Il lungo viaggio del Kairat Almaty in Champions: la storia del club kazako

Quando hanno sentito per la prima vlta la musichetta del più grande spettacolo del mondo, hanno provato un’emozione inimmaginabile. Non lo sappiamo con certezza, ma possiamo immaginarlo. La felicità che può regalare il solo fatto di esserci, l’abbiamo già vista al momento del sorteggio, con i giocatori a festeggiare il momento in cui il computer ha accostato a quello della loro squadra i nomi di Real e Inter. Perché in certe competizioni è già un successo esserci. Soprattutto se ti chiami Kairat e per giocare questa Champions hai dovuto e dovrai fare viaggi infiniti. In tutti i sensi. Da Almaty la squadra kazaka sostiene ogni volta circa 10-12 ore di volo, a seconda della destinazione. Per questo – non certo per questioni tecniche – quella di Almaty era la trasferta più temuta da tutti. “L’incubo si materializza per il Real”, è stato uno dei titoli che hanno riservato in Spagna dopo il sorteggio. Questione di pura logistica. Da punto di vista tecnico il Kairat non può certo far paura, anche se bisogna ricordare come nel playoff sia stato capace di eliminare il Celtic senza subire gol. Il lungo viaggio del Kairat è iniziato subito con un record. Dal Josè Alvalade di Lisbona: 6900 chilometri di distanza e 12 ore di aereo. Il più lungo che ci sia mai stato nell’intera storia della Champions. Non a caso parliamo di una città praticamente al confine con la Cina. E di una nazione che geograficamente è in Asia, anche se da poco più di 20 anni fa parte della Uefa. Almaty accoppia alla sua atmosfera esotica una modernità degna di altre città europee. Non manca nulla: strade, parchi, musei e una squadra che ha una lunga storia. Perché il Kairat, che all’inizio si chiamava Lokomotiv come tante squadre dell’ex Urss e non solo, nasce negli anni Cinquanta. Lotta e sgomita nelle serie inferiori dell’Unione Sovietica, ma riesce anche ad arrivare a giocare nella massima divisione. Il momento migliore coincide con una vittoria in coppa di Lega sovietica e un’altra semifinale di coppa. Siamo nella metà degli anni Ottanta, il periodo del colonnello Lobanowski e di un calcio sovietico capace di dare spettacolo in Europa e in tutto il mondo. Le scissioni dei primi anni Novanta portano il Kairat a giocare il primo campionato del Kazakistan indipendente. Da lì comincia un periodo complicato, soprattutto dal punto di vista economico. Periodo che culmina addirittura con una divisione: perché il Ministero decide di prendere il Kairat, facendo nascere il Kairat-Cska, ma provocando la ribellione di alcuni rappresentanti del club che si staccarono. Il periodo del doppio Kairat non dura molto e quando torna un solo Kairat, ritrova il titolo nel 2004. Sembra la rinascita definitiva, invece comincia il periodo dell’Astana. Il Kairat diventa la seconda squadra del Paese. Vince le coppe, ma non il campionato. Fino alla rinascita sportiva vera: nel 2020 torna ad essere campione. Oggi in totale le coppe vinte sono addirittura 10, i campionati soltanto 4. Ma la cosa indiscutibilmente più bella è questa avventura in Champions League. Con un allenatore nato proprio ad Almaty alla guida: si chiama Rafael Urazbakhtin, ha 46 anni ed è alla seconda stagione sulla panchina dei gialloneri. E con due ragazzi chiamati subito ad essere protagonisti. Uno a sorpresa: visti gli infortuni del primo e del secondo portiere, in Champions tra i pali ha esordito Sherkhan Kalmurza, ragazzo di 18 anni che aveva appena 1 presenza in prima squadra . L’altro invece è molto atteso. Destan Satpayev, 17 enne attaccante dal futuro garantito. O meglio già disegnato: quando diventerà maggiorenne andrà al Chelsea, che per averlo ha pagato 2 milioni. Lui ha già fatto vedere di avere la personalità per reggere la pressione: ai 11 gol segnati in campionato, ne ha aggiunti altri 3 nei preliminari europei. Se il Kairat è arrivato fin qui è anche merito suo. Ma il lunghissimo viaggio, o meglio i lunghissimi viaggi sono appena cominciati. E il Kairat vuole goderseli tutti.

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Alessandro Sugoni