Ma qual è il vero Milan?

Se è vero che solitamente tre indizi dovrebbero costituire una prova, evidentemente per questo Diavolo senza pace la normalità non è di casa. Dopo il trittico derby , Empoli e Roma , in molti si erano forse illusi che a Milanello una quadra, magari più emotiva che tattica, finalmente fosse stata raggiunta. Poi quell’iniezione di entusiasmo portata dal mercato di gennaio, o meglio di fine gennaio, con l’arrivo di due nuovi attaccanti, la suggestione del ritorno a un 4-2-fantasia di leonardesca memoria, finalmente un terzino destro di livello che dia solidità ed esperienza internazionale, il fuoco rossonero che si riaccende di grandi speranze e nuove certezze. E, invece, come sottolineato all’unanimità da Boban, Capello, Costacurta e Condò subito dopo la sconfitta contro il Psv, è successo di nuovo, e qui sì che gli indizi, evidentemente, sanciscono una prova inconfutabile: in questa stagione, ogni qual volta avrebbe dovuto trarre forza dagli episodi raccolti sul proprio cammino, il Diavolo è tornato a mettere la testa sotto la sabbia, in un costante altalenarsi di figuracce, exploit inattesi, rimonte determinate e approcci disastrosi. E non c’è allenatore, sempre portoghese per carità, che tenga, si legga Fonseca oppure Conceicao. Così è accaduto dopo il primo derby stagionale stessa cosa dopo la scintillante vittoria di Madrid , per non parlare della Supercoppa e, infine, del trittico preso in esame all’inizio di questo articolo. Il Milan, sinora, ha dimostrato un po’ qua un po’ la di avere nelle sue corde una discreta duttilità tattica, indiscusse qualità tecniche e un gran temperamento. Ma di riuscire a metterle in campo solo una volta ogni tanto, e mai tutte e tre insieme. Di non dare continuità alle proprie qualità, di non agire come un organismo unico. In sostanza, di non essere una vera squadra. Cambiare tutto, per non cambiare nulla Da Fonseca a Conceicao, dicevamo, sembra dunque essere cambiato molto poco . Certo, proprio il concetto di cambiamento non si addice al percorso di una squadra che deve trovare un’identità e sta facendo una fatica del Diavolo – per l’appunto – nel provarci, ma fatto sta che nelle prime 9 partite dell’anno e le prime 9 del nuovo allenatore nulla è mutato sotto il cielo di Carnago. Almeno nei numeri. 3 vittorie e 1 sconfitta in Serie A, 1 vittoria e 2 battute d’arresto nella competizione continentale, sia per Fonseca sia per Conceicao. Copia e incolla. Semmai, quello che è peggiorato sono gli inizi al cardiopalma, questione di approccio e mentalità, che hanno spesso costretto la truppa rossonera di Conceicao a cercare dirompenti rimonte, foriere di grande determinazione e volontà sì ma allo stesso tempo annunciatrici di una congenita fragilità mentale. Anche perché la rimonta non sempre riesce e, così come accaduto a Rotterdam, a volte anche gli inizi delle partite possono risultare determinanti. Sette, su 12, le partite nelle quali Conceicao si è ritrovato in svantaggio, 4 delle quali poi ribaltate, il che ci porta a segnalare anche le 3 alla fine perse. Nessuna sconfitta, invece, quando lo stesso Milan di Conceicao è riuscito a passare in vantaggio: su 5 partite, 3 vittorie e 2 pareggi. Dunque, almeno a leggere questi numeri, la logica consiglierebbe di cercare di regolare l’animo combattivo sulle prime fasi della partita, provando a non regalare agli avversari i primi minuti di gioco e poi aggredire la partita, secondo le caratteristiche che più si addicono a questa squadra, quelle della ripartenza negli spazi aperti, dove la velocità di Theo, Leao, Pulisic e ora anche Joao Felix, oltre agli inserimenti di Reijnders, possono ancora fare la differenza. 4-2-fantasia, ma Pulisic? Per farlo, e qui ci viene in aiuto il pensiero di Boban , il Milan avrebbe però bisogno prima di tutto di un sistema consolidato, di una continuità di formazione, di un undici base attorno al quale far ruotare i necessari adattamenti all’avversario. Processo che, detto a parziale discolpa di Conceicao, il secondo allenatore portoghese della stagione rossonera non è riuscito a consolidare anche a causa del mercato rivoluzionario che ha cambiato piani e prospettive, dirottando il pensiero dell’allenatore verso un 4-2-4 estremamente offensivo. Ma è proprio lì, sempre tornando a Boban, che la lingua batte: per sostenere un sistema del genere per forza di cose bisogna chiedere a uno dei 4 – e Pulisic sembra l’unico indiziato della quaterna - un lavoro di sacrificio che non solo toglie lucidità in fase offensiva ma che, a ben vedere, potrebbe essere fatto in maniera ancora più appropriata da un vero centrocampista. La heatmap – il grafico con le posizioni medie – dello statunitense a Rotterdam parla chiaro: lavoro da mediano puro, parti colorate nel verde più brillante tutte collocate sulla linea centrale del campo, ben diverse da quelle registrate sempre da Pulisic nel derby, quando in campo c’era il terzo centrocampista, in quel caso Musah. Perché costringere un giocatore offensivo, tra l’altro il più efficace del Milan sinora, a un lavoro che ne debilità le potenzialità offensive? Qual è il vero Milan? Dopo il Psv, prima di lasciare la conferenza stampa in uno scatto di nervosismo evidentemente alimentato dall’andamento della partita, ai microfoni di Sky Conceicao ha ribadito che quella delle 4 punte era stata la sua idea di gioco per quella gara e che in futuro non sarà sempre riproposta: un’impostazione anche comprensibile, ma che costituisce un altro ostacolo a quella quadratura di un cerchio che solo un sistema base può dare. Sempre ammesso, sia ben chiaro, che poi la qualità dei giocatori sia sufficiente, aspetto sottolineato da Costacurta sempre nell’analisi a caldo della partita del de Kuip. Di tempo a disposizione Conceicao ne ha avuto ancora poco ed è legittimo che con così pochi allenamenti e la rivoluzione del mercato il processo vada a rilento, ma quello che si è visto in Olanda non può essere il vero Milan. Già, ma qual è il vero Milan?

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Michele Mastrogiacomo