Anche stavolta Luis Enrique è riuscito ad andare oltre

C’è un pensiero che Luis Enrique deve aver fatto un istante dopo la fine della partita con l’Arsenal, ma chissà quante altre volte prima. È un ricordo che deve tener protetto dentro di sé, di quelli che non si espongono per non lasciarli sgualcire. L’ultima volta che aveva la sua squadra in una finale di Champions, quella sera di dieci anni fa a Berlino per Barcellona-Juventus, teneva in braccio la piccola Xana e lei portava la maglia numero 8 di Iniesta. Prima la mise a sedere sulla Coppa per fare le foto, si abbassò fino alla sua altezza, con la guancia di un padre premuta contro la guancia della sua bimba; poi la sollevò sulle spalle e la portò a fare un giro per il prato, da soli, lui lei e una gigantesca bandiera con i colori dell’autonomia catalana. Xana non c’è più per un osteosarcoma, oggi avrebbe 16 anni, e ogni scelta, ogni passo di Lucho portano l’eco della sua presenza. Esistono gli orfani, esistono i vedovi, non esiste una parola che definisca cosa diventa un genitore dopo il lutto più contro natura fra tutti, forse quella parola è: fantasma, o forse: reduce. Di Luis Enrique si dice che sia un esponente di spicco della tribù dei workaholic, ma neppure sfinirsi di lavoro sa consolare. Nel suo caso neppure bastò per essere restituiti alla routine. Per restare accanto a Xana nell’ultimo periodo della malattia, aveva lasciato la Nazionale spagnola al suo secondo, Robert Moreno, e quando finalmente si sentì pronto per tornare scoprì nel vecchio amico un’altra faccia. Un ambizioso. Non un arrivista. Moreno non aveva tramato alle sue spalle, non aveva fatto nulla sotto traccia, anzi era andato a confessargli di voler restare seduto su quella panchina ancora un po’, avrebbe voluto accompagnare la Spagna alla fase finale degli Europei dopo averla guidata nelle qualificazioni. Lucho pensò che fosse un gesto di slealtà. Pensò che fosse altro dolore, e già il primo gli sarebbe bastato. Così sommò lavoro ad altro lavoro per dimenticare una verità, per dimenticare che fuori dalle righe di gesso di un campo di calcio c’è la vita che ci aspetta. Andare oltre. Questo sa fare Luis Enrique. Ha cominciato con Guardiola: andare oltre la sua ombra. Ha proseguito a Roma: andare oltre Totti. Ha fatto il suo capolavoro a Parigi: andare oltre Mbappé. Andare oltre l'idea che il PSG dovesse essere l’imitazione del Real Madrid, un altro album di figurine pagato in petrodollari e non in euro. Ha smantellato la versione galactique della squadra che fino a poco fa aveva messo insieme Messi, Neymar e Mbappé, ha iniziato a costruire un’altra cosa, un posto dove far giocare insieme dei giovani fenomeni non ancora superstar. In un'intervista a Le Parisien del giugno 2022, Al-Khelaifi disse che l'era del “bling-bling” del club era giunta al termine. Era una visione del futuro, e per quel futuro Lucho era l’uomo migliore. Andare oltre: la sua specialità. Dall'addio di Messi, il numero di follower del PSG su Instagram è calato da 70,4 milioni a 62,7. Pensiero scritto dentro la nuvola da fumetto che passa sulla testa di Luis Enrique? Pazienza. I ricavi commerciali del club sono calati per il terzo anno di fila, così dicono i report di Deloitte. Ma se dentro quel vuoto sei così bravo da infilare le idee di Luis Enrique, la sua vocazione al lavoro, il carisma, la tenacia, non rimane molto altro spazio libero. Meno di due settimane dopo la sua nomina, il PSG si è insediato nel nuovo centro di allenamento a Poissy, 25 km a ovest della città. Costo: 300 milioni di euro. Uno spazio da 74 ettari che ospita pure la squadra femminile, l’accademia, la sezione di pallamano e di judo. Su suggerimento di Al-Khelaifi, lo spogliatoio è stato progettato a forma ovale, per favorire l'armonia tra i giocatori e per permettere a Luis Enrique di occupare il centro dello spazio. Il gran boss disse alla squadra che Lucho “ha il potere di fare ciò che vuole”. Con i suoi metodi e con il suo carattere così simili alla faccia piena di spigoli che porta. Un uomo essenziale, così riluttante al teatro che oggi chiediamo ai personaggi pubblici. “Rinuncerei al 50% dello stipendio per non parlare in conferenza”, è una delle frasi che lo definiscono meglio. Non ha spettacolarizzato neppure il dolore: nel tweet con cui ricordava Xana c’era solo una stellina gialla, senza parole. Da quando ha lasciato il Barcellona, in Catalogna non hanno più rivinto la Champions. Chissà cosa accadrà a Parigi quando andrà via, ma adesso a Parigi hanno solo voglia di scoprire cosa può succedere con lui.

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Anche stavolta Luis Enrique è riuscito ad andare oltre

Lavinia Esposito