Mihajlovic. Ma lui sapeva anche essere molto comprensivo, rimproverava, ma aveva un altissimo livello empatico. In un momento delicato può di certo servire. Non so se alla fine di questo percorso in Champions, Conceiçao riuscirà a fumare il sigaro negli spogliatoi. Ma deve porsi l’obiettivo di far dare al suo Milan più risposte e lasciare meno dubbi. E sarebbe già un grande risultato.

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Riccardo Montolivo